BUONE NOTIZIE PER LO STATO ISLAMICO IN LIBIA

Ha suscitato non poche perplessità il dibattito generato dalla notizia che i droni armati statunitensi dislocati nella base siciliana di Sigonella saranno autorizzati da Roma a operare sulla Libia ma solo per effettuare “missioni difensive”. Come ha riferito lunedì il Wall Street Journal il  governo italiano ha dato il via libera dall’inizio dell’anno, dopo una trattativa segreta durata oltre un anno, all’impiego di velivoli teleguidati statunitensi Reaper sulla nostra ex colonia pur con questa limitazione.

Secondo il giornale l’amministrazione Obama sta ancora tentando di persuadere il governo italiano ad autorizzare l’uso dei droni anche in operazioni offensive, come quella condotta venerdì scorso contro il campo dell’Isis a Sabratha (Tripolitania occidentale) in cui sono morti una quarantina di miliziani incluso Noureddine Chouchane, responsabile degli attentati dell’anno scorso in Tunisia, al museo del Bardo di Tunisi e sulla spiaggia di Sousse.

L’incursione è stata effettuata da cacciabombardieri F-15E decollati da Lakeneath, in Gran Bretagna, perché Roma ha rifiutato al Pentagono l’autorizzazione a impiegare i droni armati Reaper basati a Sigonella insieme ai ricognitori strategici teleguidati Global Hawk.

Secondo quanto riferisce il giornale statunitense le riserve del governo Renzi ad autorizzare l’impiego dei droni armati statunitensi sono legate al timore di polemiche con l’opposizione pacifista, soprattutto in caso di vittime civili che peraltro  ci sono stati anche nel raid di Sabratha in cui sono morti due ostaggi serbi detenuti nello stesso edificio colpito dalle bombe statunitensi.

Dopo l’articolo del WSJ il ministero della Difesa italiano ha confermato la notizia dell’accordo tra Washington e Roma per l’impiego di droni armati americani dalla base di Sigonella con il compito di proteggere le operazioni delle forze speciali in Libia.

Il ministro Roberta Pinotti ha detto che l’attività non è comunque ancora iniziata e dovrà essere sottoposta, di volta in volta, all’autorizzazione del governo italiano che darà luce verde solo a missioni a scopo difensivo.

La decisione del governo italiano, ancora una volta resa nota dagli USA e non da Roma (come nel caso della missione militare in Iraq a difesa della Diga di Mosul) conferma che il governo Renzi non intende cedere quote di sovranità circa l’impiego dei velivoli statunitensi basati a Sigonella (velivoli teleguidati) o Aviano (jet F-16).

Impossibile però non notare che per la seconda volta in pochi mesi gli Stati Uniti hanno anticipato, o fatto filtrare ai media, informazioni legate a un ipotetico e comunque futuro ruolo militare dell’Italia contro lo Stato Islamico.

Informazioni che Roma non avrebbe voluto pubblicizzare, o almeno non con la tempistica scelta (senza avvisare gli alleati) da Washington.

Segnali che sembrano confermare il tentativo di Obama di trascinare l’Italia nella guerra all’IS anche usando “colpi bassi” peraltro non nuovi per la diplomazia statunitense proprio nel contesto libico.

Nell’ottobre 2013 la Delta Force catturò in pieno giorno a Tripoli il qaedista Abu Anas al-Libi, ritenuto responsabile degli attentati alle ambasciate USA in Kenya e Tanzania dell’agosto 1998.

In quell’occasione il Segretario di Stato John Kerry “si fece scappare” l’affermazione che il premier libico Alì Zeidan era stato informato preventivamente del blitz. Dichiarazione che indebolì ulteriormente la già precaria posizione di Zeidan (poi fuggito in Europa) contribuendo all’ulteriore destabilizzazione della Libia.

Nella vicenda dei droni di Sigonella viene ribadita la volontà italiana di non effettuare azioni belliche contro lo Stato Islamico né in Libia né in Iraq (dove i nostri bombardieri Tornado continuano a volare disarmati) e al tempo stesso di non consentire agli alleati di utilizzare basi italiane per i raid.

La brutta notizia è che, di questo passo, i jihadisti del Califfato in Libia  continueranno a non avere nulla da tenere dall’Italia, che però rivendica la pretesa di guidare una missione internazionale di stabilizzazione di cui, dopo tante chiacchiere, non si delineano ancora compiti e obiettivi.

Paradossale che venerdì scorso Roma abbia vietato l’uso dei Reaper basati a Sigonella per uccidere un leader dello Stato Islamico responsabile dell’uccisione anche di cittadini italiani nell’attentato al Bardo di Tunisi.

In ogni caso gli statunitensi continuano a colpire ovunque gli esponenti di spicco dei gruppi jihadisti ma non sembrano certo apprestarsi a muovere guerra all’IS in Libia.

Buone notizie per lo Stato Islamico giungono poi dalle reazioni al raid statunitense del governo di unità nazionale guidato da Fayez al-Sarraj.

Da Tunisi, l’esecutivo ancora in attesa di legittimazione parlamentare e di potersi forse insediare in territorio libico, ha condannato il raid aereo statunitense non coordinato con le autorità libiche definendolo “una chiara e flagrante violazione della sovranità dello Stato libico”.

Una dichiarazione forse scontata, che molti osservatori considerano necessaria a mostrare dignità e sovranità nazionale, ma non certo incoraggiante per chi, come il governo italiano e l’Onu, si attende che il nuovo esecutivo chieda un intervento militare internazionale contro lo Stato Islamico che sta dilagando in tutta la Libia.

Meglio allora ricordare che al-Sarraj punta a insediarsi a Tripoli, città già infiltrata dall’Isis e dominata dalle milizie islamiste del Fronte “Alba della Libia” che non hanno mai attaccato il campo dello Stato Islamico di Sabratha dove sono stati addestrati oltre 3 mila jihadisti tunisini e chissà quanti algerine marocchini poi inviati a combattere in Siria e Iraq o rientrati nei loro Paesi per compiere attentati.

Esiste quindi il rischio concreto che il governo di al-Sarraj, “imposto” ai libici dalla comunità internazionale per avere un interlocutore credibile, si riveli ben poco affidabile e bellicoso nei confronti dello Stato Islamico così come nei confronti dei trafficanti di esseri umani che continuano a far salpare gommoni di immigrati clandestini verso l’Italia (che continua ad accoglierli tutti).

Proprio la vicenda dei due dipendenti dell’ambasciata serba a Tripoli  uccisi per errore dal raid statunitense ha fatto emergere nuovamente gli stretti legami tra il business dell’immigrazione clandestina e i terroristi islamici, del resto da anni ben noti ai servizi di sicurezza italiani ed europei.

Belgrado ha fatto sapere che i due funzionari erano stati rapiti dal clan di Ahmed Abashi, dedito al traffico di immigrati illegali verso l’Italia e in stretti rapporti con lo Stato Islamico dal momento che gli ostaggi erano detenuti nel campo di Sabratha. Secondo fonti serbe Abashi non sarebbe un membro dello Stato Islamico anche se collabora strettamente con l’organizzazione jihadista.

Oltre a non muovere guerra all’Isis, l’Italia e l’Europa continuano quindi ad arricchirlo (solo nel week end scorso le nostre navi hanno imbarcato e portato in Italia oltre 600 clandestini africani, ieri altri 700) nonostante sia chiaro che i proventi del traffico di immigrati finanziano anche la milizia islamista.

@GianandreaGaian

Foto: Stato Islamico, Us DoD, AP, Difesa.it, USAF

Vignetta di Alberto Scafella

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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