I veterani dell’Isis e il caos delle milizie libiche
Almeno un centinaio di milizie di ispirazione politica, religiosa o tribale, bande che spesso alternano la militanza ad attività criminali legate al traffico di armi, droga e immigrati diretti in Italia.
Formazioni riunite in alleanze mutevoli, legate in molti casi a convergenze di interessi più che a condivisioni ideologiche. Se davvero una forza internazionale, guida italiana o meno, dovesse prendere piede in Libia non dovrebbe fare i conti solo con lo Stato Islamico ma con un variegato complesso di almeno 150 mila combattenti.
Le milizie del Califfo contano tra i 6.500 e gli 8 mila combattenti a seconda delle valutazioni, ma sono in rapido aumento grazie all’arrivo di veterani di Boko Haram dall’Africa Occidentale e di al-Qaeda nel Maghreb Islamico e altri movimenti jihadisti del Sahel.
Combattenti esperti, certo superiori per capacità tattiche alla media dei miliziani libici, ma che per ora scarseggiano di armi pesanti quali artiglieria e mezzi corazzati.
A questi veterani lo Stato Islamico affianca molti giovani arruolati tra le tribù penalizzate dopo la guerra che nel 2011 fece cadere il regime di Muammar Gheddafi e cioè la tribù del rais (Qaddafyia) e le popolazioni negroidi della regione meridionale del Fezzan.
Non è un caso che sia proprio Sirte, città natale del raìs, la roccaforte dello stato Islamico in Libia.
La milizia di Misurata ha una forza stimata in 30/40 mila combattenti e dispone anche di armi pesanti: decine di vecchi tank, centinaia di blindati e persino batterie di missili antiaerei catturati all’esercito di Gheddafi.
Mezzi di cui è però difficile valutare l’operatività che potrebbe essere piuttosto scarsa a causa delle risorse finanziarie e logistiche necessarie a mantenerli efficienti.
Maggiori capacità in questo ambito vengono attribuite all’esercito di Tobruk de generale Khalifa Haftar che raccoglie circa 30 mila uomini inclusi molti ex militari di Gheddafi con artiglieria, cingolati e carri armati oltre a una ventina di decrepiti cacciabombardieri Mig 21.
Molto forti le diverse milizie islamiste del Fronte Alba della Libia composto da Fratelli Musulmani e Salafiti (la cui ideologia non è dissimile da quella qaedista e dell’Isis) dotati anche di artiglieria, blindati e forse ancora qualche Mig.
Tutte insieme a Tripoli schierano circa 35 mila combattenti ma qualche altro migliaio combattono a Bengasi contro le truppe di Haftar al fianco delle milizie di al-Qaeda di Ansar al-Sharia, movimento che oggi pare non disponga di più di 5 mila combattenti e che soffre un’emorragia di adepti a favore dello Stato Islamico.
Rilevanti anche le capacità delle milizie di Zintan, con forze stimate 25/30 mila combattenti alleate di Tobruk che dall’ovest della Tripolitania minacciano di attaccare Tripoli per strapparla agli islamisti con l’appoggio della milizia tribale dei Warfhalla .
Nel vasto deserto del Fezzan operano altre milizie, in gran parte dedite alla gestione di traffici illeciti, le più importanti delle quali sono i Tuareg (alleati di Tripoli) e i Tebu schierati con Tobruk, che dispongono di qualche migliaio di combattenti e armamenti leggero.
Foto: Ansa, Reuters, Stato Islamico, Libya Herald
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.