Le opzioni per un intervento italiano in Libia

Voci, indiscrezioni e qualche notizia concreta consentono di ipotizzare quale potrebbe essere l’impegno militare italiano in una eventuale operazione in Libia. Operazione internazionale ma a guida italiana su cui premono (pure troppo !) gli Stati Uniti ma che per Roma non è attuabile finché non si concretizzeranno i prerequisiti richiesti per dare il via al dispiegamento di una missione di stabilizzazione e cioè la nascita e l’insediamento a Tripoli del governo di salvezza nazionale guidato da Fayez al-Sarraj. Ipotesi che appaiono oggi piuttosto remote.

I piani elaborati dal Comando Operativo di Vertice interforze contemplano diverse opzioni, in base allo sviluppo degli eventi, anche se nessuna decisione sia stata finora presa dal vertice politico.
Le forze navali già in campo con l’Operazione Mare Sicuro includono una mezza dozzina di navi, fucilieri di Marina e forze speciali (circa mille effettivi) destinati a proteggere le piattaforme off-shore ed eventualmente del terminal del gasdotto Greenstream di Melitha, a ovest di Tripoli.

isislibya3Qualora il governo di al-Sarraj riuscisse a nascere con il supporto di tutte le fazioni libiche e a chiedere l’intervento  internazionale, l’Italia potrebbe assumere la guida di una missione di stabilizzazione approvata dalle Nazioni Unite ponendovi al vertice un generale di corpo d’armata.

La missione, che dovrebbe prendere il nome di Lybian International Assistance Mission (LIAM), verrebbe strutturata su più componenti con l’obiettivo di fornire sicurezza ad alcune aree e infrastrutture strategiche (come pozzi e terminal di gas e petrolio, sedi istituzionali e infrastrutture strategiche) oltre ad assicurare istruttori e consiglieri militari alle forze libiche che dovranno combattere lo Stato Islamico.

imagesCAJ1IQCBL’Italia è in grado di trasferire in Libia il comando della Divisione Acqui come quartier generale multinazionale. Si tratta di un comando costituito e preparato proprio per essere proiettabile ma per l’eventuale operazione in Libia pare metterebbe a disposizione solo i suoi veicoli e le strutture campali poiché il personale verrebbe probabilmente fornito dalla Divisione Friuli che non dispone di strutture per schierarsi all’estero e in Italia ha alle sue dipendenze le brigate Ariete, Friuli e Pozzuolo del Friuli.

Si tratta delle brigate che sembrano destinate a fornire contributi al contingente il cui grosso sarà probabilmente costituito dalla brigata paracadutisti Folgore e dai fucilieri di Marina della brigata San Marco oltrte ai consueti assetti di forze speciali.

MARINA-MILITARE-Lo staff della Divisione Friuli si è del resto recentemente addestrato a Bracciano (esercitazione per posti comando Pegaus) simulando uno scenario “reso sempre più reale e aderente ai contesti operativi attuali”, come recita un comunicato pubblicato sul sito dell’Esercito.

Tra i mezzi non è certo vi siano limitate forze corazzate e d’artiglieria ma sarebbero previsti elicotteri multiruolo  NH-90, da trasporto CH-47 e da attacco AW-129D Mangusta.

Alla forza terrestre sono pronte a partecipare anche unità britanniche (con alcune posizioni loro assegnate nel comando) e tedeschi che vorrebbero schierare istruttori in Tunisia per addestrare le forze libiche.  Londra sta inoltre inviando in Tunisia 20 consiglieri militari per migliorare il controllo della frontiera libica attraversato dai miliziani dello Stato Islamico men te anche la Francia potrebbe essere della partita

06.-foto-di-repertorio-velivolo-a-pilotaggio-remoto-PredatorLa componente aerea potrebbe venire basata inizialmente a Trapani per poi trasferirsi eventualmente in un aeroporto libico ritenuto sicuro mettendo in campo aerei cargo C-130, velivoli teleguidati Predator e Reaper oltre a cacciabombardieri AMX  (4 sono già stati rischierati a Trapani per ogni evenienza) e Tornado da impiegare per compiti di ricognizione anche sui territori controllati dallo Stato Islamico.

La componente navale della LIAM verrebbe probabilmente assicurata inglobando la missione italiana Mare Sicuro e quella europea Eunavfor Med (già a comando italiano), nata per contrastare i trafficanti di immigrati clandestini ma che finora è risultata piuttosto inconcludente anche perché non è autorizzata a operare nelle acque libiche. Nel complesso l’Italia potrebbe mettere in campo da 3 a 5 mila uomini (per lo più dell’Esercito ma con componenti di Marina, Aeronautica e Carabinieri).

1La determinazione di Roma di evitare il coinvolgimento in operazioni belliche contro lo Stato Islamico rappresenta però un limite alle ambizioni di guidare la missione internazionale ma potrebbe venire aggirata separando nettamente la LIAM dalle forze da combattimento che singoli Stati volessero mettere in campo.

Già ora le forze speciali francesi, britanniche, statunitensi e egiziane presenti in Libia rispondono a comandi nazionali. Una missione di stabilizzazione e una di combattimento,  come è già accaduto nei primi anni dell’intervento della NATO in Afghanistan quando la missione Isaf non aveva compiti di combattimento assegnati invece all’operazione “parallela” statunitense Enduring Freedom.

Nel 2011, in Libia, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti mantennero forze da combattimento aeree, terrestri e navali sotto il comando nazionale che operavano in modo autonomo dal comando NATO di Napoli.
Differenziando compiti e missioni l’Italia avrebbe il suo “posto al sole” ma francesi, britannici, egiziani e statunitensi manterrebbero mano libera per operazioni militari tese a perseguire interessi nazionali, non necessariamente coincidenti con quelli italiani.

01-A129-Mangusta-21Non si può del resto escludere che il fallimento del governo di al-Sarraj induca gli alleati a scatenare un’operazione militare contro lo Stato Islamico in Libia anche senza “l’invito” di un governo locale. In tal caso l’Italia dovrebbe scegliere se chiamarsi fuori o partecipare alle operazioni ma, come nel 2011, con un ruolo che difficilmente sarebbe di leader.

In tal caso Roma potrebbe mettere in campo le forze d’élite, qualche centinaio di uomini per colpi di mano e incursioni dal mare e dal cielo, appoggiati dalle navi già oggi assegnate a Mare Sicuro e da una forza aerea di almeno una quindicina di velivoli tra AMX, Tornado ed elicotteri da attacco Mangusta:  un dispositivo non dissimile da quello attivato nel 2011 per le operazioni contro le forze di Gheddafi.

(con fonte Il Mattino)

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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