PUTIN ANNUNCIA IL RITIRO MA I RUSSI RESTANO IN SIRIA
(aggiornato il 16 marzo alle ore 8,50)
Ancora una volta quella vecchia volpe di Vladimir Putin ha colto tutti di sorpresa e dopo aver incassato il successo militare conseguito in sei mesi di operazioni militari in Siria annuncia il ritiro di gran parte delle sue forze.
“Credo che la missione delle Forze armate russe in Siria sia terminata. Ho ordinato di iniziare il ritiro di gran parte dei nostri militari, a partire da domani”, ha detto ieri Putin in un incontro con i ministri di Difesa ed Esteri Serghei Shoigu e Serghei Lavrov.
Dopo i successi conseguiti in 9 mila missioni aeree di attacco (400 centri abitati e 3.800 miglia di territorio siriano riconquistati) e la sostanziale tenuta della tregua varata a fine febbraio (nonostante almeno 208 violazioni denunciate da Mosca e Damasco) tra le forze governative siriane e i ribelli non jihadisti, il Cremlino sembrerebbe così voler lasciare spazio alla diplomazia puntando a ricoprire un ruolo più politico non solo nella crisi siriana ma in tutto lo scenario mediorientale.
L’annuncio di Putin ha suscitato stupore, sconcerto e cautela soprattutto nel mondo arabo e in Occidente mentre analisti e osservatori si stanno chiedendo quali reali ragioni si celino dietro il ritiro che in ogni caso non sarà completo e non riguarderà gli strumenti di maggiore deterrenza, come le batterie di missili tera-aria a lungo raggio S-400.
Qualcuno sottolinea le difficoltà economiche della Russia che rendono non più sostenibile uno sforzo bellico che sembra avere costi di almeno 8 milioni di dollari al giorno (circa quanto spendono gli USA per le forze assegnate alla Coalizione anti-Isis) ma la spiegazione non sembra essere molto convincente tenuto conto dell’impatto positivo, in termini strategici e politici, determinato dall’intervento in Siria.
Altri valutano che Putin abbia mantenuto l’impegno assunto per una campagna militare breve in modo da evitare di invischiarsi in un “nuovo Afghanistan” ma finora il ruolo militare di Mosca nella guerra siriana (5 mila militari, 50 aerei da combattimento e 20 elicotteri) ha visto un limitato impiego di forze terrestri (qualche tank T-90, artiglieria e soprattutto forze speciali e consiglieri militari) mentre il ruolo di propulsore dell’offensiva contro i ribelli è stato assegnato soprattutto alle forze aeree e in parte ai missili da crociera lanciati dalle navi nel Mediterraneo e nel Mar Caspio.
Altri osservatori sospettano un “bluff” di Putin o un “accordo segreto” raggiunto con Washington che coinvolga contropartite anche nella crisi in Ucraina e riguardo alle sanzioni economiche a Mosca.
L’impressione è invece che il Cremlino possa oggi rinunciare almeno a una parte delle forze schierate in Siria per il semplice fatto che è stata completata l’ampia ristrutturazione delle forze di Damasco attuata al prezzo di ingenti investimenti russi e dell’impiego di un buon numero di contractors e consiglieri militari.
L’esercito schiera nuovi blindati, artiglierie e i tank T-90, meno vulnerabili dei T-72 ai missili antucarro dei ribelli.
Dopo quattro anni di guerra, un anno or sono l’Aeronautica siriana era ridotta a mal partito in termini di ricambi, armi, munizioni e piloti al punto che gran parte delle operazioni venivano effettuate con il lancio a bassa quota (al prezzo di molti abbattimenti ad opera ei missili antiaerei portatili dei ribelli) di armi non guidate, bombe, razzi e “barili bomba” a opera dei decrepiti Mig 21, Sukhoi Su-22, addestratori armati L-39 ed elicotteri Mi-8 e Mi-24.
L’intenso sforzo di Mosca ha rinnovato negli ultimi 12 mesi le capacità operative delle forze aeree siriane al punto che sempre più spesso i jet di Damasco affiancano in missione quelli russi.
Oggi le forze aeree siriane possono disporre di almeno 130 Mig 23, Mig 29 e Sukhoi 24 radicalmente aggiornati dall’industria russa che sembra abbia fornito anche alcuni Mig 29 nuovi.
Velivoli dotati di bombe guidate e missili già in dotazione alle forze russe che hanno rafforzato ulteriormente la loro tradizionale presenza nei ranghi dell’aeronautica siriana in termini di tecnici, consiglieri militari e, secondo indiscrezioni, persino di piloti.
Questo significa che gran parte del lavoro effettuato finora dai cacciabombardieri con le insegne russe verrà probabilmente continuato dai velivoli con le insegne siriane.
Nonostante siano già decollati dalla base siriana di Hmeymin alla volta di Voronezh e altri aeroporti russi i cacciabombardieri Sukhoi Su-34 e alcuni cargo con a bordo materiale e tecnici, Mosca ha fatto sapere che in Siria resteranno circa mille militari inclusi 200 “assegnati a non meglio specificati compiti di ricognizione” e che le “operazioni contro i terroristi” non sono terminate come confermano i pesanti bombardamenti in atto ad Aleppo e nel settore di Palmira.
Foro; Novosti, Tass e Aeronautica russa
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.