F-35: un bambino un po’ “ritardato”
A partire dalla fine del 2018 il Pentagono finanzierà con 3 miliardi di dollari da spendere in sei anni un primo programma di “upgrade” dell’F-35. Le sue premesse e implicazioni sollevano nuovi interrogativi sull’andamento generale del programma Joint Strike Fighter.
Gli interventi di ammodernamento, i cui contorni essenziali sono stati decisi un anno fa, verranno resi disponibili nell’arco temporale 2020-2023 attraverso l’adozione del nuovo software Block 4 dei computer del “sistema F-35”, il primo programmato a valle degli 11 anni di sviluppo e sperimentazione della lunga fase di sviluppo e sperimentazione la cui conclusione è attesa per la fine del 2017.
L’implementazione di questo nuovo software getterà poi le basi di una svolta sostanziale nella concezione del velivolo, che stravolgerà uno dei principi basilari del suo progetto: secondo le ultime indicazioni del Pentagono, l’architettura “chiusa” dell’insieme dei suoi apparati, fondata su sistemi “proprietari”, dovrà lasciare il posto a una architettura “aperta”, come quella del futuro bombardiere statunitense B-21 o del caccia europeo Eurofighter.
La svolta in realtà sarà relativa, e comunque graduale. La questione dei sistemi, avionici e non, aperti o chiusi o semiaperti o semichiusi, va avanti da almeno trent’anni ed è una mania soprattutto americana, tentata su diversi aerei da combattimento, tra cui l’AV-8B Harrier II e l’F/A-18 (la allora Alenia Aeronautica a suo tempo vi fu coinvolta). I risultati sono sempre stati piuttosto deludenti, per ragioni sia teoriche che pratiche (industriali) e nonostante la forte spinta del Dipartimento della Difesa americano.
Secondo prassi consolidate, anche per l’F-35 il passaggio da un sistema all’altro dovrà avvenire per step successivi, con gli Stati Uniti che comunque non rinunceranno mai del tutto alla “proprietà” di quanto hanno sviluppato.
In ogni caso faranno pagare cara la cessione anche solo di piccole porzioni di quelle tecnologie, soprattutto per integrazioni “strategiche” come per esempio un sistema di navigazione satellitare diverso dal loro GPS (vedi il Galileo europeo). Per customizzare con prodotti nazionali i loro F-35, gli Israeliani si sono inventati un sistema anch’esso “chiuso” ma parallelo e in qualche modo dialogante con quello statunitense.
Una strada simile hanno tentato gli Inglesi per l’integrazione del loro missile aria-aria a corto raggio ASRAAM, ma con risultati dubbi, tanto da sospettare che il loro sia stato più che altro un modo di “salvare la faccia della Corona”.
Alla fine, osservano gli specialisti della materia, i costruttori del JSF finiranno per sviluppare una via di mezzo fra le due architetture “chiusa” e “aperta”, con interfacce standard tali da poter integrare nuovi apparati e armi con modalità più semplici ed economicamente meno onerose, ma impedendo comunque la penetrazione diretta nelle logiche del sistema.
C’è un precedente, peraltro sfortunato: negli Anni 90 Washington propose, senza molta convinzione, il DODAF, Department of Defense Architecture Framework, un protocollo per la condivisione di sistemi, ma l’iniziativa finì in un cassetto.
Un programma nuovo
L’adozione del Block 4 del software presenta intanto un primo problema di ordine procedurale/amministrativo.
A sollevarlo il 23 marzo è stato Michael J. Sullivan, responsabile per i programmi militari dell’ormai “popolare” Government Accoutability Office (GAO), sentito dalla Commissione difesa della Camera dei Rappresentanti (per la precisione dalla Sottocommissione Forze tattiche aeree e terrestri).
Dato l’elevato costo dell’upgrade, ha spiegato Sullivan, il Dipartimento della Difesa dovrebbe gestirne il programma al di fuori da quello complessivo dell’F-35, mettendolo addirittura in cima alla lista suoi Major Defence Acquisition Program (MDAP).
Insomma, un programma nuovo. Sullivan ha indicato questa come la via maestra da seguire, la stessa già percorsa, per gli stessi motivi, per l’ammodernamento dell’F-22, quando costruttore e cliente non riuscirono a far passare come un qualunque step dello sviluppo del programma il robusto upgrade che fa tuttora del Raptor il caccia con le migliori prestazioni nell’Air Dominance.
Con il Block 4 classificato MDAP, il GAO ma prima ancora il Congresso potrebbero controllarne più propriamente tempistica, costi e benefici associati, avendo abbastanza chiara – questo il punto, che dovrà riguardare anche i decisori del nostro Paese – la separazione fra ciò che implica una modernizzazione e quanto invece riguarda il rispetto della Baseline del programma.
Una zona grigia nella quale il GAO invece vede molto bene, perché è un fatto che oltre ad aggiungere nuove capabilities all’aereo, il Block 4 dovrà incorporare varie funzioni che erano invece destinate al precedente Block 3F, per esempio nel sistema di auto-prognosi e nelle comunicazioni – guarda caso due aree di eccellenza dello stealth di Lockheed Martin.
Le insidie del “continuous upgrade”
Le polemiche si appuntano in definitiva sulla vera natura di questa nuova versione del software del JSF e sulla validità di quello sviluppato in tutti questi anni.
Sappiamo che ogni programma militare procede per gradi, con incrementi di capacità e miglioramenti (il cosiddetto “continuous upgrade”) dettati dall’evolversi dei requisiti rispetto a una Baseline che nel migliore dei mondi possibili dovrebbe restare abbastanza stabile nel tempo – nel Joint Strike Fighter sta avvenendo l’esatto contrario.
Gli upgrade finiscono sempre per “aggrapparsi” agli interventi di implementazione che lo sviluppo via via impone, ma il punto è che più lo sviluppo allunga i suoi tempi, più questa sovrapposizione si carica di complicazioni, incognite e – last but not least – nuovi costi. E’ quello che il Pentagono si propone di evitare per esempio, giusto dopo l’esperienza del JSF, col bombardiere LRS/B-21.
Sta forse anche qui – al di là dell’eccezionalità del programma – la ragione della costanza (per taluni è vero accanimento) con cui i due controllori del programma, il Government Accoutability Office da un lato e il DOT&E (il Director of Operational Test and Evaluation in seno all’ufficio del Segretario della Difesa, nominato come quest’ultimo dal Presidente) dall’altro, rimarcano anno dopo anno i rischi che comportano i tempi troppo lunghi di questo programma con i suoi svariati e continui problemi tecnici.
Tra le 931 problematiche ancora aperte citate nel suo ultimo rapporto di gennaio, il DOT&E ne segnala 158 di categoria 1, quelle cioè che possono portare ad avarie importanti e ferite gravi se non addirittura la morte del pilota, e imporre l’alt alle linee di montaggio.
I guai segnalati vanno da un consumo eccessivo di combustibile ai malfunzionamenti del sistema logistico ALIS (le imminenti prove con un ALIS dell’Air Force sarebbero impedite dal fatto che quello della Lockheed non obbedisce ai requisiti di cyber security dei militari) e del seggiolino eiettabile, quest’ultimo tarato per piloti con standard di peso difformi da quelli in vigore ad esempio nell’Aeronautica Militare Italiana.
Il capo del JSF Office generale Chris Bogdan a febbraio dichiarava che i guai sono molti meno, 419 (riferendosi forse al solo aereo e non al “sistema” aereo+ALIS). “Sono 419 cose che dobbiamo ancora decidere come, se e quando sistemare”.
Il Block 3F non sta facendo e non farà tutto quello che si era previsto 10 anni fa
Il Pentagono ha fatto sapere che in ogni caso non gestirà il Block 4 come un Major Defence Acquisition Program, anche se presenta con approccio tipicamente commerciale le nuove capabilities di questa nuova versione come altrettante “proposte”.
L’ha fatto per bocca del generale Bogdan, sentito dalla Commissione parlamentare lo stesso giorno del responsabile del GAO, quando ha promesso comunque “la massima trasparenza” su questo ulteriore sviluppo dell’aereo da attacco.
Gestire il Block 4 come una naturale, normale prosecuzione dello sviluppo iniziale del “sistema F-35”, quindi senza uno specifico avallo del Congresso, in realtà starebbe a dimostrare, come sostengono da tempo diversi osservatori e – ciò che più conta – lo stesso direttore dell’integrazione dell’F-35 nell’US Air Force generale Jeffrey Harrigian (l’ha dichiarato in ottobre), che l’aeroplano sarà in grado di dimostrare tutta la sua efficacia (“full warfighting capability”) proprio con questo nuovo software, e non col precedente Block 3F, lo standard cui si sta lavorando in questo momento, non disponibile in serie prima della 2017.
Occorre ricordare che gli accordi bilaterali firmati fra Roma e Washington si fermano qui, cioè a questo Block: se vogliano andare oltre dobbiamo rinegoziare l’accordo, aumentando di conseguenza il nostro impegno economico, e in misura affatto trascurabile.
Si sa che stiamo seguendo la questione Block 4, ma non è chiaro con quali intenzioni (e soprattutto con quali relative risorse finanziarie aggiuntive).
Ad avvalorare la tesi secondo cui col Block 3F l’aereo non farà bene tutto quello che prevede la Baseline approvata nel 2006, c’è che il Block 4, come ha sostenuto Sullivan davanti al Congresso, oltre a integrare nuovi sistemi d’arma chiesti dalle forze aeree americane, norvegesi, turche e britanniche (non è dato sapere in quale misura il Block 4 interessa anche noi), come s’è già detto dovrà servire in buona considerevole anche a correggere i “bachi” del Block 3F e a implementare ciò che in esso non si è riusciti o fatto in tempo a inserire.
Allo stesso modo, il Block 3F sta “rappezzando” il precedente Block 3i implementandone alcune capacità, il 3i ha fatto lo stesso nei confronti del 2B, e quest’ultimo col 2A. Una serie di ripetuti “esami di riparazione” che, certo, s’è già vista in altri programmi avanzati – l’Eurofighter non ne è stato esente – ma che come abbiamo scritto più volte, nell’F-35 raggiungono livelli assolutamente parossistici.
A riferire le difficoltà che stanno incontrando i test delle due versioni finali del software della fase di sviluppo (Block 3i e 3F) è stato ancora il 23 marzo il capo del DOT&E Michael Gilmore.
L’immaturità e l’instabilità del software del sistema di missione del Block 3i (in pratica un completamento del 2B) hanno continuato a manifestarsi anche quando si è cominciato a provare il successivo Block 3F. A loro volta, i primi test su quest’ultimo, partiti a febbraio, hanno evidenziato gli stessi problemi.
A quel punto si è deciso di ricominciare alla fine di marzo con i test sul 3i (sotto-versione 3iR6.21), che è poi lo standard con cui l’Air Force americana dichiarerà tra agosto e dicembre la capacità operativa iniziale dei suoi F-35A e che equipaggerà i primi (uno-due) esemplari che il 32° Stormo dell’Aeronautica Militare riceverà entro Natale.
La marcia indietro penalizzerà, ritardandoli ulteriormente, i test sul Block 3F, che Gilmore prevede non sarà disponibile prima della fine dell’anno venturo. I nuovi ritardi, ha aggiunto, faranno poi slittare di due anni l’inizio dei test operativi iniziali. Saranno eseguiti con aerei col software 3F, che come s’è detto rischia di andare a completamento solo all’intero nel Block 4, dunque senza la “full warfighting capability” attesa.
Venendo a casa nostra, i primi F-35 tricolori a decollo convenzionale opereranno con uno standard più basso di quello stabilito più di dieci anni. Di più, dovranno affrontare un lungo gap prestazionale, perché la release finale del Block 4 (4.4) non sarà disponibile prima del 2023. Certo, il gap potrà essere mitigato acquistando eventuali ulteriori affinamenti dello standard precedente.
Ma opereremo per anni e anni, per esempio, con un sensore di scoperta dei bersagli e di puntamento delle armi (lo EOTS) che, come abbiamo scritto in ottobre, i tempi di sviluppo troppo lunghi del programma hanno già oggi reso superato. Un sensore del quale nel Block 4 gli Stati Uniti propongono la sostituzione con una versione migliorata Advanced EOTS.
“Fra cinque o dieci anni”
Il Block 4 migliorerà poi anche le prestazioni degli apparati di guerra elettronica e del radar, ma siamo da capo, è difficile stabilire se si tratterà di prestazioni aggiuntive a quelle odierne, o del semplice arrivo a maturazione di quelle programmate a suo tempo.
Questo nuovo standard amplierà capacità che fra 5-7 anni si devono peraltro dare per scontate, come la funzione Big SAR (Synthetic Aperture Radar) del radar APG-81.
Ancora, col Block 4 l’F-35 potrà impiegare armi oggi allo stato dell’arte ma attualmente non integrabili con gli attuali software: la Norvegia userà il suo nuovo missile JSM; la Turchia la sua bomba a guida satellitare HGK e il missile da crociera SOM; la Gran Bretagna monterà sui suoi F-35 STOVL Block 4 varianti via via migliorate del suo missile aria-superficie SPE@R, e come s’è accennato, a febbraio ha avviato l’integrazione del suo missile aria-aria a corto raggio ASRAAM. Il Block 4 consentirà poi l’impiego di una versione guidata dell’arma nucleare B-61.
La nuova versione del software potrebbe in teoria consentire di integrare sui nostri F-35 l’eccellente missile aria-aria a corto raggio Iris-T, che equipaggia gli Eurofighter Typhoon. Il condizionale è doppiamente d’obbligo, perché si tratta anche qui di tirare fuori parecchi altri soldi.
Diversamente, l’aereo dovrà utilizzare la versione L del popolare AIM-9 Sidewinder, di cui dispongono già le nostre forze aeree, sensibilmente inferiore all’Iris-T; potremmo acquistare l’AIM-9X che gli Americani dovrebbero poter usare già col Block 3F, ma non si vede perché portare a casa un missile americano anch’esso inferiore a quello – di fabbricazione europea – che abbiamo sui nostri caccia Typhoon.
In ogni caso si tratterebbe di armi da montare sotto l’ala, non essendo disponibile prima del Block 4 la modifica delle baie interne con le apposite rotaie di lancio che invece ha richiesto Londra per i suoi ASRAAM.
Un altro esempio, questo, di come lo standard di missione oggetto degli accordi fin qui sottoscritti, possa addirittura degradare le capacità dell’aereo, visto che – come è arcinoto – se l’F-35 va in missione con armamento esterno, compromette la sua stealthness.
Trasparenza vorrebbe che almeno alla politica – parliamo sempre di casa nostra – tutte queste cose venissero spiegate forti e chiare.
Al di là dell’Atlantico, i piloti di F-35 alle dichiarazioni pre-fabbricate di circostanza, alternano testimonianze più pepate, come questa, resa da un test pilot dell’Air Force dopo la valutazione operativa di sei JSF rischierati su una base lontana da quelle che ospitano stabilmente da tempo l’aeroplano: “L’F-35 è perfetto?
Assolutamente no, ma è nella sua infanzia. Con la versione dell’aeroplano con cui voliamo qui e che è attualmente in fase di dispiegamento, c’è un sacco di tecnologia che è ancora da costruire e da perfezionare. Ho la speranza e la convinzione che fra cinque o dieci anni l’F-35 diventerà uno degli aerei più meravigliosi.”
Appunto, fra cinque o dieci anni.
Foto Lockheed Martin
Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli
Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.