Le Isole Sanafir e Tiran tornano saudite

La recente conclusione degli accordi tra Egitto ed Arabia Saudita per il trasferimento di due piccole isole del Mar Rosso, Sanafir e Tiran, sotto la sovranità saudita introduce una varabile geopolitica nuova dagli effetti imprevedibili nel medio e lungo termine.

Queste isole, situate nelle acque territoriali dell’Egitto, appartenevano originariamente all’Arabia Saudita, e sono state cedute volontariamente al paese nordafricano nel 1950, a seguito della richiesta saudita di proteggerle da un’eventuale invasione israeliana.

Probabilmente questo è stato anche un modo da parte del Regno saudita per distanziarsi dal conflitto arabo- palestinese, facendo ricadere le responsabilità sull’Egitto, come spiega il ricercatore del Strategy & Security Institute dell’Università di Exeter Tallha Abdulrazaq su Middle East Eye.

Nel 1967, il blocco degli stretti di Tiran da parte dell’Egitto fu considerato da Israele il casus belli che diede origine alla guerra dei sei giorni. La cessione ai sauditi potrebbe anche essere giudicata una violazione degli accordi di pace stretti da Il Cairo e da Gerusalemme nel 1979.

Le due isole furono restituite all’Egitto da parte di Israele solamente nel 1982, come stabilito dagli accordi di Camp David. Da allora, l’Arabia Saudita ne aveva sempre reclamato la proprietà, anche se non in maniera troppo insistente per non aprire relazioni diplomatiche dirette con Israele.

Del resto, finora, delle due isole non ne aveva né strategicamente né economicamente bisogno, ma oggi il Regno saudita ne ha chiesto la restituzione.

Il latente e fittizio contenzioso tra Egitto ed Arabia Saudita sembra essersi chiuso con la recente visita di re Salman in Egitto, definita dai media internazionali come storica. Al di là del valore simbolico che rivestono le isole, utilizzate come arma nella guerra israelo-araba, è chiaro che di baratto si è trattato. Anche se le autorità egiziane, per giustificare la cessione e far fronte alle critiche interne, si sono spinte addirittura ad affermare che le due isole sarebbero state solo sotto la “guida” egiziana pur appartenendo al territorio saudita.

Armi e denaro in cambio delle isole
La cessione non è stata un avvenimento improvviso ma il culmine di una serie di consultazioni terminate con la Cairo Declaration del luglio 2015, un accordo economico e militare stipulato per rafforzare i legami tra i due Paesi arabi, in cui la definizione dei confini marittimi veniva evocata come area chiave della cooperazione futura.

Il passaggio di sovranità all’Arabia Saudita delle due isole del Mar Rosso è tutt’altro che irrilevante, anzi è suscettibile di portare conseguenze per vari attori della scena mediorientale. Sebbene le due isole siano inabitate e desertiche, esse rivestono un’enorme importanza geostrategica, poiché si trovano all’imboccatura dalla quale il Mar Rosso entra nel Golfo di Aqaba.

L’Arabia Saudita pagherà infatti all’Egitto due miliardi di dollari per questa concessione, che le permetterà di controllare e potenzialmente di bloccare il traffico verso Aqaba ed Eilat. La compravendita fa parte di una serie di accordi per progetti di sviluppo e investimenti in Egitto del valore di 20 miliardi di dollari firmati tra  l’Arabia Saudita ed il paese di Abdel Fattah al-Sisi durante la visita al Cairo del re saudita avvenuta tra il 7 ed il 12 aprile scorso.

Per Israele, dal punto di vista ufficiale la cessione non pone particolari problemi di principio, purché avvenga nel rispetto della legge. Il ministro della Difesa israeliano Ya’alon ha garantito che ogni passaggio diplomatico è stato supervisionato da Gerusalemme.

La cessione di sovranità richiede, oltre all’approvazione del Parlamento egiziano, quella del Knesset, dal momento che è necessaria la revisione del Trattato di pace tra Israele ed Egitto.

Infatti, secondo la posizione ufficiale di Israele dell’epoca il ritorno delle isolette dall’Egitto all’Arabia Saudita avrebbe significato una rottura degli accordi. Tuttavia, da Gerusalemme viene fatto sapere che si tratta di una mera formalità, e che non vi sarà opposizione.

Secondo quanto riportata da Al Monitor, Israele non sarebbe stato colto di sorpresa dal trattato in quanto avrebbe partecipato ai negoziati segreti. Stati Uniti ed Israele sarebbero stati informati direttamente dall’Arabia Saudita del passaggio di sovranità prima dell’annuncio ufficiale.

Incognite per Israele?
Considerata però l’incertezza che la cessione va ad introdurre nelle questioni geopolitiche mediorientali, Israele ha aspettato un po’ prima di dare la sua benedizione al trattato egiziano – saudita. All’indomani dell’annuncio dell’accordo non era chiaro se fosse compreso anche il permesso di transito per le navi israeliane così come previsto dagli accordi di Camp David.

E sebbene l’Arabia Saudita si sia impegnata a rispettare il principio della libera navigazione, Israele è ben consapevole che “l’amico di oggi potrebbe essere il nemico di domani e il nemico di oggi l’amico di domani”, secondo le parole utilizzate dal generale Tal Kelman in una conferenza tenuta ad inizio aprile per promuovere l’acquisto dei jet F – 35 statunitensi.

Nonostante il trattato sia stato lodato dalle autorità di Tel Aviv, diverse sono le questioni che rendono i rapporti tra Israele ed Arabia Saudita quanto meno ambigui. Il Regno dei Saud ancora non riconosce Israele e recentemente il ministro degli esteri saudita Adel Jubeir in visita al Cairo si è tra l’altro preoccupato prima di tutto di comunicare al mondo arabo che Riyadh ovviamente non firmerà alcun accordo con Israele finché l’annosa questione  palestinese non sarà risolta.

Dichiarazioni dovute a parte, alcuni analisti sottolineano come il passaggio di sovranità delle isole sia proprio il simbolo della volontà di Ryadh di trattare direttamente ed apertamente con Israele per giungere ad una normalizzazione dei rapporti, finora condotti attraverso canali segreti.

Attraverso gli accordi egiziano- sauditi si assisterebbe indirettamente alla costituzione di una rivoluzionaria entente cordiale israelo- sunnita anche se la “strana coppia” Israele- Arabia Saudita si è costituita già da tempo.
Allentati i vincoli con Washington, i due paesi mediorientali si sono ritrovati a condividere il contrasto con l’Iran, crisi e minacce regionali e un comune senso d’isolamento e inquietudine. Netanyahu stesso ha apertamente affermato che l’Arabia Saudita è un “alleato” per Israele.

A marzo, una delegazione israeliana di alto livello si è recata a Riyadh “per discutere questioni di interesse comune”, dopo che lo stato israeliano si era associato alla decisione della Lega Araba di iscrivere Hezbollah nella lista dei movimenti terroristi.

L’obiettivo principale della nascente unione israelo- saudita sarebbe quello di contrapporsi agli antagonisti nella regione: Hezbollah nel Libano, ma naturalmente anche Siria e soprattutto Iran.

Se la potenza sciita minaccia continuamente la chiusura dello Stretto di Hormuz, ed i suoi alleati yemeniti  Houti sono considerati pericolosi per il Golfo di Aden, la sovranità sulle isole di Tiran e Sanafir può essere un mezzo per l’Arabia Saudita per proiettare la sua leadership sul tratto settentrionale del Mar Rosso.

In questo modo i sauditi opererebbero una sorta di strategia di diversificazione per rafforzare attraverso il controllo del Mar Rosso la presenza verso il Maghreb e la leadership nel Medio Oriente in quanto potenza sunnita per eccellenza per mezzo dei rinnovati rapporti economici con l’Egitto.

Preoccupazioni iraniane
Queste intenzioni devono anche essere lette alla luce della dichiarazione del presidente statunitense Obama della volontà di limitare il coinvolgimento militare diretto in Medio Oriente per lasciare spazio alle alleanze regionali.

In Iran, naturalmente, la cessione delle due isole è stata interpretata come il simbolo dell’espansionismo saudita. L’Iran del resto controlla le isole di Lesser Tunb, Greater Tunb e Abu Musa, rivendicate dagli Emirati Arabi Uniti, e agli occhi di Teheran Ryadh assume la veste di una potenza navale che sta estendendo a dismisura il suo controllo sulle acque mediorientali.

Per Israele il passaggio di sovranità delle isole del Mar Rosso appare allo stesso tempo come un’opportunità e come una minaccia, dal momento che per molti l’attuale intesa con l’Arabia Saudita difficilmente potrebbe sfociare in un’alleanza duratura. Secondo i media israeliani, l’acquisizione delle isole da parte di Ryiadh comporterebbe l’implicito riconoscimento del governo di Gerusalemme ed è questo il principale interesse israeliano. Gli effetti di lungo periodo derivanti dalla cessione restano però per Israele di difficile previsione.

La composita coalizione anti-iraniana appare potenzialmente un rivale per lo Stato Ebraico  anche alla luce dell’allarme lanciato dallo stesso ministro della difesa, Moshe Ya’alon, il quale ha affermato che l’intelligence sta investigando con preoccupazione sullo sviluppo di armi nucleari da parte delle nazioni arabe sunnite, in primis Arabia Saudita ed Egitto.
Mentre l’Arabia Saudita si starebbe rifornendo di armi nucleari provenienti dal Pakistan (Ryadh finanziò lo sviluppo della “bomba islamica” di Islamabad) l’Egitto ha da poco iniziato i lavori per la costruzione della prima centrale nucleare ad El Dabaa con il supporto russo.

Alleanze instabili
La cooperazione tra gli apparati militari e di intelligence israeliani ed egiziani degli ultimi mesi ha superato ogni aspettativa. Le preoccupazioni egiziane, condivise da Gerusalemme, per la radicalizzazione jihadista nel Sinai assieme alla collaborazione per la gestione delle risorse naturali hanno costituito la base per una solida cooperazione bilaterale e per un partenariato amichevole.

Secondo l’analista militare Amir Oren il trasferimento delle isole dall’Egitto all’Arabia Saudita potrebbe essere buon affare per Israele per il tipo di precedente che crea nel Medio Oriente: un Paese che cede volontariamente un pezzo di terra, seppure inabitato, ad un altro Stato.

Tuttavia, come nota Shaul Shay, direttore dell’Interdisciplinary Center di Herzliya, è proprio alla luce di tale accordo che Israele deve rivalutare la sua strategia di sicurezza nella regione. Data la posizione delle due isole, gli aerei israeliani si troveranno facilmente a sorvolare lo spazio saudita. Finché esiste il consenso di Ryadh non vi sono difficoltà ma in caso contrario lo spazio aereo sopra il Mar Rosso per Israele potrebbe diventare molto ridotto.
Inoltre, il codominio egiziano- saudita del Mar Rosso è utile per Israele fino al momento in cui il comune interesse rimane quello di contrastare le ambizioni iraniane nella regione. In altre circostanze, però, l’Arabia Saudita avrebbe potenzialmente la capacità di chiudere il Mar Rosso ad Israele.

E’ anche pensabile che il trattato, insieme al progetto di un ponte che colleghi attraverso Sharm el Sheikh e le due isolette Egitto ed Arabia Saudita, renda più facile per i miliziani islamisti raggiungere il Sinai, anche se i quotidiani sauditi sottolineano l’importanza strategica del ponte nel “facilitare il turismo legato al pellegrinaggio” e gli scambi commerciali. Se da un lato gli accordi possono cementare l’entente cordiale tra Israele ed Arabia Saudita, essi introducono variabili geopolitiche che sfuggono al controllo di Gerusalemme.

In Egitto, la scelta di cedere all’Arabia Saudita un pezzo di territorio nazionale è stata aspramente criticata dai media non allineati al regime. Numerose manifestazioni, represse puntualmente con mano ferrea, stanno ancora avendo luogo in tutti i governatorati.

L’incostituzionalità della cessione del territorio è stata evocata da un gruppo di avvocati e verrà discussa nella sede del Consiglio di Stato il prossimo 17 maggio. Al- Sisi è accusato di tradimento, mentre l’Egitto viene sarcasticamente dipinto da alcuni media come un Paese in vendita. I giornali sottolineano l’aspetto umiliante degli accordi con cui l’Egitto, detentore della leadership storica nella regione, si è venduto al migliore offerente.
Da varie parti, il prezzo pagato dai sauditi per la cessione delle isole non viene giudicato sufficiente, nemmeno da un punto di vista meramente economico (anche se i sauditi stanno sostenendo con miliardi di dollari l’economia e il riarmo del Cairo) qualora si prenda in considerazione un orizzonte temporale di medio – lungo termine: Sanafir e Tiran costituiscono- o meglio costituivano- una riserva naturale per l’Egitto che generava un indotto non irrilevante, a causa dell’afflusso di turisti stranieri e nazionali.

L’Arabia Saudita sta progettando di utilizzare le due isole in modo produttivo alla luce del Programma di Trasformazione Nazionale annunciato in dicembre 2015. Lo scopo è quello di ridurre la dipendenza dal petrolio, il cui prezzo negli ultimi mesi è continuato a diminuire, ed arginare così  parte delle conseguenze del pauroso deficit pubblico previsto per il 2016 (quello del 2015 si è attestato a 98 miliardi di dollari).

Il generale al-Sisi, oltre ad essere interessato prima di tutto a risollevare la situazione disastrosa in cui si trova attualmente l’economia egiziana, spera anche di ottenere la mediazione dell’Arabia Saudita per fare pressione sulla Turchia riguardo alla questione dei Fratelli Musulmani. Ankara resta infatti il primo sponsor dei Fratelli Musulmani egiziani assieme al Qatar.

L’aiuto economico saudita non è però incondizionato e non si basa sulla pura solidarietà verso il fratello sunnita: ogni concessione deve essere ripagata con il sostegno politico alla Lega Araba e all’Organizzazione della Cooperazione Islamica contro l’Iran ed Hezbollah o attraverso il supporto militare, ad esempio all’interno dell’Alleanza Militare Islamica per la lotta al terrorismo, a guida saudita.

Con la conseguenza che l’Egitto si potrebbe ritrovare ben presto ad essere non solo economicamente e militarmente legato a filo doppio all’Arabia Saudita, ma una sorta di satellite di Ryadh.

Del resto, le divergenze politiche permangono sulle questioni riguardanti lo Yemen e la Siria )Il Cairo sostiene il regime di Assad a differenza dei sauditi). Le relazioni tra Il Cairo e Riyadh, che si erano molto raffreddate a seguito della salita al potere di Re Salman, difficilmente conosceranno un nuovo idillio solo grazie ai miliardi iniettati nell’economia egiziana.

Se la novità più importante che gli accordi per la cessione delle isole introducono è la convergenza funzionale tra potenze sunnite ed Israele, dal punto di vista degli equilibri regionali il baricentro del potere si sposta chiaramente verso l’Arabia Saudita, che con una mossa sola ha realizzato tre obiettivi: consolidare una strategia di diversificazione delle esportazioni, trattare con Israele in chiave anti-iraniana, e trovarsi in una posizione che le permette di fare pressione sull’Egitto perché appoggi le sue iniziative militari, a cominciare da quella nello Yemem contro gli insorti sciti Houthi.

Foto: Reuters, AP, al-Monitor, Presidenza Egiziana, IDF, WSJ, Defence Talk e ABNA

Classe 1983, Master in Relazioni Internazionali e Dottorato di Ricerca in Transborder Policies IUIES, ha maturato una rilevante esperienza presso varie organizzazioni occupandosi di protezione internazionale delle minoranze, politica estera della UE e sicurezza internazionale. Assistente alla cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali e Politica Internazionale presso l'Università di Trieste, ricercatrice post-dottorato presso il Centro di Studi Europei presso l'Università Svizzera di Friburgo, e junior member presso la Divisione Politica Europea di Vicinato al Servizio Europeo per l'Azione Esterna. Lavora attualmente presso Small Arms Survey a Ginevra come Ricercatrice Associata.

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