Migranti “volàno” per l’inclusione dei Balcani nell’Ue

di Pier Paolo Garofalo da Il Piccolo del 23 maggio

Trieste – L’esplosione della cosiddetta rotta balcanica, con i suoi drammi umani, il suo peso economico e la deflagrazione politica annessa ha avuto l’indubbio merito di, almeno, riproporre i Paesi dei Balcani sotto i riflettori europei e internazionali, prodromo di un rinnovato sforzo per inglobare nell’Unione europea le nazioni della regione.

Condividono questo giudizio sia la Commissione Ue, l’organo esecutivo comunitario, che l’Osservatorio Balcani e Caucaso, ramo della Fondazione Campana dei Caduti di Trento. Lo fanno anche a Trieste, in occasione della tavola rotonda su Flussi di rifugiati attraverso i Balcani e integrazione nell’Ue dei Paesi dell’area, ospitata dall’Iniziativa cetroeuropea.

Sull’efficacia di questo ennesimo “capitolo” dell’operazione integrazione e sui tempi nei quali sarà completato l’inglobamento nell’Ue di tutta la tormentata penisola, invece, Ue e Osservatorio si discostano, pur ribadendo fiducia reciproca e una “vision” comune. «All’inizio il nostro approccio è stato sbagliato – commenta Giulio Venneri, della Direzione generale della Commissione -: abbiamo dato aiuto agli Stati più esperti credendo nell’effetto-pioggia».

Ora la partita, per l’esponente dell’esecutivo Ue, si gioca però su due binari che tendono nella realtà quotidiana a collidere e che invece i vertici dell’Unione vogliono fare correre in parallelo: solidarietà e sovranità.

«Davanti a un fenomeno migratorio così vasto e drammatico, davanti a numeri così ingenti, ci sono stati e ci sono da parte di vari governi dei Balcani – spiega – timori sull’erosione della propria sovranità. Si spiegano così certi atteggiamenti di chiusura. Che però minano la stessa struttura fondante dell’Unione».

Da diplomatico Venneri non si sbilancia ma cita un episodio emblematico, anche se non balcanico, senza commentarlo: quello dell’Estonia, che ha vissuto momenti di autentici disordini di piazza davanti alla prospettiva di dovere accogliere 30 migranti dal centro di Pozzallo, in Sicilia.

«L’Unione europea – continua Venneri – usa la “carota” della liberalizzazione dei visti per convincere i governi della penisola a cooperare maggiormente nell’accoglienza, supportandoli economicamente: in berve tempo di recente 5 nazioni l’hanno ottenuta e ora è la volta del Kosovo». L’Ue spinge, favorisce e appoggia anche l’adozione di passaporti biometrici, lo scambio di dati e la sicurezza alle frontiere ma soprattutto il “rule of law” il consolidamento dello stato di diritto.

«In certi Paesi dell’area il concetto, che concordo essere basilare, è ancora ben lontano dall’essere metabolizzato e assistiamo a rigurgiti di nazionalismi, veti incrociati tra Stati, neo nazionalismi o derive autoritarie, come in Macedonia» dichiara Luisa Chiodi, direttrice dell’Osservatorio trentino, una lunga esperienza nella regione.

«Bisogna assolutamente fare ritrovare il dialogo su problemi comuni – continua – e una volta stabilizzata la questione migranti a livello regionale, appoggiare una nuova politica d’investimenti. Con una popolazione di 15 milioni di abitanti i Balcani sono stati “invasi” da un milione di migranti: quale straniero investirebbe nell’area, ora come ora?».

Ma i grandi flussi di questi ultimi mesi se hanno scoperto alcuni nervi dei governanti locali hanno anche messo a nudo i giochi politici interni nell’Ovest dell’Ue, i piccoli e grandi egoismi tra Stati e governi, le risposte scomposte e i rimpalli di responsabilità. Su questo Commissione e Osservatorio, a Trieste, sono sulla stessa lunghezza d’onda: occorre autocritica e onestà intellettuale.

E in merito alla lunghezza, ce n’è un’altra che preoccupa maggiormente Chiodi. «Vedo il completamento dell’allargamento dell’Ue a tutti i Balcani molto lontano» sentenzia con tono sconfortato. Sembra che i 20 anni dalla fine della guerra in Bosnia-Erzegovina e l’altrettanto lungo sostegno della comunità internazionale abbia prodotto ben poco, data la litigiosità delle cancellerie e delle opinioni pubbliche balcaniche.
Lo confermano i profughi, non quelli di questi mesi ma quelli degli Anni ’90: ce ne sono ancora 80mila, da 20 anni.

Foto: Ansa, Reuters e AP

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