PTSD: e se guardassimo all’Alaska?

di Rachele Magro*

Come è noto l’Italia non ha mai mostrato molta sensibilità nei confronti del disturbo post traumatico da stress (PTSD) quasi come se i nostri militari fossero considerati immuni da qualsiasi conseguenza psichica connessa al loro impiego in operazioni. Nella Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell’utilizzo dell’uranio impoverito, qualche settimana or sono, il capo di stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano ,ha detto che la Difesa garantisce “massima priorità alla sicurezza del lavoro e alla tutela dell’integrità psicofisica del personale“.

A questo proposito può essere utile osservare cosa sta accadendo oltre Atlantico,  dove benessere dei militari si avvicina davvero al concetto di “massima priorità”, sebbene i processi di presa in carico dei veterani ai quali viene ipotizzata una diagnosi di PTSD, si basino su un livello di integrazione e collaborazione di servizi molto diverso dal nostro.

Si chiama HJR 30 la risoluzione presentata da Bob Herron (nella foto sotto), deputato democratico della Camera dei rappresentanti dell’Alaska, che mira a cambiare la percezione del disturbo post traumatico partendo proprio dal suo nome.
Il 9 Aprile 2016 con 35 voti favorevoli, la Camera dell’Alaska ha approvato questa risoluzione comune (HJR 30) che tende a riconoscere il PTSD alla stregua di un infortunio, letteralmente “injury”; la stessa deliberazione, il 18 Aprile,  ha passato l’esame finale al Senato.

L’HJR 30 incoraggia l’uso del termine “ferita da stress post-traumatico o PTSI” invece di disturbo da stress post-traumatico o PTSD e chiede che questo nuovo termine venga inserito nella prossima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Si cerca quindi di superare il concetto di incurabilità e di inabilità a favore di un processo nuovo non solo di consapevolezza, ma soprattutto di considerazione sociale in cui è prevista la possibilità di un recupero e di una riabilitazione, favorendo in tal modo le persone stesse a cercare volontariamente aiuto e assistenza per la diagnosi e il trattamento.

Tale risoluzione dello Stato dell’Alaska, inviata al Presidente Obama e al Congresso, verrà anche condivisa con l’American Psychiatric Association affinché venga sollecitata la riflessione sul pregiudizio e sulla limitazione che il termine stesso determina.

Il 27 Giugno 2016 ,nell’ottica di rendere maggiore la partecipazione sociale alle problematiche dei veterani , è stato designato negli Stati Uniti come giorno nazionale della consapevolezza per il PTSD.

Sempre ad Aprile di quest’anno, i leader del Senato hanno avviato un dialogo su un’importante serie di riforme per il Dipartimento degli Affari per i Veterani. Relativamente all’assistenza sanitaria, la nuova legge prevede una massiccia espansione dei programmi del VA (Veteran Affairs) riguardanti le cure per i veterani feriti in modo grave, includendovi anche un supporto finanziario, benefici medici e altri servizi per i famigliari che forniscono assistenza.

La legge conterrà anche indicazioni che aiuteranno il VA a velocizzare il programma Veterans Choice e le altre iniziative del Dipartimento che permettono ai veterani di ricevere assistenza al di fuori delle strutture del VA.
Mentre il nostro Sistema Difesa continua a ritenere centrali altre esigenze sulle tematiche sanitarie, l’America rimodella e migliora ciò che già sta facendo da anni e discute sui processi di cura interni ed esterni al suo Dipartimento. Sono tantissime le associazioni paramilitari con la mission di prendersi cura dei soldati e delle loro famiglie.

Insomma è agli Stati Uniti, che oggi, così come in passato, dobbiamo attribuire il ruolo di pioniere per quanto attiene l’attenzione profusa verso i veterani e i militari ancora in servizio.

Nel 1989 all’interno del Dipartimento degli Affari per i Veterani fu creato su mandato del Congresso il Centro Nazionale per il PTSD perché potesse diventare centro di eccellenza in primis per la ricerca e la formazione e poi per  la diagnosi e cura dei veterani nella società americana.

Negli anni la struttura si è ampliata arrivando a costituire  sette centri sparsi in tutta l’America dal Vermont al Massachusetts, passando per il Connecticut, la California fino alle Hawaii; ognuno di essi con  specifiche aree di competenza.
Il Centro Nazionale per il PTSD è una componente integrante ed fondamentale dei Servizi di Salute Mentale (MHS) del Dipartimento per gli Affari dei Veterani e prende la sua linfa clinica dal riconoscimento avvenuto nel 1980 della diagnosi di PTSD fatta dalla l’American Psychiatric Association, con la quale a questo punto si è creato un ponte di dialogo tra gli aspetti prettamente politici e sociali e amministrativi a favore del benessere della popolazione.

Nel 2013  inoltre il presidente Obama ha annunciato da parte del Dipartimento della Difesa e degli Affari dei Veterani un premio di 45 milioni di dollari da donare in cinque anni al Consortium (CAP), che è a sua volta collegato al VA, per migliorare il processo di valutazione e diagnosi sul PTSD, la prevenzione e il trattamento a favore dei militari in servizio attivo e dei veterani.

Lo stesso Alan L. Peterson (nella foto a sinistra), il direttore del Consortium ha dichiarato che: “storicamente, il PTSD è stato considerato come una malattia cronica difficile da trattare in particolare per i veterani militari. Tuttavia i risultati di studi sul PTSD in popolazioni civili dimostrano che una grande percentuale di pazienti possono essere trattati al punto di remissione totale o recupero. Anche se il termine “guarito” è raramente utilizzato in riferimento al PTSD noi riteniamo che ciò sia possibile”.

Il  Centro infatti destina parte dei fondi affinché siano condotte sperimentazioni cliniche per sviluppare interventi sulla più alta percentuale possibile di soldati in servizio con l’obiettivo che possano rimanere operativamente e funzionalmente idonei al servizio militare. Tutto ciò a favore di uno sgravio finanziario generale, per il personale e per le loro famiglie, il Dipartimento della Difesa, la VA e la Nazione stessa.

Tali benefit, attualmente, sembrano giungere purtroppo solo in condizioni di congedo e questo ci fa comprendere come siano lontani anche in America dal considerare il PTSD un disturbo non invalidante, ma per fortuna, come abbiamo visto, qualcosa si muove. La procedure per l’accesso al Veteran Affair prevede pertanto un congedo (con onore) e un invio da parte del dipartimento della difesa direttamente al VA.

Tra i benefici pensionistici del reduce vi è l’accesso ai servizi del VA e quindi anche diagnosi e cura di un ipotetico PTSD. Per quest’ultimo passaggio affinché possa usufruire di tali benefit, il reduce stesso deve farne esplicita domanda pertanto non solo ne deve essere consapevole, deve aver ricevuto una corretta diagnosi, ma deve anche aver compreso che è il momento di farsi aiutare.

In America a lungo i soldati sono stati congedati con diagnosi di disturbo di personalità invalidanti, confondendo con essi i sintomi del PTSD – rabbia, irritabilità, attacchi d’ansia e depressione ; confusione causata dai rigidi criteri che l’Esercito utilizza per definire il disturbo della personalità e dalla difficoltà nel compiere una corretta diagnosi differenziale, soprattutto nei casi in cui i sintomi si presentano a distanza dagli eventi critici che costituiscono il ricordo generatore, come nel caso di PTSD ad esordio tardivo. Diagnosi molto frequente soprattutto per i sopravvissuti.

E’ bene chiarire che il PTSD non rientra nel disturbo di personalità il quale, essendo maggiormente inficiante e invalidante, può determinare conseguenze devastanti nei soldati e per tale motivo viene considerato criterio fondamentale per il congedo.

La battaglia, già iniziata negli Stati Uniti e che, come vedremo, ha trovato terreno fertile solo in alcune Nazioni europee, è di valutare il PTSD come un momentaneo fattore invalidante dovuto ad un intenso stress che può essere curato, quasi come una lacerazione che tuttavia può risanarsi.

Leggendo in quest’ottica la nascita in Italia del Comitato tecnico scientifico (Board) per lo studio dei disturbi mentali nel personale militare, vogliamo pensare che stiamo mettendo una prima pietra nel processo necessario alla costruzione della maglia istituzionale funzionale alla conoscenza, studio e cura di tali disturbi. Il problema è che in Italia è difficile parlare di PTSD come dei suicidi tra i veterani.

In Afghanistan sono morti 53 militari italiani, di questi 32 sono le vittime di azioni ostili. Una decina sono gli italiani morti in incidenti stradali e abbiamo conoscenza solo di un militare suicidatosi ma un numero significativo e imprevisto di suicidi tra i veterani rientrati in Italia è stato archiviato con ipotetiche motivazioni familiari e personali.

I feriti in Afghanistan sono oltre 650 ma molti di più sono coloro che hanno potenzialmente riportato ferite invisibili e che forse mai si sono avvicinati a un Ospedale Militare. S

i parla infatti di “vittime secondarie” o anche di vittime “terziarie” nel caso dei sopravvissuti e dei soccorritori che assistono le vere e proprie vittime di eventi critici. Anche per questi ultimi si può parlare di PTSD.

Molte delle maggiori difficoltà, in Italia, trovano radice nelle dinamiche socioculturali presenti in questo ambiente in cui, un momento di debolezza dichiarato, invece di diventare espressione di professionalità e maturità diventa elemento di  non affidabilità, comporta penalizzazioni, l’esclusione da incarichi e missioni o rischia addirittura di apparire come un furbesco tentativo di sottrarsi ai propri compiti.

Così si arreca un danno maggiore, perché chi per pudore o vergogna nasconde il suo malessere finisce poi per nutrire una mancanza di fiducia generalizzata verso il sistema e tanta rabbia contro le istituzioni militari e i loro vertici.

Per cominciare a dare corpo a quel concetto di “massima priorità” sul quale dovrebbe centrarsi il benessere psicofisico dei nostri militari non sarebbe male ispirarsi a quanto viene fatto oltre Atlantico.

Foto: Buzz Feed, Wired, Difesa.it, Us Army e web

 

Psicologa e psicoterapeuta ha una lunga esperienza nell'ambito della cura e prevenzione della PTSD. Ha pubblicato due libri sulle problematiche della vita militare con l'editore Psiconline, Cuore di Soldato (2012) e Oltre le Stelle (2014), e numerose pubblicazioni di settore in ambito accademico. È responsabile del servizio psicologico alle famiglie dell'Altra Metà della Divisa. <a href="http://www.laltrametadelladivisa.it">www.laltrametadelladivisa.it</a>

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