FOREIGN FIGHTERS, CONTRACTORS E MERCENARI IN UCRAINA

Che nella crisi ucraina fossero coinvolti combattenti non convenzionali era ben evidente già dall’inizio della contesa, con l’occupazione della Crimea.
Tuttavia, su chi fosse realmente coinvolto si è tergiversato a lungo – ed ancora lo si sta facendo! – con un continuo susseguirsi di sospetti, prove discusse, smentite categoriche e tacite ammissioni.

Dopo la dichiarazione del presidente Putin sulla presenza di “personale che si sta occupando di faccende di carattere militare”, sono giunte ora le conclusioni preliminari del Gruppo di Lavoro ONU sull’uso dei mercenari che evidenziano la presenza di foreign fighters, mercenari e di compagnie di sicurezza private. Le compagnie militari non sarebbero implicate, ma la testata indipendente russa Fontanka non è assolutamente d’accordo!

Il Gruppo di lavoro dell’ONU sull’uso dei mercenari, creato nel luglio 2005 e costituito da 5 esperti indipendenti, ha ricevuto mandato dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite per monitorare l’attività dei mercenari e delle Private Military e Security Companies nel Mondo.

Esso ne studia ed identifica origini, cause, caratteristiche e trend emergenti, nonché attività collegate ed impatti sui diritti umani. L’argomento foreign fighters è diventato così sensibile da spingere il Gruppo ad occuparsene direttamente:

L’Ucraina è il terzo Paese visitato dopo Tunisia e Belgio per studiare il fenomeno da vicino.

Dal 14 al 18 Marzo 2016 la delegazione multinazionale, su invito del Governo ucraino, si è recata nel Paese con l’obiettivo di appurare presenze e responsabilità di attori esterni armati e violazioni dei diritti umani ad essi imputabili.

Dopo aver incontrato autorità governative, parlamentari, magistrati, organizzazioni della società civile, membri del corpo diplomatico e rappresentati dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, Olga Patricia Arias Barriga ha comunicato le conclusioni preliminari del Gruppo di Lavoro, rimandando la presentazione del report definitivo al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite il prossimo settembre.

Una profonda preoccupazione è stata espressa per la presenza di mercenari tra le fila di entrambe gli schieramenti. In particolare, le autorità ucraine hanno fornito prova di almeno 176 stranieri inquadrati in gruppi armati delle autoproclamate Repubbliche Popolari di Donetsk e Luhansk. Tra di loro cittadini russi, serbi, bielorussi, francesi e anche italiani; in minoranza, sono presenti anche donne.

Essi variano da personale volontario a retribuito, da militari professionisti a semplici miliziani.

Il reclutamento avviene tramite i social network o altri strumenti multimediali dove, oltre ad informazioni ed aggiornamenti sul conflitto, si trovano anche i contatti specifici; intramontabili rimangono gli uffici di arruolamento fisici.

Anche le motivazioni sono decisamente varie: dalle ideologico-politiche alle economiche. Alcuni cercano una “via di redenzione” da un passato criminale o viene concessa loro la possibilità di tramutare la detenzione in partecipazione diretta alle ostilità.

E’ stata rilevata anche una diffusa violazione dei diritti umani, sia da parte di mercenari e foreign fighters che di paramilitari e volontari. Tra queste: esecuzioni sommarie ed extragiudiziali, torture, detenzioni arbitrarie, violazioni delle libertà di movimento e di espressione.

La signora Arias ed il collega Mokbil hanno rimarcato il fatto che reati e violazioni dei diritti umani non sono state adeguatamente indagate.

Ad oggi, infatti, in Ucraina nessuno straniero è mai stato perseguito per mercenariato o violazioni dei diritti umani, bensì per crimini indirettamente collegati quali violazione dell’integrità territoriale, partecipazione a gruppi od organizzazioni terroristiche, a gruppi paramilitari o formazioni armate illegali.

Questo, unitamente alla mancanza di dati precisi sul profilo dei combattenti implicati, loro motivazioni e retribuzioni, ha costituito una notevole sfida per gli investigatori e contribuito alla formazione di una zona grigia di impunità. Vista la complessità del contesto bellico, la distinzione tra mercenari e foreign fighters è quanto mai importante.

Come indicato nel Primo Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra, così come nella Convenzione internazionale contro il reclutamento, l’utilizzo, il finanziamento e l’addestramento di mercenari, un mercenario è definito dalla compresenza di tutte le seguenti caratteristiche:
a) che sia appositamente reclutato, localmente o all’estero, per combattere in un conflitto armato;
b) che di fatto prenda parte diretta alle ostilità;
c) che prenda parte alle ostilità spinto dal desiderio di ottenere un profitto personale, e al quale sia stato effettivamente promesso, da una Parte in conflitto o a suo nome, una remunerazione materiale nettamente superiore a quella promessa o corrisposta ai combattenti aventi rango e funzioni similari nelle forze armate di detta Parte;
d) che non sia cittadino di una Parte in conflitto, né residente di un territorio controllato da una Parte in conflitto;
e) che non sia membro delle forze armate di una Parte in conflitto;
f) che non sia stato inviato da uno Stato non Parte nel conflitto in missione ufficiale quale membro delle forze armate di detto Stato. Tale pratica è proibita dal Diritto internazionale.

Per quanto riguarda i foreign fighters, invece non esiste una definizione internazionalmente riconosciuta, tantomeno uno specifico framework legale. Con tale termine generale ci si riferisce a soggetti che lasciano il proprio Paese d’origine – o di residenza abituale – per prendere parte ad un’insurrezione o ad un conflitto armato. Essi sono motivati da una serie di fattori, solitamente ideologici, ma anche economici.

Una presenza tanto singolare quanto agguerrita è quella cecena, impegnata nella propria guerra civile “in trasferta”. Da una parte esiliati ceceni provenienti da ogni meta della diaspora con tanto di bandiere, patches ed uniformi nazionaliste che, a fianco di Kiev, hanno sfruttato l’occasione per combattere i propri connazionali traditori, alleati di Mosca. “Combattendo in difesa dell’integrità ucraina, stiamo difendendo la nostra libertà, il nostro Paese” ha dichiarato il generale in esilio Isa Munaev, facendo appello a tutti gli esuli ceceni nel Mondo.

Dall’altra i caucasici inviati dal presidente filo-russo Kadirov per chiudere i conti con ogni forma di resistenza interna – anche all’estero – sia con scontri ferocissimi in campo aperto, che con omicidi mirati.

Per quanto riguarda le Private Military e Security Companies, il gruppo di esperti non ha trovato alcun dato specifico sul coinvolgimento delle prime. Nel 2015 il Parlamento ucraino ha permesso l’inclusione e regolarizzazione di stranieri ed apolidi nelle proprie forze armate, compreso chi ha combattuto nei battaglioni di volontari.

L’idea iniziale era quella di creare un settore nazionale di compagnie militari private che, tuttavia, risultano ancora vietate dalla legge. Sotto controllo governativo operano invece numerose compagnie di sicurezza private.

Apparentemente in risposta alle conclusioni del Gruppo di lavoro, il 28 marzo il giornale di San Pietroburgo Fontanka ha pubblicato un articolo sulla partecipazione di contractors russi alle ostilità in Ucraina e Siria.

La notizia, non propriamente nuova, si è arricchita d’accadimenti e dettagli col passare del tempo. Mosca avrebbe infatti incaricato una compagnia militare privata – chiamata ChVk (PMC) Wagner – per operare in entrambi i teatri operativi. Trattandosi di entità non ancora riconosciute in Russia, la PMC – o come preferisce definirla il giornalista Denis Korotkov “organizzazione paramilitare senza status ufficiale” – sarebbe registrata in Argentina e formatosi sulle ceneri della Slavonic Corps, già nota per la magrafigura siriana del 2013.

Dotata della forza di un reggimento (circa 1 migliaio di uomini) con armi pesanti e veicoli corazzati, disporrebbe anche di un campo addestrativo nel villaggio russo di Molkino, sede della 10a Brigata delle forze speciali (spetsnaz)  del GRU (servizio segreto militare).

Il tutto è avvolto dalla più completa segretezza, tanto che agli stessi componenti del gruppo non è dato di conoscere per intero i nomi dei propri commilitoni. Al comando del raggruppamento ci sarebbe il quarantaseienne Dmitry Utkin, ex tenente colonnello del 700° Distaccamento Spetsnaz della 2a Brigata del GRU.

Ritiratosi dal servizio attivo nel 2013, Utkin ha lavorato per il Moran Security Group che aveva affidato alla Slavonic Corps l’infausto affaire siriano. Il nome Wagner – sia della PMC stessa che nome di battaglia di Utkin – sarebbe dovuto alle sue spiccate simpatie nazifasciste: il compositore tedesco era il preferito da Hitler. A Luhansk, Utkin si contraddistingueva indossando un elmetto “fritz” – Stahlhelm nazista.

Tra le fila di Wagner, dall’estate 2014 si sarebbe formato anche un plotone internazionale a maggioranza serba, comandato da Davor “Wolf” Savicic, vecchio amico di Wagner e ricercato dall’Interpol per aver piazzato una bomba nella città di Berane nel 2001, costata la vita a sei persone; accusa poi cadute per questioni procedurali.

Savicic, ora residente in Russia, sarebbe confluito nel gruppo con altri quattro connazionali dalla Legione straniera francese. Contattato da Fontanka, ha dichiarato inizialmente di operare nel settore edile e di non avere legami col gruppo e sue operazioni.

Alla fine avrebbe ammesso di aver combattuto come volontario nel 2014, abbandonando il fronte di Luhansk dopo soli tre giorni per ferite riportate. Fontanka sarebbe comunque in possesso di prove della sua presenza su di un volo per la Siria nell’ottobre 2015 e di una sua recentissima visita a Molkino.

Lo zampino di Mosca nel Donbass, oltre che dalla cattura di suoi uomini e dal ritrovamento massiccio di armi ed equipaggiamenti, sarebbe palesato anche dall’impiego di operatori della Wagner; in particolare nella battaglia per la città di Debaltseve – gennaio/febbraio 2015 – a fianco di truppe regolari russe.

Le foto mostrate dall’ISIS per provare l’uccisione di combattenti russi nei pressi di Palmira, ritrarrebbero le vittime in armi, nei pressi di Starobeshevo (UA)nell’estate del 2014.

Le perdite nel Donbass, secondo un ex membro del gruppo, sarebbero elevate ed attribuibili ad una leadership incapace, oltre a tattiche datate ed inefficaci, da Seconda Guerra Mondiale. ”[…] fuori Debaltseve ci venne dato l’ordine di appiedamento in campo aperto e di attaccare un posto di blocco fortificato.

E avanti, come carne da cannone! Quando iniziarono a colpirci con i [mortai] 120 mm, RPG contro i veicoli, persone… essi semplicemente ci vomitavano addosso [fuoco]. ” Tramite decreti presidenziali i caduti sono stati occultati – sulle lapidi solo date di nascita e morte, niente località – ed insigniti di medaglie al valore.

Oltre alla guerra più o meno convenzionale, gli uomini di Utkin fungerebbero anche da squadroni della morte.

Il 1° Gennaio 2015 il comandante separatista “Batman” – al secolo Alexander Bednov – è stato assassinato con un colpo di RPG sparato contro la sua autovettura. Sebbene la versione ufficiale delle autorità di Luhansk parli di un tentativo d’arresto finito male – Bednov era accusato di aver torturato numerosi civili –
il sospettato numero uno, come esecutore materiale,  resta il Gruppo Wagner.

Il mandante sarebbe invece il pupillo di Mosca, Igor Plotnitsky, attuale presidente “eletto” della Repubblica di Luhansk implicato in numerose attività illegali. Stessa sorte sembra sia toccata ad Aleksei Mozgovoi, leader del battaglione Ghost, il cui convoglio è stato bombardato e mitragliato a Luhansk il 23 maggio 2015.

Anche stavolta l’attacco viene attribuito ad ignoti, ma i rapporti tesi tra Plotnisky e Mozgovoi erano ben noti a tutti.

Mentre la Repubblica di Donetsk  mantiene una certa parvenza statuale grazie agli aiuti finanziari, umanitari e militari russi, Luhansk è nel caos più completo: scontri tra bande rivali, lotte per il potere, anarchia ecc.

Per le strade imperversano perfino i “Night Wolves”, banda di motociclisti pro-russi, nazionalisti ed ortodossi che sulla falsariga del film Mad Max – a cui si rifanno – combattono al fianco dei separatisti.

Inform Napalm, un pool di giornalisti ucraini, ha parlato di almeno 10 compagnie militari private russe nel Paese che si sono occupate di addestramento, sminamento, operazioni congiunte con l’FSB (erede del KGB), fornitura di armamenti ed equipaggiamenti, aiuti umanitari e scorta convogli.

A testimonianza vi sarebbe il cosiddetto “Donbasleak”, archivio virtuale trafugato da hackers ucraini che dimostrerebbe le relazioni tra FSB e queste entità paramilitari.

Il Cremlino, attraverso Plotnisky, gli uomini della Wagner – chiamati “ripulitori” – e tutti gli altri combattenti “ibridi” sembrerebbe impegnato a riportare l’ordine, “sostituendo” i leader separatisti irrequieti con altri più docili.

Dall’autunno 2015 il grosso del Gruppo Wagner (circa 600 uomini; 90-100 uomini per compagnia) si sarebbe spostato in Siria: un battaglione rinforzato con tre compagnie di ricognizione ed assalto, una compagnia di supporto di fuoco con lanciagranate e fucili anticarro senza rinculo, una compagnia antiaerea con missili spalleggiabili Iglas, una compagnia di comunicazioni ed unità mediche, di vigilanza ed anche personale non combattente. Il compito principale è quello d’identificare gli obiettivi e guidare gli attacchi aerei e di artiglieria sul campo.

Il tutto in collaborazione con le forze speciali siriane e gli operatori radiotelevisivi di “Vesti-24″, per documentare l’andamento delle operazioni. Essi avrebbero partecipato anche alla liberazione di Palmira. Anche in Siria le perdite sarebbero alte: di una compagnia di 93 uomini inviati lo scorso settembre, solo un terzo sarebbe rientrato senza ferite.

Ancora una volta – e anche in versione russa – i contractors estrinsecano il loro valore aggiunto principale: La “negabilità”.

Operando come sua longa manus, il presidente Putin può sfruttarne le capacità ovunque, negando ogni coinvolgimento. Quando viene chiesto se ci sono soldati russi  – vivi o morti – in Ucraina, la risposta negativa non costituisce necessariamente una menzogna; è la domanda ad essere imprecisa e banalmente aggirabile!

Già da tempo infatti, sia come presidente che primo ministro russo, Putin ha pubblicamente sostenuto la creazione di compagnie militari private, come strumento di perseguimento e tutela degli interessi nazionali.

La novità sta nel preoccupante primato riconosciuto alla Russia dal noto esperto americano David Isenberg: La creazione della prima ed unica Private Military Company in vent’anni a questa parte.

Secondo Isenberg infatti Blackwater, DynCorp o simili sarebbero solamente Private Security Companies che utilizzano le armi per proteggere i propri clienti o convogli. L’ultima vera compagnia militare privata è stata Executive Outcomes (EO), famosa per le sue operazioni in Angola e Sierra Leone.

Sebbene la creazione o l’utilizzo di contractors contro minacce emergenti – quali l’ISIS – sia stato più volte auspicato anche in Occidente, l’istituzione di un esercito privato con armamento pesante e moderno, impiegabile in operazioni offensive rappresenta un nuovo step nel processo evolutivo delle PMSC.

Senza preconizzare scenari apocalittici, esso merita la dovuta attenzione giacché la sua implementazione è nel vivo.

E si sa, dopo la Russia, altri Paesi (l’Ucraina stessa) seguiranno nell’adozione di questo nuovo strumento di politica estera ed occulta risoluzione delle controversie.

 

Foto: Fontanka, Feral Jundi, VK, Reuters,  AP, The Telgraph ed Eiseo Bertolasi

Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.

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