I BRUTTI SCHERZI DELL’INFORMATION WARFARE

L’apertura del vaso di Pandora panamense (scandalo Panama Papers) ad opera del International Consortium of Investigative Journalists (Icij), ha divulgato “urbi” et “orbi” l’ennesima lampante dimostrazione – qualora ce ne fosse ancora bisogno dopo WikiLeaks e Edward Snowden – che i “privilegi” finora “elargiti” all’Intelligence tecnologica possono essere in un sol colpo vanificati con disastrose conseguenze.

Nell’era attuale, che è stata definita “era dell’informazione” la gestione della comunicazione come fattore di potenza – supportata tecnologicamente dall’informatica – ha sviluppato l’Information Warfare (IW) o guerra dell’informazione, imperniata sullo sfruttamento di ogni tipologia di dati informativi con lo scopo di assicurarsi la superiorità sull’avversario, specialmente in un contesto conflittuale asimmetrico. Oggi l’arena non è più esclusivamente militare, ma si estende alla vita sociale, all’economia ed alla politica sino ad incidere sul complesso della Sicurezza Nazionale sia in tempo di pace sia in tempo di guerra.

In sintesi l’IW rappresenta i conflitti del XXI secolo e l’informazione costituisce, contestualmente, lo strumento per contrastarli e l’obiettivo da neutralizzare. Ma se le strumentazioni elettroniche non sono pienamente integrate – con oculatezza e con saggezza – con gli irrinunciabili principi della HUMINT (Wet Wear), ovvero l’impermeabile che protegge dall’acqua, cioè dai pericoli, il loro impiego resta sempre insicuro e scarsamente affidabile.

Tuttavia l’inaffidabilità che colpisce maggiormente in questa vicenda non è tanto quella dello strumento elettronico, quanto quella della classe politica mondiale. L’evento sembra condurre all’esaltazione tutti coloro che già non credevano alla genuinità della “Missione Politica” di degasperiana memoria che definiva l’attività politica e l’impegno sociale come una “missione”, mentre getta nello sconforto tutti coloro che hanno finora cercato di difenderla nonostante le sue défaillances.

Crollo della credibilità

Ciò che incupisce ancora di più l’anima di irriducibili idealisti e sognatori è la conferma che il fiume di fondi occultati nella miriade di paradisi fiscali:

a.    Vanifica manifestamente la tanto decantata Intelligence economica, non solo a livello nazionale ma persino a livello mondiale se si pensa che anche Mosca, Pechino, Londra e Reykjavík hanno affondato tranquillamente le mani nella “marmellata” prodotta con il sudore della fronte di tanti lavoratori. Questa neonata funzione Intelligence – finalizzata ad individuare procedure perturbatrici delle transazioni commerciali della WTO (World Trade Organization, Organizzazione mondiale del commercio), a “scovare” minacce ed individuare opportunità nei mercati internazionali nonché a prevenire condizionamenti e crisi innescati dagli insaziabili appetiti della finanza internazionale – è stata con un sol colpo di “ramazza” ridotta a “Cenerentola informativa” ed esiliata a rincorrere ladri di polli e di galline mentre i soliti “furbetti” ed i loro amici accantonavano le uova d’oro;

b.    Giustifica ampiamente l’inefficacia dell’Intelligence ibrida (HUMINT integrata da Intelligence tecnologica) che non riesce ad essere dotata di sufficienti mezzi, fondi, cooperazione e coordinazione da dedicare al contrasto del terrorismo feroce e spietato che sta insanguinando soprattutto l’area europea, oltre quella sub sahariana, medio-orientale e sud asiatica.

L’Intelligence stessa è altresì priva di coerenti e validi indirizzi strategici ad opera della classe dirigente che, a quanto pare, è stata abbagliata dai riflessi aurei dei rispettivi interessi privati o è esclusivamente concentrata a trovare soluzioni per procurare vantaggi e prebende agli amici di cordata, ma non alla minaccia incombente.

E nonostante ciò ci si permette di riversare addosso all’Intelligence severe critiche dopo ogni attentato stragista, senza analizzare a fondo i perché e le cause che li hanno provocati, specie se dietro di essi si nascondono controlli edulcorati o imposti da direttive politico-economiche tese a favorire la costituzione di società off shore o il rifugio di capitali in paradisi fiscali;

c.    conferma l’illuminante pensiero papale in ordine all’esistenza di una “terza guerra mondiale a pezzi”, atteso che la prevalenza della conflittualità è localizzata lungo linee di faglia ove insistono risorse energetiche e/o cospicui interessi economici:

•    area siro-irachena, ove oltre allo scontro per interessi energetici si confrontano due dottrine religiose per la supremazia del mondo islamico e si sviluppano velleità distruttive dello stato israeliano;

•    Mar Baltico-Mar Nero, linea di confronto fra NATO/UE e Russia, con al centro la crisi ucraina impantanata soprattutto sugli interessi per la commercializzazione energetica;

•    fascia saheliana, al cui centro si collocano gli appetiti energetico-economici per le risorse del Mali e della Libia, fino a raggiungere quelli della piattaforma mediterranea antistante l’Egitto;
•    agglomerato dell’Asia centrale, con centro gravitazionale sul nodo gordiano di Af-Pak, ove il coacervo di interessi economico-energetici è talmente aggrovigliato che non trova alcuna soluzione accettabile e percorribile.

A fronte di così gravi e perniciose situazioni di insicurezza globale troviamo leader che sono restii ad essere pienamente impegnati nella negoziazione di possibili soluzioni, mentre sono pronti, ben preparati e tempestivi nel trovare escamotage per mettere al sicuro i rispettivi patrimoni personali. Tali leader, inoltre, sono “dotati” anche della “faccia tosta” per affermare che hanno agito onestamente, seguendo alla lettera i dettami legislativi. Ma quali dettami? Quelli fatti ad personam con leggi, leggine ed emendamenti?

A quanto pare il mondo globalizzato sta esaltando l’aggressività ed il tornaconto personale, abbandonando contestualmente tutte le ritualità ed i valori (convivenza, integrazione, onestà, correttezza, solidarietà, ecc.) che ha finora costituito per contenerne gli effetti negativi, causa di continui conflitti. Il perseguimento del bene comune – inteso non solo di coloro che governano ma di tutti i cittadini senza distinzione di razza, sesso, idee politiche, religione, censo, ecc. – è relegato nell’iperuranio, alla stregua di un’irraggiungibile stella di cui vediamo la luminosità ma della quale non riusciamo ad apprezzare e sentire il calore.

Contrastare il terrorismo

Ci arrovelliamo e ci accapigliamo nei talk-show televisivi alla ricerca di risibili distinguo per debellare il terrorismo senza mai soffermarci a prendere in considerazione le cause reali che lo innescano e lo fanno deflagrare o ad esaminare e formulare proposte concrete per la loro rimozione.

Eppure l’ONU le ha chiaramente indicate: “Le motivazioni psicologiche del terrorismo vanno ricercate nella miseria, nella delusione, nell’inganno e nelle disperate condizioni di vita che inducono le persone a compiere atti disperati per provocare radicali cambiamenti alle degradanti e non dignitose condizioni di vita in cui esse versano, anche se consapevoli che nel corso delle azioni disperate possono morire gli stessi autori dell’attentato”.

Formuliamo logorroiche ipotesi, tesi e contro-tesi per individuare la disaffezione degli elettori verso la politica e la costante e continua diminuzione del loro consenso espresso democraticamente, senza renderci conto che i decision maker – oltre a preferire di avere una “faccia tosta” in luogo di magre prebende – vivono una realtà quotidiana falsata. Infatti, essi non vivono immersi nelle ansie, nelle paure e nelle difficoltà che ogni giorno ciascuno affronta per procacciarsi da mangiare, trovare un lavoro, pagare tasse e servizi, costituirsi una famiglia, individuare un avvenire per i propri figli, ma in un mondo filtrato dai rispettivi supporter che proiettano sul loro schermo visivo non problemi concreti e relative soluzioni per alleviare gli stenti della gente, ma situazioni edulcorate ed adattate al perseguimento dei rispettivi interessi.

Non sono certamente questi i metodi con i quali si possa estirpare o quanto meno contenere e canalizzare verso forme dialettiche la carica violenta dell’aggressività terroristica. Né è possibile farlo tramite un’Intelligence anemizzata da fondi, mezzi, direttrici strategiche e persino completamente spogliata da quelle tradizioni metodologiche ed operative accumulate, consolidate e perfezionate negli anni, che hanno fino a ieri contribuito ad esaltare il nostro Paese ed a costruire un futuro a misura d’uomo insieme agli altri Paesi europei.

Infatti, l’idea comunitaria dei padri fondatori della UE, ancorché definita dagli euroscettici utopistica, opportunistica ed imposta dalla sconfitta della 2^ guerra mondiale, si reggeva su due pilastri fondamentali:

a.    ricomporre in una superiore ed armonica visione politica europeista le linee di frattura fra i vari stati europei più importanti (Gran Bretagna, Francia e Germania), cause di guerre areali e mondiali;

b.    fornire concretezza al disegno strategico-politico della NATO di rafforzare le neonate repubbliche democratiche e contenere l’espansionismo e la diffusione dell’internazionalismo comunista, al riparo dello scudo nucleare USA e del disarmo tedesco.

Ma le velleità geopolitiche delle tre prime donne – abilmente sfruttate o assecondate dagli USA per il conseguimento degli interessi nazionali americani – hanno ostacolato gli ideali di armonizzazione comunitaria e realizzato un tecnicismo politico finalizzato alla protezione dei loro rispettivi interessi nazionali, incuranti dei bisogni e delle speranze comunitari. Infatti:

a.    la Gran Bretagna è stata lasciata alla finestra della UE per circa un trentennio, salvaguardando gli interessi americani e sconvolgendo tutti i tentativi di costituire gli auspicati Stati Uniti Europei, fino a giungere ad una definitiva probabile rottura della loro costituzione con il “Brexit” del prossimo giugno. E solo ora intervengono gli USA ad esortare gli Inglesi a non farlo;

b.    la Germania ha sistematicamente ripercorso la riconquista del suo “spazio vitale” prima con la riunificazione, poi sostituendo il marco con l’euro ed infine espandendo il suo “reich economico” verso est fino a:
•    portare l’euro ad una quotazione di 1,608 dollari nell’aprile 2008, che ha stimolato “l’assalto all’euro” ad opera della finanza americana nel 2010;
•    allargare la NATO verso est fino a travalicare i limiti di Yalta ed a stringere intese con l’Ucraina che hanno provocato la reazione violenta della Russia con conseguente crisi ancora non sanata;

c.    la Francia ha controbilanciato l’espansione tedesca verso est rafforzando ed estendendo i suoi interessi verso sud, monopolizzando relazioni commerciali con vari paesi nord africani e sub sahariani, sino a provocare, insieme con la Gran Bretagna, la dissoluzione della Libia gheddafiana per mettere le mani sul petrolio gestito dall’Italia, con la conseguente ed ineludibile “produzione” di humus per la localizzazione nell’area di milizie dell’“islamic state”.

Il perseguimento esclusivo di tali interessi nazionali, peraltro tacitamente assecondati dagli Americani che ora ci rimproverano anche di “continuare a scroccare” il loro “ombrello di sicurezza”, ha impedito di vedere ed affrontare la strategia terroristica del jihadismo che ha innescato il contenzioso nord-sud, ben più dirompente di quello est-ovest, perché fondato sulla strumentalizzazione di concetti religiosi.

La concezione coranica della guerra

Con simili gap e con il continuo ricorso al malaffare – diventato ormai costume consolidato a livello globale – non riusciamo ad accorgerci che nel conflitto nord-sud imperano non solo i paradigmi della “guerra ibrida”, ma si sono ampiamente diffusi e radicati anche quelli della “guerra coranica” che il Generale di brigata dell’Esercito pakistano S. K. Malik ha espresso nel suo libro: “La concezione coranica della guerra”, pubblicato in Pakistan nel 1979.  Il volume, tradotto in varie lingue, inclusa quella inglese, reca una prefazione del generale Zia-Ul-Haq ex Presidente del Pakistan ed ex Capo di Stato Maggiore dell’Esercito pakistano. Nella prefazione il Generale Zia afferma che tutti i mussulmani hanno un ruolo nel jihad declinato in forma bellica perché è responsabilità collettiva della umma mussulmana e non riguarda soltanto i soldati.

Il volume inizia sviluppando il concetto di jihad nell’Islam, sostenendo che non è una semplice attività prodotta dall’uomo ed affidata alla sfera di competenza dell’esercito, ma si tratta di principi e comandamenti rivelati da Allah e trasfusi nel Corano, che tutti i mussulmani devono osservare.
Malik, in sostanza, “patrocina” ed esalta i seguenti pilastri strategici:

    la “guerra coranica” o jihad deve servire per realizzare la sovranità di Allah sulla Terra attraverso la reintroduzione del califfato;

    l’unico obiettivo che conta nella “guerra coranica” è colpire l’anima degli infedeli: i kuffar (infedeli) devono essere convertiti all’islam o uccisi;

    il terrore è la migliore forma di lotta per annientare l’anima dell’avversario.

Il testo, ritrovato in molti covi terroristici, probabilmente utilizzato per motivare la guerriglia islamica contro l’esercito sovietico che aveva invaso l’Afghanistan (1979-1989), costituisce l’attuale supporto ideologico dell’ISIS. Infatti, è sulla base di questi assunti che i terroristi di matrice jihadista – operanti secondo il “metodo di Maometto”, ovvero seguendo ed interpretando gli Hadith (tradizione), che sono una parte consistente delle surah coraniche – stanno gettando sgomento nell’animo delle popolazioni dei Paesi colpiti. (Hadith, ovvero tutte quelle narrazioni che hanno avuto per protagonista più o meno diretto il profeta Maometto. Sunna, cioè tradizione, che comprende tutto ciò che è stato tramandato a proposito degli Hadith. Surah coraniche, ossia i capitoli del Corano, complessivamente 114).

Sottovalutazione della minaccia

Lungi dal voler sostenere e riproporre le tesi di Samuel Huntington dello scontro di civiltà, intendiamo solo porre l’accento sulla sottovalutazione di dottrine strategiche diverse da quelle finora accettate nel contesto del Diritto Bellico, insieme di norme giuridiche – sia a livello nazionale sia internazionale – che disciplinano la condotta della parti in guerra. In esso sono state fissate ed accettate, dalla gran parte degli Stati, regole che limitano e regolamentano i cosiddetti “mezzi e metodi di guerra”, cioè le armi e le procedure per il loro impiego. I militari che infrangono le leggi di guerra perdono la protezione accordata dalle norme stesse e sono passibili di sanzioni.

Tutto ciò non è affatto preso in esame nel libro del generale Malik, né si ricercano strumenti giuridici o si adottano quelli già esistenti, per mettere all’indice simili espressioni di ferocia.
Anzi, le teorie della “guerra coranica” sono state abbondantemente diffuse in seno ai militanti jihadisti dal Generale Zia-Ul-Haq, ex Presidente del Pakistan, dal Generale Hamid Gul, capo dell’Inter-Services Intelligence (ISI), Agenzia di Intelligence del Pakistan, tra il 1987 e il 1989 e dal palestinese Abd Allah al-Azzam, ideologo di Al Qaeda da cui è innegabile che discenda l’ISIS.

Si aggiunga inoltre che la Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici, approvata a New York il 15 dicembre 1997 ha visto fra gli Stati firmatari con riserva il Pakistan, che ha osservato: Il governo della Repubblica Islamica del Pakistan dichiara che nulla di questa Convenzione sarà applicabile alle lotte, inclusa quella armata per la realizzazione del diritto all’auto determinazione, attuata contro ogni aliena o straniera occupazione o dominazione, secondo le norme del diritto internazionale.

Questa interpretazione è basata sull’articolo 53 della convenzione di Vienna sulla legge dei Trattati 1969 che prevedono che un accordo o un trattato concluso – conflitto durante – in presenza di un “diritto cogente” o norme di prelazione di diritto internazionale è invalido e il diritto all’auto determinazione è universalmente riconosciuto come un “diritto cogente”.
Tali presupposti non possono non confermare che:

•    Al Baghdadi, ex muftì e compagno di cordata di Zarqawi, pur se provvisto di un dottorato in studi islamici era un semplice boia che condannava a morte gli iracheni solo perché di fede sciita. Solo la propaganda jihadista lo esalta come un leader di grandi capacità strategiche ed organizzative in grado di costituire nell’arco di pochi mesi l’’autoproclamato “islamic state” che imperversa nell’area siro-irachena, alla stregua di un cancro, diffondendo le sue metastasi nell’area europea, medio-orientale, sub sahariana e sud asiatica;

•    dietro il neo proclamato califfo si muovono ben altre menti strategiche che perseguono più vasti interessi che non vediamo o che non vogliamo vedere.

Lo scontro di civiltà alle porte?
Ora che il terrorismo e l’immigrazione clandestina hanno ulteriormente minato la costruzione di una UE “comunitaria”, senza lasciare speranze per una sua possibile ricomposizione, l’Italia ed il Mediterraneo sono tornati al centro della “strategia globale” – presenza russa in area siriana e britannica in Libia supportata da flotte dislocate in Bahrein – ma al posto di idee valide per una soluzione dei complessi problemi ci sono solo arroccamenti su posizioni nazionaliste.

A fronte di uno scontro di civiltà che sembra essere alle porte, si erigono barriere e si pongono veti che stanno suscitando venti tempestosi di rinnovata xenofobia maculata da derive estremiste sia di destra che di sinistra che lo “spirito comunitario” intendeva sradicare.
Per contro sarebbe auspicabile che i decision maker:

•    ritrovino “armonia, limiti, proporzioni e misure”, – pilastri fondanti della cultura occidentale – nonché unità d’intenti e solidarietà rafforzando e dando credibilità alle istituzioni europee, quale Parlamento e BCE, per ricostruire una diroccata unità comunitaria;

•    forniscano, per fronteggiare l’articolata e dirompente minaccia che investe tutta l’Europa, chiare direttive strategiche di politica estera, nel cui contesto la HUMINT – attraverso processi di mediazione e di diplomazia parallela – possa ricercare ed acquisire quei parametri con minimo comune denominatore validi ed indispensabili per fare breccia su irriducibili deliri di onnipotenza al fine di ricondurli nell’alveo della razionalità.

È solo attraverso il raggiungimento di un onorevole compromesso che si possono contenere incendi fideistici.

Nell’attuale contesto strategico è indispensabile che l’ignoranza – intesa come mancanza di conoscenze – sia bandita da coloro che assumono responsabilità decisionali ad essi devolute dal metodo democratico, perché conduce al fallimento.

Certamente l’ignoranza non è un crimine per le persone comuni, ma lo è per coloro che hanno assunto l’obbligo di prendere decisioni in favore di tutti e che non si possono permettere di sbagliare per ignoranza e ancor meno per ingordigia.

Foto: Isis, web, US DoD e Voceurope

 

Luciano Piacentini, Claudio MasciVedi tutti gli articoli

Luciano Piacentini: Incursore, già comandante del 9. Battaglione d'Assalto "Col Moschin" e Capo di Stato Maggiore della Brigata "Folgore", ha operato negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente asiatico. --- Claudio Masci: Ufficiale dei Carabinieri già comandante di una compagnia territoriale impegnata prevalentemente nel contrasto al crimine organizzato, è transitato negli organismi di informazione e sicurezza nazionali dove ha concluso la sua carriera militare.

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