A NIZZA LA PIU’ GRANDE VITTORIA DEI JIHADISTI
Almeno 84 persone uccise e oltre 200 ferite da un camion che si è lanciato sulla Promenade des Anglais, il lungomare, travolgendo la folla accorsa per assistere ai tradizionali fuochi d’artificio che chiudono le celebrazioni del Giorno della Bastiglia, la festa nazionale francese.
Il bilancio è ancora provvisorio poiché molti feriti versano in condizioni critiche mentre tra le vittime vi sono decine di bambini.
Una strage che costituisce, per diverse ragioni, un grande successo per i jihadisti, forse il più grande.
Innanzitutto l’attacco a Nizza colpisce la Francia quando già si era illusa di poter abrogare lo stato d’emergenza stabilito dopo gli attentati di Parigi e quando cominciava a tirare un sospiro di sollievo per la conclusione, senza attentati terroristici, dei Campionati europei di calcio.
Lo Stato Islamico consegue così l’obiettivo di colpire ancora la Francia, lontano da Parigi e nel giorno della festa della Republique basata su quelle Libertè, Egalitè e Fraternitè che costituiscono, anche simbolicamente, valori antagonisti e opposti dell’ideologia islamica fondamentalista.
Inoltre i jihadisti continuano a mietere vittime tra i cosiddetti “soft target”, i cittadini comuni che si ritrovano in un bar, un ristorante, una discoteca o un lungomare, obiettivi facili da colpire per i terroristi e di fatto impossibili da proteggere per le forze dell’ordine che pure a Nizza qualche errore lo hanno compiuto nel consentire l’accesso, senza nessun controllo, all’area pedonale a un camion frigo da 19 tonnellate di cui Mohamed Lahoujaiej Bouhle si è messo alla guida con la scusa di trasportare gelati.
Un altro elemento del successo jihadista è rappresentato dal fatto che l’attentatore era un “dilettante”, certo ben determinato e votato alla morte ma sconosciuto ai servizi segreti francesi perché non era mai stato segnalato per atteggiamenti estremisti islamici.
Non è mai apparso sulle liste dei sospetti terroristi o “foreign fighters” anche se ha dimostrato di saper sparare con la pistola nel conflitto a fuoco sostenuto con i tre poliziotti che lo hanno ucciso.
Certo Bouhlel, immigrato tunisino da dieci anni a Nizza, era noto alla polizia per reati comuni e violenti ma non era considerato un simpatizzate del jihad, un radicalizzato. Anzi, chi lo conosceva lo ha definito poco religioso al punto da non rispettare nemmeno il digiuno imposto dal Ramadan.
Il perfetto “soldato” (come lo ha definito lo Stato Islamico rivendicando l’attacco) infiltrato dietro le linee nemiche se ancora parole del genere hanno un senso.
Un elemento di vantaggio in più per l’Isis e un vero incubo per le forze di sicurezza ora che è evidente la capacità dei terroristi di impiegare con grande successo anche manovalanza non troppo qualificata, all’apparenza non radicalizzata al punto da riuscire a sfuggire ai controlli sempre più stretti posti invece intorno ai sospetti jihadisti. In proporzione ha ucciso più “infedeli” Bouhlel con un camion che il commando di Parigi con i suoi 130 morti provocati da kalashnikov ed esplosivi.
Tu chiamalo, se vuoi, “terrorismo islamico”
Definito solitario, silenzioso, depresso e instabile per il divorzio dalla moglie ma che pare non avesse mai manifestato simpatie jihadiste, Bouhlel era nato nella provincia di Sousse, culla e covo dei jihadisti tunisini, e molti suoi parenti hanno militato o militano in gruppi stremisti islamici come hanno sapere le autorità di Tunisi.
La figura opaca di Bouhlel ha permesso ad alcuni, specie tra i media buonisti e politicamente corretti italiani, di tentare di smontare la matrice jihadista dell’attentato (affermata però senza esitazioni da Parigi) derubricandolo come un crimine comune compiuto forse da un pazzo omicida ma privo di motivazioni ideologiche o religiose.
Escamotage già visti in Nord Europa e negli Stati Uniti dove la dittatura del politically correct cerca di oscurare la realtà negando persino l’uso del termine “terrorismo islamico”.
Per i suoi vicini di casa, islamici tunisini, Bouhlel era addirittura un “imbecille”, un “pazzo” ma soprattutto non un “fratello musulmano” perché “si ubriacava e non celebrava il Ramadan”.
Impossibile però negare la pista terroristica islamica innanzitutto perché il Califfato ha rivendicato la strage di Nizza attraverso la sua agenzia Amaq.
“L’autore dell’operazione condotta a Nizza, in Francia, è un soldato dello Stato Islamico”, si legge sul lancio dell’agenzia e “ha eseguito l’operazione in risposta agli appelli lanciati perché venissero presi di mira i cittadini dei paesi della Coalizione che combatte lo Stato Islamico.
Inoltre il terrorista tunisino era un musulmano, dettaglio forse banale ma non irrilevante poiché lo erano tutti gli altri terroristi che da anni insanguinano l’Europa, gli Stati Uniti e ancor di più il Medo Oriente.
Su alcuni account Telegram affiliati all’Isis sono stati pubblicati messaggi di giubilo, dichiarando l’azione come una rappresaglia per la morte, in Iraq, del comandante militare dello Stato islamico Omar al-Shishani, noto come “Omar il ceceno”, ucciso da un raid aereo statunitense.
Shishani, 30 anni, il cui vero nome era Tarkhan Batirashvili, era considerato il braccio destro e consigliere militare del califfo Abu Bakr al-Baghdadi e sulla sua testa Washington aveva posto una taglia di cinque milioni di dollari.
Probabile che la strage di Nizza fosse stata pianificata da tempo ma sia stata attuata con un breve preavviso, così come può essere che tutto fosse già predisposto per colpire il giorno della festa nazionale francese. Appena 48 ore prima della strage di Nizza l’Isis aveva però fatto sapere che la vendetta per l’uccisione di al-Shishani sarebbe stata compiuta “nella terra della Croce”, cioè in territorio cristiano.
Bouhlel ha noleggiato l’11 luglio il camion frigo poi impiegato sulla Promenade des Anglais che era stato però prenotato già dal 4 luglio. Del resto la cosiddetta “car jihad”, cioè l’uso di un veicolo per investire persone a scopo terroristico, non costituisce certo una novità.
Muhammed al-Adnani al-Shami, portavoce dello Stato Islamico, in una registrazione audio nel settembre 2014, invitò a colpire in ogni modo gli infedeli suggerendo anche di investirli con un’automobile.
“Uccidete tutti i miscredenti ed in qualsiasi modo, in particolare francesi ed europei, americani o canadesi, anche se sono dei civili.
Se non siete in grado di trovare una bomba o una pallottola, allora prendete una pietra e con quella spaccate le teste degli infedeli, sgozzateli con un coltello, gettateli da un dirupo, avvelenateli o investiteli con una automobile”.
Una tecnica utilizzata dai palestinesi contro cittadini o militari israeliani e da jihadisti in Gran Bretagna, Canada e Austria, pur non avendo mai provocato così tante vittime come a Nizza.
L’ultimo episodio del genere si era verificato in gennaio proprio in Francia, a Valence, dove due uomini poi colpiti dalla polizia hanno ferito un militare di guardia davanti a una moschea.
Quale deterrenza?
Per tutte le ragioni elencate la strage di Nizza rappresenta quindi un grande successo per i jihadisti confermando la necessità che Europa e Occidente attuino rapidamente forme di risposta efficaci.
Sui campi di battaglia del Medio Oriente occorre fare in fretta a schiacciare il Califfato, cancellarlo dalle mappe con la violenza più estrema per azzerarne il potere attrattivo verso il mondo islamico e dimostrare che alla loro rappresaglia farà seguito una risposta ancora più devastante.
Solo nella forza delle armi è riposta infatti la possibilità di ridurre o azzerare il consenso popolare di cui gode l’Isis nelle terre che controlla o in cui opera.
Se nessuno teme più l’Occidente e la forza devastante delle sue armi non ci sarà (come non c’è) alcun deterrente contro l’uccisione di donne e bambini nelle strade delle nostre città
Per spazzare via con la forza militare l‘Isis dovremmo superare le ambiguità che legano Stati Uniti ed Europa alle monarchie sunnite del Golfo, sponsor dell’Isis e di ogni forma di islam radicale, dai salafiti-wahabiti ai Fratelli Musulmani che continuano a rafforzarsi in Europa.
Stati e ideologie ai quali i nostri governanti sembrano aver venduto (o svenduto), oltre ad armi, aziende, squadre di calcio e immobili di pregio, anche gli interessi nazionali, l’onore e la coscienza.
Sul fronte interno non vinceremo mai i terroristi se non cominceremo a combattere l’estremismo, cioè tutti i predicatori jihadisti che tolleriamo nelle città europee e che indottrinano migliaia di uomini al jihad, nelle moschee come nelle carceri.
In attesa di una riforma modernista dell’Islam, auspicata da alcuni leader arabi ma finora mai attuata anche per paura delle rappresaglie degli estremisti, tocca a noi stabilire il confine tra Islam tollerabile e intollerabile (almeno a casa nostra) che coincide con il confine tra Islam tollerante e intollerante.
Di fatto occorre mettere al bando la sharia in Europa e i movimenti che la perseguono, incarcerando o cacciando (anche privandoli della cittadinanza acquisita) chiunque la predichi.
I valori di rifermento per tutti in Europa devono essere quelli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che nessun Paese islamico ha mai firmato perché non aderente ai principi della sharia.
Imporre ai cittadini e agli immigrati islamici il rispetto della dichiarazione dell’Onu del 1948 è il primo passo da compiere, senza indugi, abbinandolo all’obbligo per gli imam di usare la lingua italiana e di consegnare i testi delle loro prediche alle autorità di polizia, come accade già in molti Paesi arabi e islamici quali Tunisia e Kuwait.
Misure che incoraggerebbero i musulmani moderati oggi esposti agli estremisti (aggressivi e pieni di petrodollari) e darebbero un segnale concreto che l’Europa è capace anche di passare all’azione oltre che di piangere e chiacchierare.
Anche sul fronte dell’emigrazione poiché, se non ci sono dubbi che abbiamo un serio problema di sicurezza e di convivenza con l’Islam, questo è dovuto anche a politiche migratorie suicide.
Dovremmo scoraggiare la presenza islamica in Europa invece di incentivarla e alimentarla, per giunta con immigrati clandestini fuori controllo.
Solo stolti e incapaci possono pensare che si possa innestare senza scontri violenti un’ideologia basata sulla “sottomissione” (questo significa la parola Islam) in una società basata sui diritti e le libertà previsti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Circa un anno or sono il ministro degli Esteri britannico, Philip Hammond, fece scandalo ponendo due semplici domande a cui nessuno finora ha risposto né in termini di sicurezza pura né di sicurezza sociale.
“Abbiamo qualche interesse a riempire l’Europa di milioni di altri islamici? Di immigrati che minacciano lo stile di vita e le infrastrutture sociali dell’Europa?”
Foto: AP, AFP, Reuters, Getty Images e Stato Islamico.
Vignetta di Roberto Lancia
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.