SOMALIA: INTERVISTA ALL’AMBASCIATORE FABRIZIO MARCELLI

Fabrizio Marcelli, diplomatico romano con una lunga esperienza alle spalle, classe ’61, dopo una laurea in Giurisprudenza all’Università di Roma ed il servizio di leva svolto come Sottotenente di complemento nel TRAEMAT (Arma dei Trasporti e Materiali), sceglie nell’89 la carriera diplomatica e nel 1991 inizia il suo percorso che lo porterà lontano nel mondo.

Madagascar, Mar de Plata, Colonia, Buenos Aires, San Francisco sono solo alcune delle mete del diplomatico, che nel 2014 approda a Mogadiscio, capitale della Somalia. Lo stato ancora ad oggi è considerato il più pericoloso al mondo, famoso per le scene del colossal americano “Black Hawk Down”, gli anni della guerra civile e della carestia che nel ’92 portarono ad una tragedia di proporzioni bibliche con oltre trecento mila morti fra la popolazione inerme.

Nel 2015 per le Nazioni Unite la Somalia non può più essere considerata uno “Stato fallito” (failed state), bensì uno Stato fragile. Ripercorriamo con l’Ambasciatore Marcelli il cammino che sembra condurre questo paese verso una lenta rinascita di un legittimo Stato sovrano.

Quali sono le principali sfide che ha dovuto affrontare in questa Sua lunga permanenza in terra somala?

Il compito più difficile è stato quello di convincere autorità e popolazione che l’Italia non aveva mai abbandonato la Somalia, ma che in tutti questi anni i problemi di sicurezza ci avevano imposto un’azione mediata, attraverso le Agenzie specializzate delle Nazioni Unite. Naturalmente esisteva un problema di visibilità, che la mia presenza, specialmente in occasione dell’inaugurazione di progetti finanziati dall’Italia, ha contribuito ad attenuare.
Inizialmente mi ero trovato ad operare senza scorta e protezione, il che rendeva quasi impossibile la mia missione. Ora posso contare sulla disponibilità di un nucleo del 1° Reggimento paracadutisti Carabinieri “Tuscania”. Sono veri professionisti e ragazzi eccezionali.

Dopo 23 anni di assenza l’Italia è tornata a Mogadiscio con l’Ambasciatore Fabrizio Marcelli. Lei ha segnato un momento storico, insediandosi ancor prima che venisse costruita l’ambasciata, dando un segno tangibile della presenza del nostro Paese. Ci può raccontare come è stato accolto e quali si sono evoluti i rapporti col Presidente Hassan?

I rapporti con il Presidente federale, con il primo Ministro, il Presidente del Parlamento  e con tutte le autorità federali e regionali sono ottimi. Ho potuto presentare le lettere credenziali dopo meno di un mese dal mio arrivo. L’Italia gode di una popolarità che gli altri Paesi qui presenti (ad oggi ci sono solo 14 missioni diplomatiche bilaterali a Mogadiscio) c’invidiano e che rende i rapporti molto più agevoli. Spesso poi capita d’interloquire addirittura in italiano. Dove mai altrove?

Nella sua visita del 2014 con il viceministro Pistelli, i temi di maggior interesse furono un maggiore sforzo da parte delle autorità locali per superare gli scontri tra clan e andare oltre, la stesura di una nuova costituzione e riconquistare i territori in mano ad Al-Shabaab. A distanza di due anni cosa è cambiato e quale futuro intravede?

I progressi in Somalia sulla via della stabilizzazione, pacificazione e consolidamento delle istituzioni sono molto lenti. Guardandomi alle spalle dopo due anni però posso dire che la situazione è nettamente migliorata. La grande incognita è costituita ora dalla strategia di disimpegno di AMISOM, che richiede un ruolo più importante per l’esercito somalo nel contrasto ad Al Shabaab. I conflitti interclanici possono essere controllati da una forza di polizia robusta, come era ai tempi dell’Amministrazione fiduciaria italiana.

L’aspetto sicurezza in Somalia è ancora un elemento importante, cosa si può fare per avere un impatto positivo e supportare il governo somalo?

Stiamo facendo molto attraverso la cooperazione dell’Arma dei Carabinieri, soprattutto in campo addestrativo, per sostenere la rinascita della polizia, a Mogadiscio e nelle regioni. Nel marzo 2015 sono stati donati all’Esercito somalo 50 ACM80 che ora costituiscono il nerbo dei trasporti militari somali e abbiamo donato anche altro materiale non letale, elmetti, uniformi, ecc.. Con il previsto disimpegno di AMISOM nei prossimi due anni bisogna ora procedere a tappe forzate all’addestramento ed all’equipaggiamento dell’esercito somalo. C’è una matrice di riferimento costituita dal “piano vittoria” (Guulwade). Mi sembra importante indirizzare i nostri futuri contributi nell’ambito di quella cornice, che evita iniziative a pioggia, non coordinate con la controparte somala e con gli altri donatori nel campo della sicurezza.

Stiamo investendo nel Somali National Army, sul campo c’è l’impegno di AMISOM, a latere c’è la training mission a guida europea, EUTM Somalia. Quanto può incidere il fattore addestramento per lo sviluppo delle forze di difesa somale?

L’esperienza europea di addestramento dell’esercito somalo si affianca a quella emiratina e turca, che possono disporre di proprie strutture avanzate e di quella americana, che opera attraverso contractors. Anche i Paesi che partecipano ad AMISOM contribuiscono all’addestramento delle forze federali e delle milizie locali. Quello che ancora manca è un coordinamento fra tutte queste iniziative.

Le Nazioni Unite hanno proposto che emergesse una nazione leader in campo addestrativo. Le rivalità e gli interessi in campo hanno finora impedito un accordo al riguardo.

 

Qual è il ruolo dell’Italia a Mogadiscio?

Siamo presenti in tutti i settori: sicurezza, emergenza, sviluppo e ultimamente anche con investimenti delle nostre imprese. C’è una grande richiesta di presenza italiana, che non è motivata da ideologie o da inconfessabili, egoistici interessi economici.

Non è retorica affermare che il nostro sostegno alla Somalia deriva da un impegno morale frutto di una lunga storia comune. Lo ha affermato lo stesso Presidente Mattarella in occasione dell’incontro con il Presidente Hassan Sheikh lo scorso settembre. E’ quello che ci distingue da altri Paesi qui attivi ed è quello che rende la nostra presenza più gradita agli stessi somali.

Può farci un bilancio in questi due anni nella capitale somala della minaccia asimmetrica di Al-Shabaab?

Ci sono stati numerosi attacchi alle istituzioni (Villa Somalia, Parlamento) ed agli alberghi che ospitano i funzionari governativi. Le modalità sono state sempre le stesse: esplosione con attentatore suicida e poi incursione di un gruppo di fuoco.

Purtroppo in questi attacchi sono morti anche tre italiani di origine somala. Con uno di loro, Abdisalam, avevamo instaurato un rapporto di stima reciproca. Sono stato molto colpito dalla notizia del suo omicidio.

Nell’ultimo anno, di fronte alla mancata prosecuzione dell’offensiva AMISOM, Al Shabaab ha potuto riorganizzarsi e lanciare dei veri e propri attacchi contro basi dei contingenti della forza dell’Unione Africana, avvalendosi delle stesse tattiche utilizzate negli attentati terroristici.

I jihadisti hanno espugnato una base ugandese, una burundese ed una kenyana, provocando molte perdite.

Qualche settimana fa hanno tentato lo stesso modus operandi contro una base etiope in Hiraan, ma sono stati sconfitti.

Dopo mesi di incertezza sembrerebbe essere vicini alla svolta elettorale, come vede il prossimo appuntamento al voto e in questo contesto, possono essere le donne un elemento nuovo?

Il voto che dovrebbe avere luogo in estate/autunno non è ancora quell’elezione universale che ci si attendeva. Il controllo che Al Shabaab esercita ancora su gran parte delle aree rurali del Paese esclude questa ipotesi.

Le prossime elezioni indirette, con collegi elettorali che coinvolgeranno  14.025 elettori, rappresentano però un passo in avanti rispetto alle elezioni del 2012, quando votarono solo 135 capi clan. Anche l’Italia contribuisce allo svolgimento della consultazione. Siamo uno dei principali finanziatori.

Proprio in questi giorni, con altri esponenti della comunità internazionale, stiamo cercando di ottenere che un 30% dei seggi nelle due Camere che usciranno dalle prossime elezioni indirette vengano riservati a candidate.

L’accettazione della quota rosa si scontra però con pregiudizi e una mentalità tradizionale che vede il ruolo della donna relegato a quello di riproduttrice e la vede soggiogata agli elementi maschili della famiglia e del clan.

Nella realtà le donne somale sono l’elemento trainante nella gestione del bilancio familiare.

Molte laureate in Somalia e all’estero non trovano spazio per partecipare anche alla vita politica. E’ un inutile spreco di risorse intellettuali in un Paese che ha estremo bisogno degli intelletti e della preparazione di tutti i suoi cittadini, uomini o donne.
Tenendo conto dell’importanza geostrategica del Corno d’Africa e delle peculiari caratteristiche del paese considerato uno dei più prosperi non solo per le risorse agricole, alimentari, ittiche, ma anche per le ricchezze del suolo e del sottosuolo, quali sviluppi economici può offrire a chi volesse investire in Somalia?

A marzo scorso c’è stata una “country presentation” alla Farnesina proprio per illustrare all’imprenditoria italiana le opportunità d’investimento e di commercio nei campi da lei delineati, ai quali aggiungerei il settore delle energie rinnovabili. Prima della guerra civile l’Italia era il primo partner commerciale della Somalia ed il principale investitore. Esistono le condizioni perché torni ad esserlo.

Sul ritorno delle nostra imprenditoria pesa il fattore sicurezza, che impedisce di circolare liberamente e comporta costi aggiuntivi per le misure di protezione.

All’interno dell’area verde dell’aeroporto internazionale di Mogadiscio stanno però sorgendo le strutture che possono ospitare incontri fra persone che vengono dall’Italia e le controparti locali. I soggiorni di affari di imprenditori italiani in Somalia possono quindi svolgersi in condizioni di tutta sicurezza.

 

“La Somalia e l’Italia hanno una relazione molto antica, vecchia ormai di oltre un secolo. Durante la sua esperienza nella capitale ha avuto modo di riscontrare questo legame?

Il nostro Paese gode di una particolare benevolenza non solo nella capitale, ma direi in tutto il Paese. Tutte le autorità locali e i capi clan che incontro in giro per la Somalia tengono a sottolineare i loro ottimi rapporti con le autorità italiane, nell’epoca coloniale, durante l’Amministrazione Fiduciaria e dopo l’indipendenza. Abbiamo lasciato un buon ricordo e la nostra azione futura deve tenere conto di questa base favorevole nel potenziare il rapporto bilaterale.
Il 2016 sembra essere un anno “decisivo” per la Somalia che si è posta due obiettivi rafforzare la presenza dello Stato attraverso un Governo solido con il supporto della comunità internazionale da un lato e consolidare la pace. Possiamo dire che sarà l’anno della svolta?

Dal 2012, con l’affermazione di un Governo federale a pieno titolo dopo una lunga fase di transizione, si può dire che ogni anno è decisivo nella ricostruzione delle Istituzioni e di un Paese martoriato da decenni di guerra civile.

 

Il compact per la Somalia approvato nel settembre 2013 fra il Governo somalo e la comunità internazionale prevedeva in effetti che entro il 2016 si sarebbe completato il percorso di formazione delle entità federali, si sarebbe approvata la nuova Costituzione, sottoposta ad un referendum popolare e si sarebbero svolte elezioni universali.

Nessuno di questi obiettivi verrà raggiunto a fine anno. Forse il compact si era proposto obiettivi troppo ambiziosi, difficilmente raggiungibili in soli tre anni. Il periodo medio di recupero di Stati falliti viene ora stimato in 15-20 anni di tempo.

 

L’Italia crede fortemente nel futuro della Somalia, lo dimostra l’impegno nel processo di stabilizzazione somalo mirato a porre le basi per le future attività del paese. I risultati ottenuti nelle aree di Jubaland, nel Sud-Est o nel Galmudug con le amministrazioni regionali, l’intendimento di consolidare quelle esistenti migliorare altre zone come Hiraan e Middle Shabelle. Oltre all’impegno che l’Italia sta fornendo in modo tangibile per riprendere i negoziati con Puntland e favorire le relazioni con il Somaliland. Ci può definire meglio l’impegno dell’Italia in queste aree?

Il nostro Paese, come del resto tutti gli attori internazionali,  segue l’approccio del cosiddetto “doppio binario”, intrattenendo rapporti con le Autorità federali e regionali (futuri Stati federali). Ho visitato tutti i capoluoghi regionali, ad eccezione di Adado (Galmudug), dove però mi recherò prossimamente.

A loro volta tutti i Presidenti regionali (per il Somaliland il “Ministro degli Esteri”) sono stati invitati in Italia per un ciclo di conferenze presso l’Istituto Affari Internazionali. Le nostre iniziative di cooperazione sono orientate verso tutte le regioni. Abbiamo intenzione di avviare prossimamente progetti in Galmudug, che è l’ultima entità che si è costituita e anche in Hiraan/Medio Scebeli, entità in via di formazione.

E’ ripresa dopo più di vent’anni la preparazione e la formazione militare di Ufficiali somali presso le prestigiose accademie militari di Esercito, Marina e Aeronautica. Anche questo un forte segnale del legame tra i nostri due paesi e l’investimento nelle future generazioni da parte dell’Italia. Come può commentare questo gemellaggio?

Mi sembra che si sia tornati ad una tradizione feconda. Buona parte della classe dirigente somala attuale, non solo nelle FF.AA., è stata formata nelle nostre Accademie fino agli ultimi anni ‘80. Sono italofoni ed italofili. Se vogliamo veramente contribuire con efficacia alla ricostituzione di FF.AA. somale efficienti, la creazione di un corpo di giovani ufficiali forniti di preparazione adeguata è essenziale. Oggi gli ufficiali somali sono o anziani formati nelle accademie italiane, sovietiche e arabe, oppure quadri delle milizie o addirittura civili nominati a tavolino.

Da alcuni anni gira voce a Roma di aprire a Mogadiscio una missione militare italiana di assistenza e cooperazione. I Somali ce l’hanno chiesta. Ci sono segnali per un avvio concreto di questa missione in un settore dove altre potenze (Gran Bretagna e Turchia) cercano di ritagliarsi “un posto al sole”?

L’ultimo decreto missioni destina per il 2016 una cinquantina di milioni di euro per la partecipazione alle tre missioni europee in Somalia (c’è anche la missione civile EUCAP Nestor). Se queste risorse potessero essere convogliate sul canale bilaterale, potremmo fare altrettanto e forse anche più dei Paesi che ha citato. Certo ci guadagnerebbero l’immagine e l’incisività della nostra presenza in Somalia.

Foto: Ambasciata italiana in Somalia, Eutm Somalia, AP, Reuters e AMISOM

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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