LA STRANA VOGLIA DI RENZI DI DARE LE BASI PER LA GUERRA IN LIBIA

Washington non ha chiesto ancora supporto all’Italia per le operazioni che conduce da alcuni giorni in Libia, la mini-guerra di Barack Obama contro lo Stato Islamico a Sirte impiegando pochi aerei, droni ed elicotteri basati sulla portaelicotteri Wasp e in Giordania.

Eppure a Roma il governo sembra avere una gran fretta di accodarsi alla campagna aerea americana, se non mettendo in campo mezzi militari almeno fornendo le basi ai velivoli statunitensi.

Soprattutto ai droni armati Reaper a cui proprio il governo Renzi aveva imposto che non fossero impiegati sulla Libia in missioni di attacco appena pochi mesi or sono, quando venne rinegoziato l’impiego elle basi americane in Italia.

Invece mercoledì il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha detto che il governo è pronto a “considerare positivamente un eventuale utilizzo delle basi e degli spazi aerei nazionali a supporto delle operazioni, dovesse tale evenienza essere ritenuta funzionale a una più efficace e rapida conclusione dell’azione in corso in Libia”.

Cioè siamo pronti dare le nostre basi se questo consentirà agli USA di colpire meglio e più rapidamente l’IS. A illustrare in Parlamento la nuova posizione del governo sono andati invece due sottosegretari, Domenico Rossi per la Difesa e Vincenzo Amendola per la Farnesina.

Ci auguriamo” che l”intervento americano in Libia contro l”Isis “sia risolutivo”. “Un messaggio molto forte per la lotta al terrorismo” oltre che un aiuto “per la stabilizzazione” ha detto Amendola ribadendo quanto già affermato dal ministro Paolo Gentiloni.

Le operazioni aeree americane condotte fino ad ora, ha precisato Rossi, “non hanno interessato in alcun modo l’Italia ma il nostro Paese non resta indifferente” e “mantiene aperta una linea di dialogo diretta sia con la controparte libica sia con gli alleati americani per verificare lo sviluppo dell”operazione e le eventuali esigenze di supporto indiretto”.

Il governo “è pronto a considerare positivamente un eventuale utilizzo delle basi e degli spazi aerei nazionali a supporto dell”operazione, dovesse tale evenienza essere ritenuta funzionale a una più efficace e rapida conclusione dell”azione in corso”.

Le opposizioni erano infuriate per l’assenza dei ministri dall’aula che qualcuno ha interpretato con la volontà di non “metterci la faccia” nel momento in cui l’Italia preme per entrare in guerra, anche se senza combatterla con sue truppe e mezzi.

Eppure la mozione di sostegno alla linea del governo ha avuto 225 voti a favore e 82 contrari.

Del resto già nell’estate 2014, quando Roma aderì alla Coalizione contro l’Isis, Arturo Parisi, ex ministro della Difesa del PD, mise in guardia che l’adesione alla Coalizione, anche se con aerei disarmati e con forniture di armi e consiglieri militari ai curdi, rendeva l’Italia belligerante con tutti i rischi e le conseguenze del caso.

Un rischio molto più concreto ora anche se finora l’Italia è stata risparmiata dall’offensiva terroristica proprio in virtù della sua “finta” guerra al Califfato, limitata a istruttori per i curdi e aerei e droni disarmati n volo sull’Iraq.

Difficile quindi comprendere la fretta di Roma di schierarsi con gli USA in un intervento militare troppo limitato per essere risolutivo e che rischia di destabilizzare il governo di Fayez al-Sarraj invece di consolidarlo.

Se in questo modo il governo Renzi cerca protagonismo può anche rassegnarsi: l’intervento di Washington richiesto dal governo di Tripoli ha definitivamente messo l’Europa e l’Italia ai margini della crisi libica con un ruolo del tutto irrilevante.

Il generale Mohamed al Ghasri, portavoce delle forze governative che partecipano all’operazione militare per la liberazione di Sirte ha espresso il favore per l’iniziativa italiana.

“Siamo favorevoli all’uso delle basi aerei italiane e saremmo molto felici se Roma prendesse una decisione in tal senso e le mettesse a disposizione nell’azione degli Usa contro Daesh a Sirte”.

Ciò detto è però quasi ridicolo che Roma offra, con il sostegno libico, basi che Washington non ha ancora chiesto.

Quello che occorrerebbe dire chiaramente, meglio se a farlo fossero premier e ministri invece di sottosegretari, è che il passo avanti dell’Italia non sarà a costo zero.
Anzi, pare certo che anche l’Italia pagherà il ruolo bellico più deciso subendo quelle azioni terroristiche che non hanno risparmiato molte Nazioni coinvolte in prima linea nella guerra all’Isis.

Ovviamente mi auguro di sbagliare e che abbiamo ragione quanti sostengono che il rischio di azioni terroristiche in Italia non è legato al nostro eventuale ruolo bellico.

Temo però che non sia così. Questo non significa necessariamente che Roma debba rinunciare a combattere l’Isis per evitare azioni terroristiche sul territorio nazionale, sarebbe però opportuno che il governo dicesse chiaramente quali decisioni ha assunto e quali rischi ha deciso di correre.

Una simile esposizione varrebbe forse la pena accettarla in caso di intervento diretto delle truppe e dei velivoli italiani contro lo Stato Islamico e non solo perché consentiamo l’uso delle nostre basi agli statunitensi per un’operazione di breve durata (30 giorni) e bassissima intensità (5 raid al giorno) che molti analisti considerano troppo blanda per risultare risolutiva.

@GianandreaGaian

da “Nuova Bussola Quotidiana”

Foto AP, Askanews, Reuter, AFP, US DoD, Facebook e Difesa.it

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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