L’EUROPA NON DOVREBBE FRIGNARE SE VINCESSE TRUMP
da Il Foglio del 5 agosto
Sarà pure impresentabile e “unfit” per risiedere alla Casa Bianca ma in termini di politica estera e di difesa Donald Trump dovrebbe risultare gradito in Europa Occidentale. Innanzitutto per l’approccio distensivo con Mosca e Pechino caratterizzato dall’affermazione che “tra noi e loro esistono profonde differenze ma si può lavorare su un terreno comune costituito dagli interessi condivisi”.
L’intesa con Vladimir Putin e l’annunciato impegno del candidato repubblicano a chiudere la “nuova guerra fredda” varata da Obama e sostenuta da Hillary Clinton (con il supporto dell’establishment industriale e militare che vedono l’opportunità di gonfiare nuovamente la spesa militare) dovrebbero godere di buona popolarità in Francia, Germania e Italia.
Se britannici e partner orientali della Nato condividono la rinnovata paura “dell’orso russo” in Europa Occidentale c’è da tempo molta insofferenza, emersa anche alla vigilia del summit Nato di Varsavia, per le pressioni di Washington ad aumentare la spesa militare e la mobilitazione contro una minaccia russa considerata inesistente.
Da un lato pesa l’esposizione dell’Europa agli attacchi del terrorismo islamico su vasta scala, ben più concreti del rischio che i tank di Putin entrino nelle Repubbliche Baltiche o marcino su Varsavia. Dall’altro gli europei considerano Mosca un partner economico ed energetico fondamentale a cui togliere le sanzioni volute dagli USA in seguito alla crisi ucraina, oltre che un alleato di ferro nella sempre più cruenta lotta ai jihadisti.
Inoltre la volontà di Trump di rinvigorire l’alleanza con Israele, mortificata dall’amministrazione Obama, a discapito delle intese con le monarchie sunnite del Golfo ambiguamente legate ai movimenti jihadisti dovrebbe risultare gradita agli europei che cominciano a comprendere l’importanza di fermare i finanziamenti in petrodollari del Golfo che aiutano la radicalizzazione delle comunità islamiche in Europa.
“Se l’Arabia Saudita non fosse sotto il mantello della protezione americana, non credo esisterebbe” ha affermato Trump proponendo che siano le truppe arabe a combattere l’Isis e aprendo a Bashar Assad per non far cadere la Siria in mano ai jihadisti. Valutazioni che, almeno sottovoce, vengono condivise anche nelle cancellerie europee considerato che tutti i servizi d’intelligence hanno ormai ripreso relazioni stabili con i colleghi di Damasco.
Le tendenze isolazioniste insite nello slogan “America first” e la pretesa di non regalare più agli alleati europei il “pacchetto – sicurezza” garantito dalle forze americane in Europa (che Trump vorrebbe in gran parte ritirare) aprono inoltre la strada ad un allentamento dei rapporti transatlantici e a un minore interventismo statunitense nel Vecchio Continente.
Elementi che dovrebbero venire valutati positivamente in Europa considerando la destabilizzazione generata dall’ondivaga politica di Obama (che probabilmente caratterizzerebbe anche la Clinton) e dai blandi e per nulla risolutivi interventi militari dall’Iraq alla Siria alla Libia che aprono sempre nuovi fronti senza chiuderne mai nessuno.
Trump vuole che gli alleati assumano maggiori oneri e responsabilità nella loro difesa (esorta persino Tokyo a dotarsi di armi nucleari), pretesa che coincide con la rinnovata aspirazione europea a dar vita a uno strumento comune di difesa, da tempo in discussione ma oggi più concretamente realizzabile dopo che il Brexit ha tolto di mezzo gli ostacoli da sempre posti da Londra.
Certo per ora si tratta solo di parole: del resto anche George W. Bush venne eletto con un programma di disimpegno militare dalle basi oltremare poi completamente rovesciato dopo l’11 settembre 2001.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.