ALEPPO: QUELLA TREGUA CHE NESSUNO DEI CONTENDENTI VUOLE VERAMENTE
da Il Mattino del 30 settembre
Il conflitto siriano sembra avviarsi verso una soluzione militare dopo il fallimento dei tentativi, non sempre convinti o disinteressati, di stabilire duraturi cessate il fuoco. La tregua messa a punto a fatica da Russia e Stati Uniti è fallita dopo appena una settimana per almeno tre ragioni piuttosto evidenti.
La pretesa di separare sul campo di battaglia le opposizioni “moderate” al regime siriano con cui negoziare da quelle jihadiste contro le quali continuare le operazioni belliche è risultata tecnicamente inattuabile. Specie nelle città come Aleppo dove le milizie ribelli delle diverse fazioni combattono fianco a fianco, separate a volte solo da una strada ma coordinate da comandi congiunti.
Sul piano politico-strategico è apparso subito chiaro ad Arabia Saudita e Qatar, principali sponsor delle milizie jihadiste dell’Esercito della Conquista (che riunisce ex qaedisti, salafiti e fratelli musulmani) che la separazione dei ribelli tra “moderati” con cui avviare trattative e “terroristi” da annientare militarmente avrebbe comunque favorito Bashar Assad.
Il grosso della potenza militare dei ribelli è infatti espresso dalle milizie islamiste la cui sconfitta renderebbe ancor più deboli i “moderati” che, privi di deterrente bellico, potrebbero negoziare con Assad da una posizione che definire subalterna è un eufemismo.
Il terzo ma non meno importante fattore del fallimento di ogni ipotesi di tregua è determinato dalla sfiducia ormai radicata tra Russia e Stati Uniti, impegnati in uno sfida globale che ricorda l’era della guerra fredda ma che rispetto a quell’epoca appare oggi più improvvisata e umorale.
Una sfiducia motivata per Mosca e Damasco dall’incredibile raid aereo americano che il 16 settembre a Deir Azzor ha provocato la morte o il ferimento di quasi 200 militari siriani. Un raid liquidato da Washington come un “errore”.
Una scusa che non poteva reggere poiché le incursioni aeree si sono protratte per 40 minuti mentre aerei e droni hanno avuto tutto il tempo di accorgersi che attaccavano le postazioni delle truppe siriane che in quella zona sono assediate da dall’Isis. Inoltre erano oltre due anni che la Coalizione a guida statunitense non effettuava raid aerei in quel settore.
Da parte americana invece a motivare la sfiducia verso Mosca è soprattutto la ripresa dei massicci raid aerei e dei bombardamenti d’artiglieria su Aleppo (e secondo alcune fonti smentite da Mosca anche su un convoglio umanitario) nell’ambito di una battaglia decisiva per le sorti della guerra.
Intorno ad Aleppo i governativi hanno concentrato il grosso delle loro forze fermando le offensive in tutti gli altri fronti. In agosto i ribelli jihadisti avevano aperto una breccia nell’accerchiamento dei quartieri orientali della città sotto il loro controllo chiamando a raccolta tutte le forze disponibili fatte confluire in città.
Ora che l’accerchiamento è stato ripristinato i cannoni e cacciabombardieri stanno martellando isolato per isolato la porzione di città in mano ai ribelli con l’obiettivo di annientarne le forze.
Da quanto è emerso l’artiglieria dei jihadiste è stata in gran parte distrutta e i militari di Assad hanno riconquistato un paio di quartieri del centro storico e della periferia.
La tecnica del “rullo compressore” annienta col suo massiccio volume di fuoco gran parte delle capacità belliche del nemico, poi le truppe e tank avanzano su un terreno in cui gli avversari non hanno vie di fuga.
Mosca è disposta ora a una tregua ma non oltre le 48 ore per non consentire ai ribelli di riorganizzarsi: Washingt0on al contrario vorrebbe un cessate il fuoco di almeno una settimana proprio per permettere una pausa ai miliziani.
L’approccio più realistico al conflitto siriano lo ha forse espresso il leader degli Hezbollah libanesi, Hassan Nasrallah, per il quale in Siria “non esistono prospettive di soluzioni politiche e la parola decisiva sarà pronunciata sul campo di battaglia”.
Del resto solo la fine del conflitto determinerà vincitori e vinti consentendo la ricostruzione del Paese e il rientro di sfollati e rifugiati.
Il continuo congelamento della guerra provoca invece l’estensione delle ostilità senza veri vincitori né vinti che è poi la causa di una conflittualità diffusa e infinita.
In questo contesto Mosca detiene il vantaggio su Washington di avere una posizione chiara e lineare: salvaguardare Bashar Assad perché l’unica alternativa è una Siria dominata dalla sharia.
Più ambigua invece la posizione di Washington, che combatte in modo troppo blando l’Isis, non colpisce le altre milizie jihadiste, sostiene curdi e moderati ma considera al tempo stesso nemico il regime siriano.
Posizione contraddittoria che non può risultare incisiva, tesa forse a mascherare il reale obiettivo statunitense di favorire la destabilizzazione della regione ma che lascia a Mosca (con i suoi oltre 4 mila militari e 50 velivoli in Siria) ampio campo libero anche a causa della ritrosia dell’Occidente a farsi coinvolgere ampiamente nel conflitto.
Inevitabilmente, sui campi di battaglia mediatici e propagandistici, l’esito dello scontro si gioca sulla pelle della popolazione civile. Statunitensi arabi e ribelli stigmatizzano l’uccisione di civili nei “barbari” raid russi e governativi.
Per Damasco e Mosca invece la popolazione è entusiasta di venire liberata dal giogo dei jihadisti che utilizzano i civili come scudi umani piazzando postazioni e comandi a ridosso di case e ospedali.
Una tattica vecchia come il mondo e adottata su vasta scala anche da Stato Islamico, talebani e, contro gli israeliani, da Hamas ed Hezbollah.
Foto: AP, AFP, Getty Image , SANA e Reuters
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.