IPOTESI SU UNA (IMPROBABILE?) NUOVA GUERRA BOSNIACA

Lo scorso 25 settembre si è tenuto nell’entità serba della Bosnia (RS) il discusso referendum convocato dal presidente Millorad Dodik (nella foto a sinistra) allo scopo di far decidere alla popolazione se il 9 gennaio dovesse essere proclamato ufficialmente “Festa della Republika Srpska”.

Nonostante il boicottaggio delle comunità bosniaco-musulmana (bosgnacca) e croata (che compongono circa il 20% della popolazione della RS), il “sì” ha vinto con il 99,8% dei consensi, a fronte di un’affluenza complessiva che si è attestata al 56%.

Sebbene il quesito riguardasse un tema di secondaria importanza, il voto è stato fortemente osteggiato, oltre che dalle autorità di Sarajevo, anche dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, che hanno condannato l’iniziativa di Dodik, accusandolo di voler mettere a rischio l’unità del Paese.

Al contrario, la Russia ha sostenuto tale iniziativa, ribadendo così il proprio appoggio ai serbi di Bosnia e la p volontà di continuare a giocare un ruolo di primo piano nei Balcani nonostante gli insuccessi degli ultimi anni, culminati con l’avvicinamento del Montenegro alla NATO.

Sebbene nessuno, allo stato attuale delle cose, voglia la guerra, è possibile supporre che il voto di cui sopra rappresenti soltanto il primo passo verso il ricongiungimento con Belgrado, che resta l’obiettivo finale di Dodik e dei suoi connazionali.

Benché la Bosnia, sin dalla sua nascita, non abbia mai conosciuto un periodo di vero affiatamento fra i diversi gruppi etnici costitutivi, è possibile ipotizzare che il tentativo della Republika Srpska di modificare a colpi di referendum lo status quo possa portare ad una reazione decisa da parte delle autorità della capitale, in quanto i bosniaci musulmani hanno dimostrato e dimostrano tutt’ora di non avere alcuna intenzione di accettare la divisione di quello che loro reputano essere il proprio Stato.

A tal proposito sono significative le dichiarazioni di Sefer Halilovic, ex comandante delle forze bosgnacche durante il conflitto del 1992-1995 e politico di lungo corso, il quale poco prima del voto aveva ipotizzato che la RS sarebbe stata militarmente eliminata, parole che hanno irritato a tal punto Ivica Dacic, Ministro degli Esteri della Serbia, da fargli affermare che Belgrado, in caso di aggressione, interverrebbe a favore dei suoi connazionali.

Questa situazione di incertezza ha portato alcuni media dell’ex-Jugoslavia a interrogarsi su quali potrebbero essere le conseguenze di un conflitto armato organizzato da Sarajevo allo scopo di deporre Dodik e mettere la parola fine alla spinta secessionista della Srpska.

Sul tema risulta particolarmente interessante il lavoro di Jan Ivanjek, che è stato pubblicato dal quotidiano zagabrese Jutarnji List e che è dedicato al confronto fra le forze armate bosniache e quelle serbe nell’ottica di uno scontro che non coinvolga altri attori regionali (la Croazia) o internazionali (la NATO).
Verso una nuova guerra in Bosnia?

Prima di approfondire le valutazioni dell’analista croato, però, è bene sottolineare che l’aspetto probabilmente più impattante sulle sorti di un eventuale conflitto sarebbe rappresentato dall’orientamento dell’opinione pubblica occidentale.

I media nostrani, infatti, sembrano generalmente poco ben disposti nei confronti della RS e della Serbia, un chiaro retaggio dei tragici eventi delle guerre combattute negli anni ’90, il che potrebbe aiutare UE e Stati Uniti a prendere posizione – pur non intervenendo direttamente – contro Banja Luka anche se questa venisse aggredita.

In tale scenario, anche se Belgrado decidesse di occupare unicamente il territorio della Republika Srpska allo scopo di garantirne la sopravvivenza ed evitare crimini ai danni dei civili, essa difficilmente riuscirebbe a resistere all’offensiva diplomatica e mediatica che i paesi euroatlantici sarebbero in grado di scatenarle contro, senza contare che molto probabilmente in Croazia la stampa darebbe il via a un’intensa campagna pro-intervento allo scopo di scongiurare “l’egemonia grande serba”.

La Russia, infatti, impegnata e già pesantemente screditata in Siria, avrebbe difficoltà a sostenerla efficacemente, potendosi limitare a generiche minacce o ad usare il proprio diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Tornando, invece, all’analisi di Ivanjek, è interessante sottolineare alcuni dati forniti dall’esperto. In primis, allo stato attuale, le forze della Federazione di Bosnia (FBiH) – la parte croato/musulmana del Paese – non hanno disposizione alcun aereo, poiché i pochi residuati bellici ancora (teoricamente) in grado volare sono stati dismessi e attualmente si trovano nei depositi dell’aeroporto di Banja Luka e, quindi, sotto il controllo della Republika Srpska.

Si tratta, comunque, di aerei progettati negli anni ‘70, come i J-21 (derivati dal G-2 Galeb, utilizzato a scopo addestrativo) e i J-22, primo velivolo supersonico prodotto dall’industria jugoslava, il cui stato di conservazione è sconosciuto.

Stando alla ricostruzione del sito tangosix.rs, invece, la Serbia potrebbe contare su 22 G-4 Super Galeb da addestramento e attacco leggero, nonché una ventina fra J-22, Mig 21 e Mig 29 (teoricamente 4, che potrebbero salire a 10 in futuro), anche se non tutti sono stati regolarmente manutenuti e aggiornati.

Passando invece agli elicotteri, la FBiH dovrebbe avere a disposizione 9 fra Mi-8 e UH-1, anche se quest’ultimi, secondo milavia.net sarebbero stati donati dagli USA a scopo addestrativo e, quindi, non dovrebbero essere immediatamente operativi per operazioni militari, mentre lo schieramento serbo potrebbe disporre di una cinquantina di elicotteri, principalmente da trasporto o multiruolo, fra i quali spiccano alcuni Gazelle utilizzabili per attacchi al suolo.

La situazione per Sarajevo si fa ancor più critica se si considera il disastroso stato in cui versano la cavalleria e i reparti corazzati.

Negli ultimi anni, infatti, l’Esercito ha dismesso praticamente tutti i carri M84 jugoslavi e, come sottolinea Ivanjek, al loro posto non sono mai diventati operativi gli AMX-30 donati dagli Emirati Arabi, pertanto restano in servizio solamente 45 M60A3 TTS, la cui affidabilità però è tutta da scoprire, in quanto usati pochissimo a causa degli elevati costi di gestione.

Oltre a ciò, la maggior parte dei mezzi per il trasporto truppe sono inattivi, con la sola eccezione di alcuni M-113, tanto che l’analista croato ritiene che “la maggior parte dei soldati non può fare affidamento su un trasporto protetto”.

In questo caso, comunque, la Srpska è messa decisamente peggio, non avendo alcun mezzo a disposizione e dovendosi affidare, pertanto, completamente a Belgrado che, ufficialmente, possiede 212 fra carri M84 e M84A più un numero imprecisato di mezzi per il trasporto truppe.

Secondo B92, nel 2014 quest’ultimi ammontavano ad oltre 700 unità e, stando a quanto riporta il sito ufficiale dell’Esercito serbo, dovrebbero essere modelli di origine sovietica, come gli M86, i BRDM-2, i BTR-50 e gli M80.

Infine, sempre secondo Ivanjek, la FBiH avrebbe a disposizione un centinaio fra cannoni e lanciarazzi, contro le sole 20 unità della Srpska, che, però, potrebbe fare affidamento sulle scorte di epoca jugoslava mantenute da Belgrado che superano abbondantemente quelle di Sarajevo e che annoverano anche qualche pezzo relativamente “recente”, come il lanciarazzi multiplo mobile M-87 Orkan e l’obice M84 Nora.

Infine, anche a livello di massa la Federazione di Bosnia risulta in netto svantaggio, avendo al momento 18mila fra poliziotti e soldati, contro i 64.650 effettivi schierabili dalla Serbia e dalla Srpska, a cui vanno aggiunti altri 50.000 riservisti richiamabili da Belgrado.

Al di là di tutte queste considerazioni, comunque, risulta evidente che un conflitto armato non gioverebbe a nessuno, poiché vi sarebbe il concreto rischio di coinvolgere anche gli Stati vicini, compromettendo così tutti gli sforzi fatti in questi anni per cercare di sanare le ferite apertesi durante la Guerra civile degli anni ’90.

Volendo comunque fare un’ipotesi, l’unica chance di trionfo per Sarajevo risiederebbe nella possibilità di coinvolgere la NATO al suo fianco, magari sfruttando qualche incidente che dovesse coinvolgere truppe serbe e dell’alleanza.

Per Banja Luka e Belgrado, invece, sarebbe fondamentale riuscire a persuadere l’Europa e gli Statunitensi della correttezza delle proprie azioni, della fondatezza dell’intervento e dell’assoluto rispetto dei diritti umani durante le azioni belliche.

Oltre a ciò, per la Serbia sarebbe vitale tenere la Croazia fuori da un eventuale conflitto, magari promettendole di non mettere piede nelle aree abitate da croati (con l’eccezione di Brcko che dovrebbe essere immediatamente occupata per garantire il collegamento fra le due metà della Srpska) e, soprattutto, di non sconfinare, dimostrando inoltre una certa disponibilità a riconoscere gli storici ed evidenti interessi di Zagabria nell’Erzegovina.

Foto: Reuters, Army Technology, Youtube, Ministero Difesa Bosnia Erzegovina, Ministero Difesa Serbia, Rob Schleiffert/Flickr, Sredan Popovic/Flickr e Capital.ba

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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