da Il Mattino de l18 ottobre 2016
Dopo mesi di annunci che la definivano imminente è scattata all’alba di lunedì l’offensiva su Mosul tesa a riconquistare la seconda città irachena da oltre due anni nella mani del Califfato. Molte le incertezze in un’operazione militare che difficilmente sarà di breve durata e contiene pesanti implicazioni geopolitiche.
Innanzitutto non è chiaro quanti combattenti siano coinvolti nella grande battaglia. Baghdad schiera circa 30 mila uomini per metà truppe d’èlite, fanti e unità di polizia (ma equipaggiate come fanteria leggera) appoggiati da artiglieria pesante (cannoni, mortai, obici semoventi M-109 e lanciarazzi campali) cacciabombardieri Sukhoi 25 e F-16 oltre che dagli elicotteri da attacco russi Mi-24 e Mi-35 e da decine di pezzi d’artiglieria.
L’altra metà delle forze d’attacco è composta da 9 mila miliziani sciti che dovrebbero restare fuori dalla città, abitata da sunniti, per evitare i rischi di violenze e rappresaglie sui civili già registratisi a Tikrit e in altre località “liberate” dalla presenza dello Stato Islamico.
Alle milizie scite sarà affidato il compito di circondare la città da sud, contrastare eventuali contrattacchi e impedire alle milizie jihadiste di sfuggire all’accerchiamento.
Neppure le forze curde, che stanno attaccando le linee dell’Isis, entreranno in città.
I peshmerga sono i più valorosi ed efficienti soldati messi in campo contro il Califfato ma non sono disposti a subire le severe perdite prevedibili in un feroce combattimento casa per casa per liberare una città araba esterna al territorio autonomo curdo.
A Mosul combatteranno invece le milizie tribali sunnite, poche migliaia di uomini tra i quali almeno la metà dei 3.mila miliziani addestrati da contingente di Ankara da mesi schierato nel nord dell’Iraq senza l’autorizzazione di Baghdad e la cui presenza sta creando forti tensioni tra Iraq e Turchia.
Di fatto quindi le forze irachene impiegabili nella battaglia urbana si riducono a circa 20 mila uomini (non tantissimi se si considerano le dimensioni e le complessità di quel fronte) contro i quali combatterà un numero imprecisato di miliziani dell’Isis.
I curdi stimano siano 3.500/4mila, gli Usa ritengano possano essere 6/7mila e fonti irachene il doppio.
Lo svantaggio numerico dell’Isis potrebbe quindi non essere abissale offrendo ai jihadisti l’opportunità di sfruttare il vantaggio di combattere in difesa e lanciare anche contrattacchi.
Il rapido crollo della prima linea di difesa, la più esterna, nelle prime ore dell’offensiva non deve quindi trarre in inganno.
Da un lato le forze speciali anglo-franco-americane pare abbiano effettuato incursioni notturne per scardinare il fulcro delle difese nemiche ma è probabile anche che l’Isis non avesse interesse a difendere a oltranza postazioni vulnerabili ai raid aerei e all’artiglieria schierata da Baghdad e soprattutto dalle forze statunitensi (obici M-777 e razzi pesanti Himars) e francesi (obici Caesar).
Alle truppe di Abu Bakr al-Baghdadi conviene ritirarsi nei sobborghi della grande città già trasformati in fortini con tunnel, trappole esplosive, depositi di armi e munizioni, camminamenti e trincee anticarro riempite di carburante da incendiare per offuscare la vista a cacciabombardieri, elicotteri e droni nemici.
E’ su questo campo di battaglia urbano che la resistenza dell’Isis può mettere a dura prova il nemico obbligandolo a scegliere tra subire perdite elevate (difficilmente sopportabili dai reparti regolari iracheni) in un’estenuante scontro casa per casa oppure impiegare la massiccia potenza di fuoco di aerei e artiglierie colpendo però indiscriminatamente i civili che Baghdad stessa ha invitato, con il lancio di milioni di volantini, a restare nelle loro case durante la battaglia.
Sul piano strategico l’Isis non ha speranze di vincere le battaglia di Mosul ma tatticamente i jihadisti hanno almeno tre vantaggi.
Innanzitutto combattono una battaglia difensiva a cui hanno potuto prepararsi con mesi di anticipo considerato che dell’offensiva si parla pubblicamente da molto tempo.
inoltre l’Isis ha la possibilità di farsi scudo della popolazione (come fanno i miliziani jihadisti siriani circondati ad Aleppo Est) e può resistere a lungio grazie agli ingenti depositi di armi i catturati alle truppe di Baghdad arresesi in massa nell’estate di due anni fa e occultati in depositi sotterranei per metterli al riapro dai raid aerei.
Infine l’addestramento e la disponibilità al sacrificio dei veterani dell’Isis ha determinato in tutte le battaglie fin qui sostenute la superiorità dei jihadisti nei confronti dei loro avversari con l’eccezione delle truppe siriane e dei curdi.
Le forze dell’Isis possono quindi resistere anche molto a lungo (a Sirte combattono tenacemente da cinque mesi contro le milizie libiche) puntando anche a guadagnare tempo puntando sulla probabile accentuazione dei contrasti tra i loro avversari: l’esercito iracheno, le milizie scite, le milizie sunnite filo-Baghdad e quelle turcomanne filo-Ankara.
A Mosul si combatte la battaglia decisiva per il futuro dello Stato Islamico in Iraq ma non l’ultima battaglia di questa guerra.
La caduta della città lascerà all’Isis il controllo di ben pochi territori in Iraq obbligando i jihadisti a ritirarsi sul confine e in Siria Orientale.
Per questo è prevedibile che, come hanno sempre fatto dopo le battaglie urbane a Fallujah, Tikrit, Ramadi e Palmyra, i veterani dell’Isis combattano anche a Mosul con tenacia per poi cercare di sfuggire all’accerchiamento nemico mischiandosi ai civili, pronti a combattere le prossime battaglie.
Foto: Ministero Difesa francese, US DoD, AP, AFP e Ministero Difesa Iracheno