L’ISIS CHE “PIACE” ALLA COALIZIONE FUGGE DA MOSUL PER COMBATTERE IN SIRIA

Notizie “sospette” giungono dal fronte di Mosul. Decine di famiglie di capi del Califfato si sono trasferite con pulmini fino a Raqqah senza incappare in posti di blocco, né venire attaccati dai voli di ispezione degli alleati.

Secondo diverse fonti curde e statunitensi anche numerosi combattenti jihadisti di nazionalità irachena e siriana avrebbero lasciato Mosul che sta per essere investita dall’offensiva alleata lasciando a combattere solo i veterani stranieri.

Una fuga a quanto pare indisturbata nonostante il totale controllo dello spazio aereo effettuato con velivoli, droni e satelliti dalla Coalizione a guida Usa (che peraltro sta effettuano una media di appena 6 attacchi aerei al giorno nell’area di Mosul) e dalla Turchia che desta il sospetto che l’esodo venga favorito da Ankara e Washington.

Come ricordava ieri l’agenzia Asianews, gli irakeni pensano che la vittoria di Mosul sarà “una vittoria di Pirro” se i capi dell’Isis non saranno catturati, né interrogati e nessuno saprà chi sono i loro alleati.

Un abitante di Raqqah ha riferito aver visto 10 furgoni bianchi seguiti da 12 auto, fare ingresso in fila indiana in città.

I furgoni bianchi sono i tipici mezzi di trasporto che lo Stato Islamico mette a disposizione gratuitamente per il servizio urbano a Mosul.

Da questi veicoli sono scesi decine di passeggeri, soprattutto donne e bambini che comunicavano fra di loro con idiomi stranieri e dialetti arabi non riconducibili all’iracheno né al siriano.

Il fatto che le donne ed i bambini siano stranieri e trattati con riguardo fa pensare alla gente di Raqqah che si tratti di alcuni familiari dei capi e mercenari stranieri dei terroristi dell’Isis.

Le famiglie, scortate da guardie armate per garantire la loro protezione, sono state alloggiate nelle case per gli studenti del quartiere al-Rumeileh.

La notizia subito circolata sui social media, che ormai precedono di gran lunga le agenzie-stampa tradizionali, ha fatto scalpore in Iraq, fra i membri della cosiddetta “Falange di Babilonia”, milizia paramilitare composta da cristiani (ortodossi) di Mosul che combatte a fianco dell’esercito iracheno e dei Peshmerga curdi per riconquistare le loro terre occupate dallo Stato Islamico.

Secondo quanto riferito da Asianews alcuni di loro hanno espresso sospetti di complicità di forze alleate che permetterebbero ai fuggiaschi di Daesh, di compiere il viaggio verso Raqqa.

Curiosamente, l’aviazione occidentale impegnata nei raid aerei, non li intercetta ed essi possono giungere a Raqqah sani e salvi.

Mercoledì in tarda serata una fonte irachena ha riferito alla TV panaraba al-Mayadeen che sono già cento i capi di spicco di Daesh fuggiti da Mosul ed arrivati a Raqqa con i loro familiari.

La macchina di propaganda del “Califfato” di Daesh’ riferisce pero l’opposto: “i familiari dei capi stranieri di Daesh fuggono da Raqqah in direzione di Mosul, considerata più sicura”. Asianews precisa che la notizia della fuga da Raqqah a Mosul è stata ammessa da Rami Abdel Rahman, direttore dell’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani  all’Afp, e ripresa tale e quale dalla rete televisiva Sky 24 in arabo, che ha parlato dell’arrivo a Mosul di 70 famiglie dei capi di Daesh provenienti da Raqqah.

In ogni caso, questo transito fra Mosul e Raqqah pare accadere in tutta sicurezza.

Non si capisce come queste famiglie siano arrivate da Mosul a Raqqah (o viceversa): l’autostrada strategica del Sinjar, che collega Mosul ad Hassakah in Siria e poi a Raqqah è sotto il totale controllo dei Peshmerga kurdi iracheni.

Uniche altre possibilità sono costituite da passaggi più a sud, da Shaddadiya in Siria, oppure più a nord, dove vi sono le truppe turche a Baashika.

Naturalmente tutti questi movimenti sarebbero ben visibili coi satelliti e dal cielo, dove volano in questi giorni velivoli della Coalizione e, oltre il confine iracheno, anche russi e siriani.

La presenza dell’esercito dell’Isis sul versante occidentale dell’Eufrate in Siria permetterebbe in futuro di approfittare di qualsiasi vuoto per farlo tornare in Iraq, passando dalla piana di Ninive verso Ramadi, Falluja e minacciando di nuovo Baghdad.

Baghdad è in cerca di prove concrete e inoppugnabili (anche per conto di Teheran) dell’appoggio diretto fornito al Califfato da Arabia Saudita, Qatar e altri emirati sunniti del Golfo Persico mentre questi ultimi Paesi e i loro alleati turchi e occidentali potrebbero voler evitare proprio queste imbarazzanti rivelazioni che minerebbero la già scarsa credibilità di una Coalizione che in oltre due anni ha combinato ben poco contro l’Isis forse anche perché composta dai principali amici del Califfo.

Favorire la fuga degli uomini dell’Isis verso Raqqah e Deir ez-Zor consente inoltre di aumentare le forze dell’Isis che combattono in Siria contro le truppe di Bashar Assad e di Mosca, obiettivo prioritario a quanto sembra per l’ambiguo Occidente che sembra aver venduto alle monarchie del Golfo dignità e interessi nazionali.

Del resto è difficile accomunare una seria lotta all’Isis alla volontà di Usa ed Europa di imporre nuove sanzioni alla Russia a causa della veemenza con cui combatte jihadisti di tutti i movimenti, dai Fratelli Musulmani, ai salafiti, dai qaedisti allo Stato Islamico.

@GianandreaGaian

Foto: Stato Islamico , Ria Novosti, Reuters, Aeronautica Turca, US DoD

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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