SCUDI UMANI A MOSUL MA MOLTI SUNNITI SOSTENGONO L’ISIS

da Il Mattino del 23 ottobre

Le forze irachene e curde stringono il cerchio su Mosul e la battaglia per liberare dallo Stato Islamico seconda città irachena si fa più dura e feroce. Anche il ritmo di avanzata delle forze governative, sostenuto e baldanzoso nei villaggi della pianura, si fa ora più lento e prudente.

Da un lato pesano le azioni di disturbo dell’Isis, il blitz a Kirkuk e soprattutto l’incendio dei pozzi di petrolio e dell’impianto chimico per il trattamento dello zolfo che sta rendendo inabitabile una vasta zona e la base l’area di Qayyrah, sede di una base area che funge da retrovia logistica per l’intera offensiva.

Dall’altro le truppe irachene sono ormai in prossimità dei sobborghi di Mosul dove trappole esplosive, mine e bunker compongono una rete difensiva ben strutturata e immersa tra le case dove si stima vi siano ancora 700 mila dei 2 milioni di abitanti che Mosul aveva prima dell’invasione dello Stato Islamico.

Uno sviluppo che su questo quotidiano avevamo previsto fin dall’inizio dell’offensiva (vedi “Perché i jihadisti resisteranno per poi nascondersi tra i civili” del 18 ottobre) e confermato dalle notizie di esecuzioni sommarie di civili. Secondo Baghdad non meno di 284 tra uomini adulti e ragazzi sono stati sequestrati e giustiziati nelle ultime ore in città e i loro corpi gettati nelle fosse comuni ricoperte poi di terra con i bulldozer.

L’uccisione di maschi delle comunità ostili al Califfato ha il chiaro obiettivo di sottrarre “manovalanza combattente” al nemico mentre la notizia del sequestro di ben 550 nuclei familiari, per lo più donne, vecchi e bambini da usare come scudi umani impone qualche riflessione.

Innanzitutto questa guerra viene combattuta anche e forse soprattutto con le armi della propaganda, delle cosiddette Info war e Psy-Ops (operazioni psicologiche) tese a influenzare l’opinione pubblica e le forze militari dell’avversario.

Per questo l’Isis diffonde filmati in cui mostra una Mosul tranquilla in cui la vita scorre normale e abitata da cittadini fedeli al Califfato mentre Baghdad tende a evidenziare arresti ed esecuzioni di massa da parte dei jihadisti per indurre a credere che la popolazione subisce un’occupazione oppressiva.

Una guerra di propaganda simile venne combattuta nell’Iraq del nord –ovest nel 2007 e 2008, quando il generale David Petraeus venne inviato da George W. Bush a guidare le forze statunitensi in Iraq per applicare una strategia innovativa tesa a vincere la guerra spezzando l’anello che univa gli insorti sunniti orfani di Saddam Hussein e i mujhaiddin di al-Qaeda.

Un’alleanza nata dall’odio dei sunniti per il governo di Baghdad. caduto nelle mani della maggioranza scita con l’avvento delle elezioni democratiche nel Paese arabo.

Petraeus vinse convincendo i capi tribù sunniti a creare i cosiddetti “comitati del risveglio” composti al culmine delle operazioni da 103 mila miliziani sunniti pagati da Washington che combatterono e cacciarono i qaedisti in cambio dell’impegno del governo di Baghdad a dare loro un posto nelle forze armate e di polizia e dell’inclusione dei partiti sunniti nella politica nazionale.

Impegni che, dopo il ritiro anticipato dei militari statunitensi dall’Iraq voluto da Barack Obama, non vennero onorati dal governo scita iracheno di Nouri al-Maliki.

Per questo nel 2014 le popolazioni sunnite accolsero come liberatori gli uomini dell’Isis calati con successo nella provincia di al-Anbar in gennaio e in giugno a Mosul e nel nord dell’Iraq.

Anche oggi i sunniti iracheni preferiscono l’alleanza con i jihadisti (la struttura militare del Califfato si regge sui veterani della Guardia Repubblicana di Saddam) a sottostare al governo scita.

E’ quindi evidente che una parte rilevante della popolazione di Mosul simpatizza con l’Isis e teme il ritorno dei governativi in gran parte sciiti, sia che vestano l’uniforme dell’esercito e della polizia sia che combattano nelle milizie filo-iraniane di “mobilitazione popolare” già macchiatesi di feroci rappresaglie sui civili in altre città “liberate” e che non intendono sottostare all’ordine del governo di Haider al-Abadi di tenersi lontani dal centro urbano di Mosul.

Le notizie riportate da fonti ufficiali irachene circa la presenza in città di gruppi di resistenza all’Isis sono credibili e del resto anche il Califfato schiera molti suoi uomini nelle città in mano ai governativi come dimostrano i quotidiani attentati a Baghdad.

Al tempo stesso è però impensabile che poche migliaia di combattenti del Califfato (3 mila secondo i curdi, il doppio secondo americani e iracheni) possano tenere sotto controllo la città e almeno 700 mila suoi abitanti senza il supporto di ampi strati della popolazione.

Il tema è delicato, viene quasi del tutto ignorato in Iraq e se ne parla poco anche in Occidente perché evidenzia l’aspetto politicamente scorretto del sostegno popolare di cui gode il Califfato e sottolinea il problema enorme di reinserire nella società irachena milioni di sunniti che non si fidano di Baghdad e degli occidentali.

Non è un caso che appena 3.900 abitanti di Mosul abbiano raggiunto i campi profughi allestiti dall’UNHCR (l’agenzia dell’Onu per i rifugiati) in grado di accogliere 165 mila persone.

E’ quindi molto probabile che molti abitanti di Mosul, sostenitori del Califfato, siano fuggiti verso altre aree in mano all’Isis o siano rimasti in città.

L’utilizzo di scudi umani infatti è comune a diversi contesti bellici che presentino caratteristiche comuni di carattere militare e sociale.

Nel primo caso tutti i movimenti insurrezionali privi di forze aeree, robusta artiglieria campale e di un’efficace contraerea compensano il superiore volume di fuoco degli avversari schierandosi a ridosso di case, scuole e ospedali.

L’altra condizione comune è che tutti i gruppi insurrezionali che impiegano scudi umani godono del sostegno della popolazione, forse non di tutta ma certo di una buona parte.

Come hanno fatto Hamas a Gaza, Hezbollah nel sud del Libano e i talebani in Afghanistan, anche l’Isis a Mosul e i jihadisti del Fronte della Conquista ad Aleppo Est sfruttano gli scudi umani come armi da spendere sul fronte mediatico per fermare o rallentare l’offensiva nemica mostrando al mondo le vittime civili, spesso con l’ausilio di organizzazioni umanitarie e media compiacenti.

L’uso politico delle vittime civili di guerra non è certo una novità, nella nostra epoca lo “inventarono” vietcong e nord vietnamiti negli anni ’60  e continua a essere un’arma molto efficace per insorti e ribelli, in grado di “azzoppare” la macchina bellica nemica.

@GianandreaGaian

Foto: Ministero difesa iracheno, US DoD, Stato Islamico, AP, Iraqi Tv e AFP

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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