Con i militari nelle strade lo Stato finge di curare i mali di cui è responsabile

Centocinquanta militari per pattugliare l’area milanese intorno a via Padova. Messo alle strette da criminalità e degrado sociale di cui è il primo responsabile, lo Stato non trova di meglio che ricorrere ancora una volta ai militari, vera e propria panacea mediatica per tutti i mali.
Da quando prese il via nell’agosto 2008, l’Operazione Strade Sicure è passata da 3mila a oltre 7 mila militari dell’Esercito impiegati sulle strade, per pattugliare piazze e stazioni della metropolitana, aeroporti e luoghi sensibili, le aree terremotate dalla minaccia degli sciacalli, ma soprattutto per fare presenza nei centri urbani affiancando o sostituendo le forze dell’ordine

Un impiego dei militari varato nel 1992 (quando ancora i soldati erano di leva) schierando a rotazione due brigate in Sicilia per controllare il territorio e contrastare la mafia, ma che da allora ha visto anche situazioni imbarazzanti per non dire penose con i militari utilizzati persino per raccogliere spazzatura a Napoli (dove vengono stipendiati 2mila netturbini) e Palermo, per spalare la neve a Milano o per prevenire i roghi e lo scarico di sostanze nocive in Campania.

Certo i soldati costano meno dei poliziotti e hanno l’indubbio merito di piacere ai politici perché la loro presenza, ben visibile ai cittadini, infonde un senso di maggiore sicurezza perchè, di fatto,  i soldati nelle strade fanno credere che le istituzioni stiano risolvendo i problemi dei cittadini.
In realtà il ricorso ai soldati per le operazioni di sicurezza interna rappresenta più di ogni altro elemento il fallimento dello Stato, incapace di mettere in galera (e lasciarceli) i criminali e di impedire che le nostre città diventino bivacco, campo di battaglia e scorribande di masse di centinaia di migliaia di immigrati illegali che proprio lo Stato continua a far sbarcare in Italia impiegando (paradosso tra i paradossi) altri militari di Marina, Guardia Costiera e Guardia di Finanza.

dsc_0189Un’accoglienza che è un vero “crimine” perché aperta a chiunque possa pagare i trafficanti, perché minaccia e colpisce il popolo italiano in termini di stabilità sociale, problemi sanitari e di sicurezza e perché ingrassa e favorisce le organizzazioni terroristiche islamiche come ammettono anche illustri membri dell’attuale governo.
Non saranno quindi 150 militari in più sulle strade intorno a via Padova a Milano a risolvere i problemi anche se la loro mobilitazione riapre nuove importanti questioni.
L’Italia dispone di 330 mila agenti di polizia tra Carabinieri, Polizia di Stato, Guardie Penitenziarie, Forestali, Provinciali e Municipali ma ha bisogno di utilizzare 7.500 militari di un Esercito che ormai ne conta 100 mila su un totale di 170 mila con Marina e Aeronautica.

Perché lo Stato non riesce invece a utilizzare maggiormente nelle strade le forze di sicurezza, sempre meno visibili sul territorio e in buona porte sostituite dagli autovelox lungo le strade?
Giova ricordare che la Legge 125 che nel luglio 2008 istituì l’operazione Strade Sicure attribuendo ai militari lo status di “agenti di pubblica sicurezza” prevede l’impiego di forze militari “per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, ove risulti opportuno un accresciuto controllo del territorio”.

Ormai di eccezionale sono rimasti solo gli impegni in seguito ai terremoti dove i mezzi dei militari sono indispensabili, mentre tutte le altre emergenze, dalla criminalità ai clandestini si sono cronicizzate per colpa soprattutto dei governi degli ultimi anni.
L’emergenza è diventata routine poiché alla sfida portata dalla criminalità organizzata si sono aggiunte la minaccia terroristica, lo sciacallaggio nelle aree terremotate del Centro Italia e la massiccia presenza incontrollata di immigrati illegali in diverse aree urbane.

Renfort vigipirateLa minaccia terroristica in Europa ha visto in molti Paesi lo schieramento di militari armati di fucili d’assalto per presidiare luoghi pubblici, possibili obiettivi o pattugliare le strade. In Francia l’Operation Sentinelle che impiega oltre 10 mila militari per lo più nella regione parigina è ormai istituzionalizzata come l’italiana Strade Sicure, in Belgio i soldati sono scesi nelle strade dopo gli attentati a Bruxelles mentre il nuovo Libro Bianco della Difesa prevede anche in Germania l’impiego dei militari in operazioni di ordine pubblico.

Del resto anche i tedeschi hanno le loro gatte da pelare tra minaccia terroristica e “invasione” di clandestini incoraggiata dallo stesso governo di Angela Merkel.
La “moda” di impiegare i militari nelle città per fronteggiare l’emergenza terrorismo dilaga in tutta Europa a conferma di come il nostro continente sia ormai “prima linea” nel confronto con i jihadisti.

Dovrebbe sorprendere che oggi l’Italia schieri 5 mila militari all’estero e il doppio in Italia o nelle acque antistanti la Libia per compiti di sicurezza interna. Abbiamo troppi militari oppure pochi poliziotti?
Forse ne abbiamo a sufficienza di entrambi ma li impieghiamo male. I militari dovrebbero difendere i confini dalle minacce e impedire a chiunque non in regola di oltrepassarli mentre le forze di sicurezza dovrebbero presidiare di più il territorio e poter contare su una Giustizia che metta in galera coloro che vengono arrestati dopo aver compiuto reati.

romaIn una democrazia sana i militari nelle strade dovrebbero costituire l’estrema risorsa a cui ricorrere in casi gravissimi in cui dover imporre la legge marziale, il coprifuoco o applicare leggi speciali (come accadde per molti anni all’Esercito Britannico schierato in Irlanda del Nord).
Considerarli pubblici dipendenti “liberi da impegni” e quindi proficuamente utilizzabili come simil-poliziotti dopo un breve iter addestrativo svilisce la professionalità sia dei militari sia di agenti e carabinieri ma soprattutto l’impiego prolungato dei soldati ne azzera ogni effetto di deterrenza.

Anche perché i militari di “Strade Sicure” hanno gli stessi vincoli all’uso della forza di un poliziotto o un carabiniere anche se impugnano armi da guerra.
Altro paradosso è che i primi ad approvare un impiego così fuorviante dell’Esercito sono proprio i vertici militari perché le operazioni di ordine pubblico garantiscono visibilità, piacciono ai politici da cui dipendono sempre di più le loro carriere (e i “dopo carriera”), portano un po’ di fondi aggiuntivi nei bilanci delle forze armate e impiegano reparti che per carenze di denaro non potrebbero addestrarsi a compiti più consoni al mestiere delle armi.

Inutile negare che ci sarebbero emergenze tali da richiedere l’impiego delle forze armate sul territorio nazionale e in modo ben più massiccio di oggi. Lo stesso Matteo Renzi ha detto più volte che la gran parte degli immigrati illegali che il suo governo continua ad accogliere e a incoraggiare a partire da tutta l’Africa dovranno essere espulsi e rimpatriati. Si tratta ormai di centinaia di migliaia di persone per lo più maschi giovani, come si diceva una volta “in età da soldato”.
Quando dovremo (in Italia e in buona parte d’Europa) varare operazioni di espulsione di massa si dovranno mobilitare moltissimi uomini delle forze militari e di sicurezza e in ogni caso non sarà certo una passeggiata ma, quella sì, una vera e propria emergenza nazionale.

@GianandreaGaian

da Nuova Bussola Quotidiana

Foto: Esercito Italiano, Marina Militare e AFP

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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