LA NUOVA “CORTINA DI FERRO” NEI BALCANI
Nelle ultime settimane un numero insolitamente alto di scandali e spy story degne dei libri di Fleming o Le Carré ha visto la luce nell’ex-Jugoslavia.
Il tutto è cominciato in occasione delle elezioni politiche tenutesi in Montenegro lo scorso 16 ottobre: poco prima del voto, infatti, una vasta operazione di Polizia aveva portato all’arresto di 20 cittadini serbi accusati di aver preparato una sorta di golpe per destituire il primo ministro uscente Milo Đukanović.
Tale azione aveva sin da subito sollevato più di qualche dubbio, sia per le modalità con cui era stata annunciata, sia perché a numerosi commentatori non sembrava possibile che un manipolo così esiguo potesse realmente mettere in ginocchio Đukanović, che, vale la pena ricordarlo, governa ininterrottamente dal 1991 e di fatto controlla il Paese.
Oltre a ciò, il 24 ottobre scorso il Premier serbo Aleksandar Vučić (nella foto a sinistra) durante una conferenza stampa convocata ad hoc, ha dichiarato che gli apparati di sicurezza di Belgrado avevano appena preso in custodia una serie di persone intente a svolgere attività “illegali” in Montenegro e a pedinare il suo omologo locale. In tale occasione, egli ha anche lasciato intendere che dietro agli arrestati ci potrebbe essere la regia di alcuni servizi segreti esteri che, a suo dire, sarebbero sempre più attivi nel Paese e costituirebbero una seria minaccia per gli interessi della Serbia.
Quasi a conferma di queste affermazioni, pochi giorni fa ha iniziato a circolare la notizia secondo cui un funzionario dell’UKP, l’Agenzia della Polizia Criminale serba, avrebbe venduto numerose informazioni segrete ad agenti stranieri sfruttando la propria posizione di analista e, soprattutto, i trascorsi in un’unità dedita “all’osservazione e al pedinamento”.
Singolarmente, però, il sospettato numero uno non è stato arrestato, una decisione che secondo Momir Stojanović, ex Direttore dei potenti servizi segreti militari intervistato da Danijela Vukosavljević di Politika, potrebbe dipendere o dall’intervento diretto del soggetto a cui passava le informazioni oppure dall’assenza di prove sufficienti.
A chiudere questo incredibile ottobre, però, è stata un’altra notizia inusuale, ossia il ritrovamento di numerose armi da guerra nascoste all’interno di alcuni contenitori posti in una piccola grotta nei pressi della casa personale di Vučić, a Jajinci (poco fuori Belgrado).
Secondo le ricostruzioni ufficiali, le Autorità avrebbero sequestrato un lancia razzi anti-carro modello M-80 Zolja (Vespa), 4 bombe a mano, un centinaio di munizioni calibro 7,62 e alcune da fucile di precisione (forse 8mm Mauser o 7,62x54mmR, n.d.r.).
Come è facile immaginare, la maggior parte dei media locali ha immediatamente ipotizzato che questo piccolo arsenale fosse stato preparato per organizzare un attentato ai danni del premier e della sua scorta, un’eventualità sostenuta anche da alcuni ministri, ma non da Vučić.
Egli, da oratore esperto, ha difeso la propria immagine di statista, dichiarando alla stampa che i bambini di Jajinci erano gli unici ad essere in pericolo, in quanto abituati a giocare nei pressi del luogo di ritrovamento delle armi.
Così facendo, ha potuto nuovamente trasmettere agli elettori il messaggio secondo cui le sue riforme sarebbero invise a parte dell’establishment del Paese, che sarebbe pertanto disposto a fare scelte estreme pur di ostacolarlo e rimuoverlo dal potere, ma che lui non ha intenzioni di cedere.
Volendo avanzare un’ipotesi sulle cause profonde di questa lunga serie di avvenimenti da Guerra Fredda, non si può non considerare innanzitutto la delicata fase che stanno attraversando i rapporti fra Occidente e Russia.
Lo scontro sempre più violento fra Washington e Mosca, infatti, contribuisce ad aumentare il grado di insicurezza nei Balcani, soprattutto all’interno di quei Paesi che, come la Serbia, si proclamano non allineati e cercano di mantenere buoi rapporti con entrambi gli schieramenti.
Stando alle parole di Vučić, inoltre, una delle principali conseguenze della nuova Guerra Fredda è stato l’aumento delle attività spionistiche, una considerazione che, per quanto credibile, non sembra però poter giustificare l’ipotesi avanzata da alcuni commentatori secondo cui il tentato golpe in Montenegro sarebbe da imputare al Cremlino.
Se Mosca avesse veramente voluto cambiare l’orientamento politico di Podgorica, infatti, avrebbe probabilmente fatto affidamento su un numero ristretto di specialisti in grado di agire prima delle elezioni (evitando così il rischio di rendere Đukanović un martire) e soprattutto su personaggi in grado di rafforzare e compattare le opposizioni al Primo Ministro uscente.
Similmente, la tesi secondo cui le armi trovate nei pressi dell’abitazione di Vučić sarebbero state ivi nascoste allo scopo di facilitare un attentato sembra piuttosto azzardata. Non si capisce, infatti, perché un ipotetico commando avrebbe dovuto conservare del materiale così voluminoso in un’area che, per stessa ammissione del Premier serbo, è molto frequentata.
Infine, non va dimenticato che nell’ex-Jugoslavia l’accusa di voler attentare alla vita del leader o di volerlo comunque tradire era uno strumento frequentemente utilizzato per liberarsi di scomodi collaboratori o per modificare lo status quo all’interno dell’élite del Paese (si pensi al caso Ranković in epoca titina).
In conclusione, è difficile stabilire quale sia la verità che si cela dietro a questa lunga serie di operazioni e quale sia il reale grado di coinvolgimento di Mosca e Washington nelle vicende locali.
Ciò che è certo, invece, è il Cremlino non ha intenzione di giocare una partita da comprimario nei Balcani, come invece è stato costretto a fare negli ultimi anni.
Un ritardo che lo ha portato a perdere il Montenegro (prossimo all’ingresso nella NATO) e costretto a giocare la carta del separatismo della Republika Srpska per bloccare l’avvicinamento della Bosnia all’Alleanza Atlantica e all’Europa.
Alla luce di tutto ciò non deve sorprendere l’importanza che rivestono per Putin le esercitazioni congiunte con le Forze Armate serbe (come quella denominata “Fratellanza Slava”, in corso dal 3 al 9 novembre e che coinvolge truppe serbe, russe e bielorusse), i negoziati per la creazione di un’area di libero scambio fra Belgrado e l’Unione Euroasiatica e la collaborazione fra i rispettivi servizi segreti: un tema di stretta attualità in seguito alla visita a sorpresa in Serbia di Nikolaj Patrušev, capo del Consiglio di Sicurezza russo.
Foto: Ingrum, Reuters, RS, NATO e Pravda
Luca SusicVedi tutti gli articoli
Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.