LE TRUPPE IRACHENE ENTRANO A MOSUL

da Il Mattino del 2 novembre

I primi sobborghi di Mosul ad essere investiti dall’offensiva delle forze di Baghdad sono quelli orientali Gojali e Karama dove le brigate di forze speciali irachene hanno sostenuto violenti scontri con le milizie dello Stato Islamico conquistando il palazzo della televisione.

Un successo simbolico che ha permesso al comando dell’esercito di annunciare trionfalmente il suo ritorno a Mosul per la prima volta dal luglio 2014,. Le forze d’èlite dell’esercito sono penetrate in città da est mentre a Divisione di pronto intervento della polizia preme da sud sulla riva opposta del fiume Tigri che divide in due la città.

Secondo un giornalista della Bbc che è al seguito delle truppe irachene, le unità speciali anti-terrorismo della polizia hanno trovato una fiera resistenza nella periferia settentrionale dove le forze di Baghdad sono spalleggiate dalle milizie curde che però non entreranno in città.

Valutando le direttrici dell’offensiva irachena l’obiettivo del quartier generale di Baghdad coadiuvato da consiglieri militari statunitensi e iraniani, sembra teso a concentrare gli sforzi per conquistare con una manovra a tenaglia i quartieri a nord e a est del Tigri.

Il successo non dovrebbe essere in discussione grazie anche alla superiorità totale degli attaccanti in termini di truppe, artiglieria, e supporto aereo incontrastato.

I governativi possono impiegare in città oltre la metà dei 30 mila combattenti mobilitati per l’offensiva scattata il 17 ottobre, secondo alcune fonti saliti a 50 mila negli ultimi giorni.

La punta di lancia è costituita dalle forze speciali e di èlite di esercito e polizia federale, in tutto circa 5 mila veterani della guerra all’Isis addestrati dai consiglieri militari statunitensi che li accompagnano in battaglia.

Dietro queste forze avanzano due divisioni: la 9a corazzata che è l’unità più pesante dell’esercito iracheno dotata di carri armati Abrams e T-72 ed è chiamata a contribuire allo sfondamento di linee difensive nemiche a sud est, sulla sponda destra del Tigri mentre la 15a divisione fanteria avanza dietro la unità speciali della polizia da sud ovest, sulla sponda sinistra del Tigri.

Questa unità potrebbe avere il compito di presidiare i quartieri liberati insieme alle milizie tribali sunnite della provincia di Ninive, 1.500 combattenti schierati a nord della città guidati dal governatore provinciale Athil al Nujaifi.

I primi scontri sostenuti in periferia sembrano la tenacia dei combattenti dell’Isis stimati tra i 3mila e i 6 mila uomini e la presenza di civili utilizzati come scudi umani. La tempistica dell’offensiva tesa a liberare Mosul resta quindi piena di incognite.

Baghdad e Washington auspicano un repentino crollo delle forze dell’Isis per ragioni di politica interna: Abadi vuole consolidare il suo governo incalzato dall’ex premier Nouri al-Maliki e Obama spera in un successo rapido per aiutare l’elezione di Hillary Clinton e riscattare una campagna militare contro l’Isis finora ben poco convincente.

Per favorire una rapida vittoria a Mosul gli alleati hanno persino lasciato aperta una doppia via di fuga ai miliziani dell’Isis che da nord hanno avuto due strade libere per raggiungere il territorio siriano.

Strade interrotta nelle ultime ore dall’offensiva lanciata dalle milizie scite (Forze di Mobilitazione Popolare) a cui è stato impedito l’accesso a Mosul nel timore si abbandonino a rappresaglie sui civili sunniti e che stanno dirigendo verso Tal Afar, al confine tra Iraq e Siria, per chiudere ogni via di fuga ai miliziani dello Stato Islamico.

Un’azione militare che la dice lunga circa le differenze tra la Coalizione, che lascerebbe volentieri fuggire i jihadisti in Siria dove combatterebbero russi e forze di Bashar Assad, e milizie filo iraniane che combattono l’Isis con la stessa determinazione in Iraq come in Siria.

Al-Abadi (nella foto a lato) è comparso in televisione in tenuta mimetica esortando i miliziani dell’Isis alla resa.

“Non avete scelta”, ha detto, “o la resa o la morte” ma quanto avvenuto nelle ultime due settimane in cui sono stati uccisi secondo la Coalizione 8/900 jihadisti e appena 23 (lo dice il comando di Baghdad) sono stati fatti prigionieri non favorisce certo la resa delle forze dell’Isis.

Il basso numeri di prigionieri e l’assenza di dati sui feriti induce a ritenere che i governativi non facciano prigionieri né raccolgano feriti nemici.

Probabilmente i bastioni su cui si intensificherà la resistenza dell’Isis saranno l’aeroporto, a sud della città e presidiato da due basi militari un tempo utilizzate dalle forze statunitensi, la zona universitaria a nord e i quartieri a ridosso del fiume più densamente popolati.

Nei prossimi giorni sarà più chiaro se le forze irachene saranno in grado di liberare in breve tempo la città (e a quale prezzo) e se altre forze scenderanno in campo.

Come quelle della resistenza che secondo Baghdad sono presenti in città o le milizie turcomanne addestrate dalle truppe turche (nella foto a sinistra) che da Beshiqa (35 chilometri a nord-est di Mosul) stanno avvicinandosi ai sobborghi settentrionali della città.

Tra l’altro i turchi, che già schierano un battaglione meccanizzato nel nord Iraq, hanno dispiegato altri 30 mezzi tra tank e artiglieria al confine iracheno e non è chiaro se verranno impiegati per la battaglia di Mosul o per attaccare le milizie curdo siriane (alleate del PKK) nell’area di confine di Sinjar.

@GianandreaGaian

Foto: AP, AFP, Reuters ed Esercito Iracheno

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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