L’Iran teme la svolta di Washington e accelera il riarmo
L’Iran sembra voler accelerare i programmi di riarmo anche alla luce delle incertezze determinate dagli sviluppi della guerra allo Stato Islamico e agli atri movimenti insurrezionali jihadisti sunniti in Iraq e Siria e in attesa di comprendere quanto potrà essere ostile alla Repubblica Islamica la nuova amministrazione statunitense.
Specie dopo le recenti dichiarazioni rilasciate da Mike Pompeo, designato direttore della Cia dal presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump.
“Non vedo l’ora di smantellare questo accordo disastroso con il più grande Stato sponsor del terrorismo del mondo” ha detto con un tweet Pompeo, che in un articolo al settimanale neo-conservatore The Weekly Standard intitolato ‘Smantellare l’accordo con l’Iran? Facile” ha delineato la sua ferma intenzione di condannare a morte il processo di distensione con Teheran determinato dal controverso accordo internazionale, sostenuto da Barack Obama e dalla Ue, che ha sancito il diritto dell’Iran ad accedere al nucleare civile in cambio della rinuncia a dorarsi di armi atomiche.
Preoccupano Teheran anche le voci di un probabile insediamento del generale dei marines James Mattis (nella foto a fianco) alla guida del Pentagono: l’ufficiale ha lasciato in anticipo il servizio attivo nel 2013 da comandante de Central Command in seguito ai disaccordi con l’Amministrazione Obama proprio riguardo all’accordo con l’Iran.
Dopo aver atteso per anni la rimozione delle sanzioni internazionali legate ai suoi programmi nucleari per poter acquisire materiali militari sofisticati all’estero, Teheran non sembra voler perdere l‘occasione offerta dall’intesa internazionale raggiunta quest’anno con la comunità internazionale e fortemente voluta dall’Amministrazione Obama, per “fare la spesa” di armamenti e tecnologie soprattutto a Mosca e Pechino.
Coi russi, alleati di ferro dell’Iran anche sul fronte siriano a sostegno del regime di Bashar Assad, sembra essere giunto alle fasi finali di negoziato un contratto da 10 miliardi di dollari per la fornitura di caccia Sukhoi 30, carri armati T-90 (già testati in battaglia in Siria e forniti all’esercito di Assad), artiglieria ed elicotteri, probabilmente multiruolo MI-17 e velivoli da attacco Mi-35 o i più moderni Ka-52 o Mi-28 già “collaudati” in Iraq e Siria.
Mosca ha consegnato nei mesi scorsi i sistemi di difesa aerea a lungo raggio S-300 ordinati da Teheran nel 2007 in base a un contratto da 800 milioni di dollari ma bloccati dall’embargo delle Nazioni Unite. Che potrebbero ancora dire la loro sulle nuove forniture russe poiché in base all’accordo con cui Teheran si è impegnata a rinunciare alle armi atomiche anche l’acquisto di armamenti convenzionali resta soggetto fino al 2020 all’autorizzazione dell’ONU.
Washington del resto si è già detta “preoccupata” per il contratto in discussione tra Mosca e Teheran benché rappresenti in termini di valore meno di un decimo delle forniture di armi “made in Usa” acquisite dalle monarchie arabe del Golfo, rivali dell’Iran.
A sostenere le nuove forniture russe nei confronti di eventuali mozioni contrarie statunitensi all’Onu contribuisce il fatto che, come per gli S-300, si tratta di armi tattiche e non strategiche, per lo più difensive che vanno a sostituire equipaggiamenti ormai decrepiti, risalenti spesso all’epoca dello Saha Reza Pahlevi.
I caccia Su-30 rimpiazzeranno i vecchissimi F-14 Tomcat forniti dagli Stati Uniti negli anni ’70 mantenuti in efficienza grazie ai programmi “autarchici” delle forze iraniane.
I nuovi elicotteri rimpiazzeranno una vasta gamma di velivoli Bell e Boeing di produzione americana che hanno ormai 40 anni o più così come i carri T-90 permetteranno di radiare i vecchi M-60 statunitensi veterani della guerra contro l’Iraq degli anni ‘80 e le nuove artiglierie russe sono destinate a mandare in pensione vecchi semoventi americani.
Gli anni dell’embargo internazionale hanno imposto all’Iran di sviluppare la sua industria militare che ha realizzato validi aggiornamenti dei mezzi a disposizione ma non è riuscita a sviluppare in modo soddisfacente moderni equipaggiamenti nazionali se si escludono droni (impiegati ora in Siria e Iraq) e missili balistici.
Vettori ideali por testate atoniche, chimiche e biologiche, i missili balistici della serie Shabab sono stati sviluppate negli ultimi 30 anni acquisendo inizialmente tecnologie da Russia e soprattutto Corea del Nord. Oggi l’Iran è in grado di produrre missili balistici con raggio d’azione fino a 3 mila chilometri e sta lavorando a vettori con gittate ancora maggiori.
Armi il cui significato strategico è legato direttamente all’impiego di armi di distruzione di massa, principalmente nucleari, per questo ieri i ministri degli Esteri dell’Unione europea hanno espresso preoccupazione per la continuazione dei test balistici iraniani, definiti in contrasto con l’accordo sullo stop al programma nucleare.
La risposta di Teheran non si è fatta attendere. “I test balistici rientrano nel quadro del programma difensivo dell’Iran che non è’ in alcun modo negoziabile” ha detto un portavoce del ministero degli Esteri di Teheran.
Risposta che contribuirà a rafforzare i dubbi espressi da Israele e dall’Arabia Saudita circa il fatto che l’accordo raggiunto impedisca davvero all’Iran di dotarsi di armi atomiche. Un rischio che, secondo indiscrezioni, ha già indotto Riad a rivolgersi al Pakistan per poter disporre di un adeguato deterrente atomico e che ha contribuito a rendere più aspre le relazioni tra Gerusalemme e Washington.
Non a caso il premier israeliano ha plaudito alla vittoria di Donald Trump, che aveva definito l’intesa sul nucleare iraniano “il peggior accordo mai negoziato” e che ha rilanciato l’alleanza Usa-Israele.
L’Iran teme quindi che la nuova amministrazione statunitense possa rovesciare l’intesa raggiunta pretendendo ulteriori garanzie circa la rinuncia alle armi atomiche, forse forzando la mano proprio sui programmi di missili balistici.
Sviluppi tutti da valutare alla luce delle pressioni esercitate ieri sul nuovo presidente da 76 esperti statunitensi di sicurezza nazionale per il mantenimento dell’accordo e della volontà espressa da Trump di distendere i toni con la Russia e combattere insieme Isis e jihadisti sunniti, nemici acerrimi anche dell’Iran scita.
Su questo fronte Teheran ha firmato lunedì scorso un nuovo accordo di cooperazione militare con la Cina incentrato su addestramenti congiunti “per combattere congiuntamente la minaccia terroristica”. Questo significa che i cinesi aumenteranno la loro presenza nella regione del Golfo Persico e per contrastare l’insurrezione dell’etnia islamica uighura nel Sinkiang potranno contare anche sulle significative esperienze maturate dagli iraniani in Siria e Iraq.
(con fonte Il Mattino)
Foto IRNA, Getty Images e Xinhua
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.