Sbagliare è umano ma perseverare è diabolico
di Giuseppe De Bellis (nella foto d’apertura) da Il Giornale del 12 novembre 2016
Analisti e giornalisti. Si può sbagliare, anche più di una volta. Prima, però. Sbagliare dopo, o meglio continuare a farlo, è in alternativa da pazzi o da malafede. Perché qui non si tratta del giudizio su Donald Trump, quello è libero. Il problema è continuare a ripetere il cliché del «voto ignorante», è insistere sui reietti, sui creduloni, sui fanatici, sui forgotten men. Prima del voto, lo stereotipo era condiviso: non c’era un solo giornale e un solo analista che tracciasse ritratti alternativi dell’elettorato trumpiano.
Così come non lo facevano Hillary Clinton e il suo staff, nonché tutti i suoi fan in giro per il mondo. Ed è il motivo per cui di fatto hanno sbagliato tutte le previsioni. Questo, però, era prima dell’8 novembre. Commesso l’errore, uno che fa? Azzera e riparte. Legge i numeri, interpreta i sentimenti, comprende. E ricalibra. Invece stavolta non è successo. A 96 ore dal voto, con i dati sotto il naso e gli occhi, il pregiudizio acceca ancora, facendo commettere l’errore del dopo.
Che è un errore diabolico. Non ha giustificazioni, se (…) (…) non quelle ideologiche e culturali, dove per cultura s’intende la subcultura della prepotenza per cui «chi non la pensa come me è un becero».
Ancora ieri i giornali italiani – e per la verità anche alcuni americani – continuavano a scrivere frasi simili a queste: «Tanti elettori di Trump non si vergognano della loro ignoranza» (Massimo Gramellini). Oppure: «La sua vittoria è figlia del peggior vecchiume reazionario di una tragica, deprimente America bigotta, ignorante, e maniaca delle armi».
Poi gli scrittori come Jonathan Safran Foer che si «vergogna», che giudica «giusto» scendere in piazza perché adesso l’America è un «regime».
Si segnala che il regime si chiama democrazia e, per quanto anche a molti in Europa, pure non di sinistra, possa spaventare Trump alla Casa Bianca, il processo democratico è ancora la base della nostra cultura e di ciò che ci distingue dai regimi (quelli sì) del Medio Oriente e di altre zone del mondo.
Poi c’è un fatto, più semplice, ma evidentemente inaccettabile se viene contestato anche di fronte ai numeri: a portare Trump alla presidenza non sono stati gli ignoranti, né gli emarginati, né i reietti, né i fan delle armi, per quanto anche questi – tutti – abbiano ancora diritti identici a chi è laureato, ricco e metropolitano.
Oppure vogliamo dire che il voto di chi ha un titolo di studio debba valere di più? Trump ha preso la maggioranza dei voti di tutte – tutte – le fasce di reddito sopra ai 50mila dollari, ha preso il 45% tra i laureati e il 37% tra quelli con un titolo di studio superiore alla laurea, mentre tra chi ha un diploma ha preso il 51% e tra chi non ha neanche un diploma il 52%.
Sono quelli che i Gramellini del mondo chiamano ignoranti e sostengono che siano orgogliosi della loro ignoranza. Anche qui conviene ricordare che nel 2008, Obama arrivò al 62% tra quelli senza diploma superiore e al 52% per quelli col diploma. Quindi? Anche quei voti non andavano bene? Altra questione: si dice con disprezzo che Trump abbia vinto per merito delle zone rurali.
A parte che, anche in questo caso i dati dicono spesso il contrario (come in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, tutti decisivi), vogliamo dire che i campagnoli contino meno?
Ci si prende gioco della verità per disprezzare, con il risultato di cadere nel ridicolo oltre che nella malafede. Diabolico, appunto. Perché si mente sapendo di mentire, alimentando luoghi comuni comodi e stereotipi ancora più comodi.
Serve a spiegare perché giornalisti, intellettuali, analisti non abbiano capito all’inizio, ma anche perché – ed è molto peggio – continuino a non capire.
Neanche se a spiegarglielo con chiarezza è una di loro, come Margaret Sullivan sul Washington Post: «I giornalisti volevano sapere esattamente come (Trump) avrebbe fatto a deportare tutti gli immigrati irregolari, o esattamente come si sarebbe sbarazzato dello Stato Islamico.
Volevamo i dettagli, ma molti elettori pensano in modo diverso: prendono Trump sul serio, ma non letteralmente. Loro sanno che Trump non farà costruire un muro lungo il confine sul Messico, quello che sentono però è che avremo una politica immigratoria più sana e giusta. Trump, apparentemente, ha raccolto la rabbia degli americani verso argomenti come il commercio e l’immigrazione.
E anche se molti giornali e giornalisti hanno raccontato la frustrazione e la crisi di questi americani, non li abbiamo presi abbastanza sul serio». Quello è stato un errore, evidentemente. Continuare a non voler capire, né a prendere sul serio ciò che è accaduto è semplicemente stupido. O così presuntuoso da essere oltre la stupidità.
Foto: AP, Truthfeed, Daily Wire, Fox News, Supreme MCMC e Ramireztoons
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