Verso la “soluzione militare” del conflitto sirano

Dopo aver respinto negli ultimi mesi almeno tre tentativi di infrangere l’accerchiamento delle forze ribelli (per lo più jihadisti dell’Esercito della Conquista guidato dai qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra) le truppe di Damasco sono penetrate da nord nel settore orientale della seconda città siriana e in poco più di una settimana hanno riconquistato oltre i due terzi dei quartieri che i ribelli controllavano dal 2012.
Per affrontare l’ultima fase della battaglia, che si preannuncia casa per casa, Damasco avrebbe mobilitato le forze d’élite della Quarta divisione della Guardia Repubblicana.
Si tratta del successo più eclatante dei tanti conseguiti dalle truppe di Assad negli ultimi 14 mesi, da quando ha preso il via l’intervento militare russo che ha dimostrato l’inconsistenza dell’Occidente nel contrasto ai jihadisti

Il blando intervento militare contro lo Stato Islamico della Coalizione a guida Usa, abbinato ambiguamente al sostegno ai ribelli siriani “moderati” che sul campo combattono fianco a fianco coi jihadisti, è stato ridicolizzato dal deciso intervento russo gestito con forze all’altezza della sfida: 5 mila militari, migliaia di mercenari e contractors, 50 aerei ed elicotteri oltre a una decina di navi lanciamissili e portaerei).
Il successo militare conseguito ad Aleppo (dove i russi stanno inviando reparti del Genio per la bonifica degli ordigni esplosivi, come fecero già a Palmyra) dalle forze siriane appoggiate da Iran e Russia è stato riconosciuto venerdì scorso dal Segretario di Stato statunitense John Kerry, nel corso del meeting MedForum organizzato a Roma dalla Farnesina e dall’Ispi.

000_nic6361500“Aleppo è persa” ha detto Kerry riconoscendo di fatto il fallimento della politica dell’Amministrazione Obama in Siria (contro Isis e al-Qaeda ma anche contro Assad). Una realtà che il ministro degli esteri britannico, Boris Johnson, sembra rifiutarsi di accettare. “Onestamente, penso davvero sia un errore pensare che tutto ciò che accade ad Aleppo e in altre zone controllate dai ribelli in Siria possa essere considerato una vittoria per Assad o per Putin”, ha detto alla BBC perché “è impossibile immaginare che il popolo siriano, che milioni di siriani vogliano scendere a patti con un regime guidato da Assad.

Ci sono milioni di siriani che non lo accetteranno, che continueranno a combattere, quindi la soluzione migliore per il presidente Putin e le marionette che sostiene è venire al tavolo dei negoziati e firmare un accordo che liberi la Siria dal regime di Assad”.
Continuare a parlare di “transizione siriana” non ha oggi molto senso poiché la vittoria di Aleppo e le altre minori che a catena stanno riguardando tutti i settori del fronte rafforzano il potere di Assad che pretende di non negoziare con nessun movimento che abbia combattuto con i “terroristi”.

Con buona pace di Johnson la “transizione” a Damasco non è all’ordine del giorno anche a causa dell’assenza di veri leader di un’opposizione che Usa ed Europa hanno lasciato alla mercè delle monarchie sunnite del Golfo che hanno l’obiettivo di islamizzare (Isis, al-Qaeda, Salafiti e Fratelli Musulmani) una Siria laica. Una Siria che se pure non ama Assad lo preferisce probabilmente alle alternative jihadiste finora proposte dai ribelli come dimostra anche l’esodo dei civili da Aleppo Est, diretto verso le zona in mano al governo e ai curdi, non certo verso le aree controllate dai ribelli fuori città.

sana-army-aleppoSull’onda della sconfitta ad Aleppo i ribelli jihadisti si sono ritirati anche da Khan Alsheh a 15 chilometri da Damasco e da 13 villaggi circostanti. L’area è stata riconquistata dall’esercito in base a un accordo che ha consentito ai ribelli di ritirarsi a Idlib ma tra miliziani e loro famigliari se ne sono andati in appena 2 mila, a conferma di quanto consenso popolare godessero.

“Dettagli” che sembrano sfuggire ai leader europei e all’ex sindaco di Londra che ha già più volte dimostrato di essere palesemente inadeguato, per competenza e lucidità, a guidare il Foreign Office e che ben simboleggia le ragioni per cui britannici ed europei non riescano ad esprimere nulla di rilevante in questa come in altre crisi dei nostri giorni.
La politica di Londra in Siria è stata ridicolizzata da Mosca. “Sembra che il governo britannico abbia perso la visione oggettiva di ciò che sta accadendo in Siria a causa della russofobia” ha detto Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa russo, notando che il Regno Unito non ha inviato “un solo grammo di farina né medicinali o coperte per aiutare la popolazione civile ad Aleppo nell’intero arco del conflitto siriano” mentre “più di 90mila civili sono stati salvati in queste aree e gli abitanti dei quartieri orientali di Aleppo hanno ricevuto aiuti umanitari, medicine e vestiti caldi ogni giorno sia dal Centro Russo per la Riconciliazione che dal governo siriano”.

Può sembrare paradossale ma l’Europa imbelle ormai incapace di combattere anche solo per tutelare i suoi interessi e persino di difendere le sue frontiere dai flussi migratori illegali continua a sostenere che non esistono soluzioni militari al conflitto siriano.
Un concetto ribadito al MedForum anche dal ministro degli esteri italiano, Paolo Gentiloni che ha dichiarato come quella militare “non è la soluzione” e non è possibile costruire un processo negoziale ne’ una transizione “sulle macerie di Aleppo.

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Eppure Mosca ha smentito coi fatti questo adagio ripetuto più volte da Nazioni Unite e paesi europei e negozierà con Donald Trump il futuro della regione mediorientale. Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, si è detto ponto a negoziare subito con Washington il ritiro delle ultime forze ribelli accerchiate ad Aleppo (chiesto anche dall’invito dell’Onu Staffan De Mistura) e l’invio di aiuti umanitari ai civili (che i russi già forniscono in modo ben più consistente degli occidentali) ma il nodo del futuro politico della Siria e del regime di Bashar Assad verrà discusso con la nuova amministrazione che si insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio.

Le forze russo-siriane potrebbero quindi avere interesse a conseguire una vittoria totale contro le milizie dell’Esercito di Aleppo (il nuovo organismo che riunisce i miliziani della ventina di gruppi presenti ancora nei quartieri orientali della città) prima dell’insediamento di Donald Trump col quale potrebbe essere più facile trovare intese per combattere insieme lo Stato Islamico che controlla ancora gran parte della Siria Orientale.

La caduta di Aleppo e il crollo dei ribelli nel settore di Damasco renderanno infatti disponibili rilevanti forze militari necessarie a liberare le aree ancora in mano alla coalizione jihadista Esercito della Conquista come il settore di Idlib (dove hanno preso il via intensi raid aerei russi e siriani) e a concentrare forze sufficienti a colpire lo Stato Islamico muovendo da Palmyra e Aleppo verso Raqqah e Deir Azzor, dove la guarnigione governativa è assediata da tre anni dalle milizie del Califfato.

I successi sul fronte siriano e i progressi delle forze irachene a Mosul (pur se lenti e a prezzo di altissime perdite) e in altri settori sembrano indicare che il 2017 sarà l’anno della resa dei conti con lo Stato Islamico, specie se vi sarà un’intesa tra russi e statunitensi che soddisfi anche le priorità strategiche turche specie ora che Ankara sembra aver rinunciato all’obiettivo di rovesciare Assad per puntare su quello più abbordabile di impedire la nascita di un’entità politica e territoriale curdo-siriana ai suoi confini meridionali.

@GianandreaGaian

Foto:  SANA, Askanews e Web

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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