O gli USA mentono o l’Isis è immortale

da Il Mattino del 18 dicembre 2016

Dall’inizio dei raid aerei della Coalizione a guida Usa contro Isis in Iraq e Siria, nell’agosto del 2014, è stato eliminato il 75 per cento dei combattenti del movimento jihadista sunnita. La stima è dell’inviato speciale della Casa Bianca presso la Colazione anti-Isis, Brett McGurk citato dalla Cnn, secondo il quale il Califfato non è più in grado di colmare i vuoti creati dai bombardamenti alleati. Per McGurk l’Isis può contare ora su 12/15.000 combattenti. Cifra che aumenta di molto l’originale consistenza di Isis stimata dal Pentagono visto che la scorsa settimana un funzionario della Difesa aveva sostenuto che dal 2014 erano stati uccisi ben 50.000 seguaci del Califfo.

L’approssimazione di questi numeri rischia di minare la credibilità degli Stati Uniti sia perché non vi sono riscontri oggettivi a sostegno dei numeri annunciati sia perché nel 2015 la CIA stimava tra 30 mila e 50 mila i miliziani del Califfato. Chi si occupa tecnicamente di aspetti militari sa bene che non è mai esistita una forza combattente in grado di mantenere capacità operative dopo aver subito perdite del 75 cento e l’Isis non sembra certo aver esaurito il suo dinamismo bellico: contrattacca sui fronti di Mosul e Raqqah e ha appena riconquistato Palmira manovrando sul campo con un’offensiva che ha coinvolto 5mila combattenti contro un nemico che ha il totale dominio dell’aria.

I 50 mila miliziani dell’Isis che la Coalizione valuta di aver ucciso in due anni e mezzo corrispondono a “59 miliziani uccisi ogni giorno per gli 850 giorni di guerra” ha evidenziato Micah Zenko del think tank americano Council on Foreign Relations.
Si tratta però di numeri che non possono venire verificati e che suscitano perplessità perché non tengono conto delle migliaia di combattenti dell’Isis uccisi sul campo di battaglia dalle truppe irachene e siriane e dai loro alleati. Caduti che gonfiano ulteriormente gli organici dell’Isis rendendo così credibile la stima resa nota nel 2015 dai comando militare del pasdaran iraniani che valutava in 80/100 mila i combattenti del Califfato.

Per questo o le stime di fonte statunitense sono del tutto inattendibili oppure l’Isis dispone ancora di un nutrito ricambio di reclute pronte a rimpiazzare i caduti.
Fonti sentite da Le Monde attribuiscono ai jet Mirage 2000 e Rafale di Parigi l’uccisione di 2.500 miliziani: il 5 per cento dei ribelli uccisi con il 5 per cento dei raid della Coalizione considerato che i francesi hanno effettuato 5mila sortite aeree di cui oltre mille da attacco contro 1.600 obiettivi in Iraq e Siria, per il 90 per cento in appoggio alle truppe irachene

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In novembre Londra annunciò che gli aerei della Royal Air Force avevano effettuato oltre 3mila sortite di cui 1.115 d’ attacco (1.048 in Iraq e 67 in Siria) eliminando 1900 miliziani e sganciando nell’ultimo anno un numero di bombe e missili 11 volte superiore a quelli impiegati nell’anno più caldo del conflitto afghano. Un ampio impiego di ordigni confermato anche dai dato del contingente aereo olandese, che ha schierato 6 F-16 per sei mesi, lanciando sull’Iraq 850 bombe.

Al di là dei contributi francesi e britannici, per non parlare di quelli molto più limitati di altri 8 Paesi che partecipano attivamente ai raid aerei della Coalizione (Danimarca, Giordania, Australia, Belgio, Olanda, Turchia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, gli ultimi due con contributi definiti “minimali” in un documento del Parlamento britannico) la gran parte delle 15.861 sortite d’attacco effettuate dalla Coalizione tra l’agosto 2014 e il 25 ottobre 2016 sono da attribuire a velivoli statunitensi. Per la precisione il 68% delle 10.425 effettuate in Iraq e il 95% delle 5.617 che hanno colpito l’Isis in Siria.
Circa i “danni collaterali” la Coalizione ammette di aver ucciso per errore 152 civili anche se organizzazioni come l’ong Airwar ne stimano tra 1.500 e 1.900.

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Pure in Libia, l’altro fronte caldo della guerra al Califfato, le perdite subite dallo Stato Islamico nella battaglia appena conclusasi a Sirte sono tutte da verificare. Fonti vicine al governo di Fayez al-Sarraj sostengono che le milizie che hanno riconquistato la città dopo sette mesi di battaglia (lo stesso tempo che fu necessario nel 2011 a insorti libici e NATO per abbattere il regime di Muammar Gheddafi) ne hanno eliminati “non meno di 2.500 ” anche se nel giugno scorso stimavano fossero non più di un migliaio i jihadisti barricati in città su una forza combattente di 5/6 mila uomini del Califfato presenti in Libia secondo stime del Pentagono.
Più dettagliate invece le perdite subite nella battaglia dalle milizie libiche: 690 morti di cui la gran parte appartenenti alle forze di Misurata (529), Zliten (30), Sirte (19), Tripoli (18) e Khoms (11) e oltre 3mila feriti.

Un bilancio che però non convince: nonostante il supporto offerto da oltre 400 raid aerei statunitensi i miliziani dello Stato Islamico erano arroccati in ottime postazioni difensive e hanno dimostrato una netta superiorità tattica rispetto agli avversari: arduo immaginare che a Sirte abbiano subito quasi il quadruplo delle perdite degli attaccanti.

@GianandreaGaian

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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