Terrorismo islamico: il punto debole è la prevenzione del fanatismo
da Il Mattino del 6 gennaio 2017
Il quadro fornito dal governo italiano circa la minaccia terroristica, il ritorno dei foreign fighters dai fronti bellici del Medio Oriente e la radicalizzazione islamica in Italia mostra i limiti già riscontrati in tutte le analisi e i rapporti stilati in Europa su questo tema.
Evidenzia i numeri dei miliziani jihadisti partiti dall’Italia (110 di cui 17 rientrati in Italia ma solo 6 ancora qui, 32 uccisi in guerra) e degli estremisti espulsi (133 ma sono 345 i detenuti jihadisti di cui 153 ritenuti molto pericolosi) e sottolinea la necessità di contrastare la radicalizzazione nelle carceri e sul web. Il rapporto del Ministero degli Interni evidenzia come Roma combatta il terrorismo ma non sembra occuparsi dell’estremismo che lo genera, molto diffuso anche in Italia pur senza assumere forme palesemente eversive.
Di fatto, come in tutta Europa, si cerca di fermare coloro che sono già stati arruolati da Isis o al-Qaeda ma non si fa nulla o quasi per sradicare quella componente islamica costituita da predicatori, ideologhi e imam radicali in grado di radicalizzare migliaia di giovani jihadisti.
Lo studio del ricercatore Michele Groppi (che ha lavorato anche in Israele e si occupa di questi temi per il King’s College di Londra) sul radicalismo in Italia pubblicato dal Centro Militare di Studi Strategici nel 2015 evidenziava la presenza di 108 moschee o centri culturali controllati dagli estremisti islamici mentre pochi mesi or sono fonti dell’antiterrorismo riferirono di un migliaio di “ambienti” islamici monitorati dai servizi di sicurezza.
Se la minaccia si è decuplicata in un paio d’anni per dormire sonni sereni non basta apprendere che 133 estremisti sono stati espulsi dall’Italia e che i “nostri” foreign fighters sono solo un centinaio sui 25 mila stimati provenienti da tutto il mondo di cui oltre 5 mila europei.
Qualche perplessità destano anche gli strumenti con cui l’Italia sembra voler contrastare i rischi legati al ritorno dei miliziani che hanno militato con lo Stato Islamico e i qaedisti del Fronte al-Nusra. La “rieducazione” di uomini che hanno compiuto crimini orrendi in nome del jihad, ventilata dal ministro Marco Minniti, venne evocata già la primavera scorsa dal coordinatore Ue per la lotta al terrorismo, Gilles de Kerchove.
Non si tratta di recuperare alla società alcolisti o tossicodipendenti, ma di gestire assassini convinti di combattere per la giusta causa. Uomini che abbiamo lasciato partire per la Siria con leggerezza (o forse volutamente poiché andavano a combattere il regime di Bashar Assad che ancor oggi l’Europa vorrebbe abbattere lasciando Damasco ai jihadisti) e che tornano quasi senza ostacoli in un’Europa che vorrebbe ingenuamente reintegrarli.
In Italia appare poi poco credibile affidare la de-radicalizzazione degli oltre 350 detenuti registrati come estremisti islamici a esponenti dell’ideologia del Fratelli Musulmani.
La “fratellanza”, finanziata su scala internazionale dal Qatar e dalla Turchia, è rivale del wahabismo dell’Isis sostenuto dai sauditi ma non è certo aderente ai valori della nostra società basata sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che nessun paese islamico ha mai firmato. L’obiettivo anche per i “fratelli musulmani” è l’imposizione della sharia e non a caso in Siria come in Libia le milizie della fratellanza combattono fianco a fianco con quelle di al-Qaeda.
A differenza di wahabiti e salafiti, la democrazia non è aborrita ma considerata il mezzo attraverso il quale conquistare il potere. Per intenderci quello che ha fatto Hamas a Gaza, cercava di fare Mohammed Morsi in Egitto e sta facendo ora Recep Tayyp Erdogan in Turchia.
Il problema che rimane di fatto irrisolto resta quindi quello di combattere l’ideologia islamica radicale che anche in Italia costituisce terremo fertile per un estremismo potenzialmente pericoloso. I dati diffusi nei giorni scorsi sempre da Michele Groppi alla trasmissione Otto e Mezzo di La7, sono in linea con quelli molto allarmanti registrati negli ultimi mesi presso molte comunità islamiche in Europa.
L’indagine effettuata tra gli islamici residenti in Italia rileva che il 24 per cento sostiene la violenza in nome di Allah, il 30% crede che chi offenda l’Islam e i suoi principi debba essere punito e oltre il 60% si dichiara antisemita.
Circa l’integrazione la situazione è (per ora) migliore rispetto ad alcune realtà europee ma il 20% degli interpellati abolirebbe le recite di Natale nelle scuole e il crocifisso, mentre il 44% vorrebbe rimpiazzare la nostra morale con quella islamica. Un brodo culturale perfetto per far crescere tanti Anis Amri.
Foto: Isis e AP
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.