Putin: la luna di miele con Trump è già finita?

 

di Rita LofanoAGI – da Washington

Ha brindato al trionfo di Donald Trump il presidente russo Vladimir Putin mentre il mondo rimaneva sbalordito lo scorso 8 novembre, dopo una campagna elettorale all’insegna dell’idillio tra il miliardario americano e il capo del Cremlino. Se da parte di Putin, durante le presidenziali, non c’è mai stato alcun endorsement formale, l’entusiasmo è stato tangibile in occasione della prima telefonata con il nuovo inquilino della Casa Bianca, lo scorso 28 gennaio, otto giorni dopo l’inaugurazione. E’ stato il presidente russo a rivelare per primo il contenuto del colloquio che sembrò sancire la fine della guerra fredda, con un nuovo rapporto “da pari a pari”, pronti “a lavorare insieme subito per sconfiggere l’Isis”. Nessun annuncio sulla cancellazione delle sanzioni contro Mosca ma “uno spirito favorevole a restaurare e migliorare la cooperazione Usa-Russia anche nel campo dell’economia e degli scambi”, disse Putin, lasciando intendere che era solo questione di tempo. Una luna di miele spettacolare ma che, a poco più di un mese dall’insediamento di Trump, potrebbe essere già finita.

Mosca non ha gradito le dichiarazioni rilasciate giovedì scorso da Trump su una nuova corsa agli armamenti nucleari che mettono in discussione l’accordo New Start (Strategic Arms Reduction Treaty) siglato da Usa e Russia nel 2010 per la limitazione del 30% dei rispettivi arsenali nucleari entro il febbraio 2018. “Se Washington procederà nel suo obiettivo di supremazia nella sfera nucleare, il mondo tornerà alla guerra fredda, con il rischio di una catastrofe globale. Mi auguro che la dichiarazione di Trump sia semplicemente emotiva e diretta ad ottenere consensi mediatici”, è’ stato il monito lanciato tramite Leonid Slutzky, il presidente della commissione Esteri della Duma, la camera bassa del parlamento russo.

Rivendicare, da parte del comandante in capo statunitense, la necessità di non cedere il passo sul fronte della supremazia nucleare non è stato il primo campanello di allarme. Questa settimana il presidente americano si è anche lamentato perché Mosca, violando il trattato sugli armamenti, ha installato un nuovo missile da crociera. Dalla sua discesa in campo, il 15 giugno del 2015, il miliardario non aveva mai criticato Putin.  Pur di difenderlo, anche rispetto all’accusa di essere “un assassino”, ha detto che l’America non è innocente .

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“Basta pensare alla guerra in Iraq e a quanta gente è morta”, ha osservato Trump in diretta tv poco prima dell’inizio del Super Bowl, la finalissima di football americano che è l’evento sportivo più seguito dell’anno. Era solo lo scorso 5 febbraio. Nel giro di pochi giorni l’aria sembra davvero cambiata. Il presidente americano, pur ribadendo che “cercare di andare d’accordo con la Russia” è “la cosa giusta da fare anche se non è una politica popolare”, ha bollato come “non buono” lo schieramento del missile Cruise assicurando che solleverà la questione con Putin direttamente, “se e quando” lo vedrà.

Nelle stesse ore il Cremlino spiegava che la Russia continuerà a sviluppare le sue forze armate e che tra le sue priorità ci sono “il consolidamento dello scudo strategico nucleare, le forze aerospaziali moderne e la rigida esecuzione del programma di Stato sugli armamenti”. Come se non bastasse, il vice presidente Mike Pence, in occasione della Conferenza nazionale per la sicurezza, ha reclamato il rispetto degli accordi di Minsk per la fine dei combattimenti nella regione di Donbass, nell’ Ucraina Orientale.

Sembrano lontani i tempi in cui Putin e l’allora candidato repubblicano alla presidenza si scambiavano complimenti reciproci. “Putin è un leader forte e deciso”, molto più del presidente Barack Obama, ha ripetutamente sottolineato Trump durante la campagna elettorale. “Ha un controllo davvero molto forte sul suo Paese”, ha insistito rimarcando la sua ammirazione per il leader del Cremlino.

Da candidato del Grand Old Party (Gop), Trump è arrivato ad invocare l’aiuto della Russia per andare a fondo nello scandalo delle email dell’avversaria democratica, Hillary Clinton, che ha utilizzato un server di posta privato mentre era segretario di Stato. Il miliardario ha sempre messo in dubbio che vi fosse Mosca dietro gli hackeraggi ai danni del partito democratico (come invece asserito dalle agenzie di intelligence Usa), non ha mai condannato i raid russi su Aleppo, in Siria, al fianco del presidente Bashar Al-Assad e ha detto di preferire una Crimea russa ad una terza guerra mondiale per restituirla all’Ucraina.

Una retorica che gli è valsa l’appellativo di “amico e alleato” del presidente russo, nel migliore dei casi, e “burattino di Putin” nel peggiore. Il capo del Cremlino, dal canto suo, ha definito Trump “un uomo senza dubbio di grande talento che sostiene di voler portare su un altro livello le relazioni con la Russia. Come non potremmo non vedere favorevolmente questa prospettiva?”.

In un editoriale pubblicato all’indomani della vittoria di Trump, il Financial Times ha attributo l’affinità tra i due leader alla condivisa inclinazione per l’autoritarismo. “Sminuiscono intese multilaterali, preferiscono la politica della forza brutale e, soprattutto – osserva il FT – sostengono di avere sempre vinto: gli accordi devono sempre favorire gli interessi nazionali, strettamente definiti e non essere sottoposti alle regole internazionali o dei valori condivisi”.

La sera del 13 febbraio scorso, Donald Trump ha perso il suo primo uomo. Il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn si è dimesso ammettendo di aver “inavvertitamente dato informazioni imprecise” al vice presidente MiKe Pence e alla stampa sulle sue conversazioni con l’ambasciatore russo a Washington, Sergey Kislyac, al quale avrebbe promesso l’abolizione delle sanzioni contro la Russia, in modo illegittimo perchè la nuova amministrazione non si era ancora insediata e lui, all’epoca, era solo un privato cittadino.

Trump era stato avvertito, alla fine del mese scorso, sulla vulnerabilità di Flynn rispetto a “possibili ricatti” da parte dei russi, dall’allora ministro della Giustizia ad interim, Sally Yates. La caduta del generale ha riaddensato le nubi dei sospetti sui rapporti del magnate del Real Estate con Mosca. Stando al New York Times, durante la campagna elettorale vi sono stati “contatti costanti” tra collaboratori del miliardario e dirigenti dei servizi segreti russi. Un altro duro colpo all’idillio tra Trump e Putin e all’auspicata politica del disgelo che rischia di morire sul nascere.

@kirbyrita

 

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