A Trump piace la Nato ubbidiente agli Usa
da Il Mattino del 19 febbraio 2017
Il vicepresidente americano Mike Pence rassicura e al tempo stesso ammonisce i partner europei della Nato.
Gli Stati Uniti rimangono “il miglior alleato” degli europei, ha detto alla Conferenza per la Sicurezza di Monaco aggiungendo che “il presidente mi ha detto di venire qui a portare questo messaggio, questa rassicurazione. Gli Stati Uniti appoggiano decisamente la Nato e sostengono senza incertezze il nostro impegno con l’alleanza transatlantica. Non abbiate dubbi sul nostro impegno”.
Se gli europei temevano un più basso profilo di Washington (se non addirittura uno sganciamento) accompagnato a un riavvicinamento a Mosca, il debutto in Europa di Pence sembra indicare una maggiore continuità di Trump con l’Amministrazione Obama che ha sempre sostenuto l’Alleanza Atlantica considerata un utile strumento per contrastare Mosca, soprattutto nella crisi ucraina e nella conseguente “nuova guerra fredda”, pur senza rinunciare ad ammonire gli alleati per le scarse risorse investite negli apparati militari.
Anche l’Amministrazione Trump sembra seguire questa linea confermata dal segretario alla Difesa, James Mattis (che aveva definito la Nato “fondamentale”) e dal segretario di Stato, Rex Tillerson, che aveva precisato come un’eventuale distensione con Mosca non avrebbe compromesso gli interessi degli alleati europei.
Pence ha promesso fermezza nei confronti dei russi accusati di sabotare l’applicazione degli accordi di Minsk per il cessate i fuoco in Ucraina (dichiarazioni accolte con manifesta delusione dal governo russo) pur senza rinunciare alle aperture annunciate già in campagna elettorale da Donald Trump.
“Sappiatelo: gli Stati Uniti continueranno a chiedere conto alla Russia, nello stesso momento in cui cerchiamo un nuovo terreno comune, che, come sapete, il presidente ritiene possa essere trovato” ha dichiarato Pence.
La percezione è però che la distensione con Mosca marci a rilento, se non a basso profilo, per diverse ragioni. Da un lato la Casa Bianca non può esporsi a ulteriori rischi di apparire troppo morbida con Vladimir Putin, specie dopo le imbarazzanti (anche se dovute ad accuse deboli se non pretestuose) dimissioni del Consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, dall’altra pare evidente che gran parte della maggioranza repubblicana al Congresso e alcuni esponenti di spicco della stessa Amministrazione si oppongono alla normalizzazione delle relazioni con Mosca.
Non si tratta solo di valutazioni politiche ma anche di considerazioni economiche (le sanzioni a Mosca penalizzano l’economia europea non certo quella statunitense) e di calcoli legati ai massicci investimenti militari promessi da Trump in campagna elettorale per “fare di nuovo grande l’America”: 80 mila soldati, 70 navi e centinaia di velivoli in più. Un potenziamento giustificabile solo adombrando il confronto con una grande potenza miliare e nucleare come la Russia, la Cina (o una potenza regionale come l’Iran), non certo col solo contrasto a bande di miliziani e terroristi islamici privi di armi pesanti, flotte e forze aeree.
A Washington conviene, anche nell’Era Trump, rafforzare la Nato come antidoto alla nascita di una difesa europea scaturita da una maggiore cooperazione tra gli apparati militari dei partner Ue. Del resto l’insediamento di Trump è stato accolto con fredda ostilità dai vertici europei, ricambiata dal presidente americano che ha auspicato lo sfaldamento dell’Unione considerata nemica dell’America e non ha mai celato le sue critiche alla leadership tedesca. Anche in questo caso in piena continuità con Obama che in più occasioni ha imputato alle politiche di austerity imposte dalla Germania ai partner Ue la scarsa crescita dell’economia mondiale.
Come già prima di lui Mattis, anche Pence ha ammonito gli alleati europei ad aumentare il loro impegno finanziario per la Difesa pur senza minacciare, come aveva fatto il capo del Pentagono, di ridurre il contributo degli Stati Uniti all’alleanza.
“La promessa di condividere il peso della nostra difesa è stato troppo a lungo non rispettata da troppi e questo erode dalle fondamenta la nostra Alleanza. Il presidente Trump spera che i suoi alleati mantengano le parola” ha detto Pence ricordando che “solo quattro paesi Nato rispettano l’obbligo di investire il 2% nella Difesa. Questo è il momento di fare di più”.
La Casa Bianca corregge quindi parzialmente il tiro sulla Nato perseguendo un duplice obiettivo: impedire il decollo di un serio e concreto progetto militare dalla Ue e favorire una maggiore spesa militare degli alleati europei che porterebbe benefici a una Nato i cui maggiori azionisti sono gli anglo-americani, uniti da una storica intesa ribadita recentemente nel summit tra Donald Trump e Theresa May. Un contesto utile anche a rintuzzare le aspirazioni di egemonia militare continentale di Berlino emerse platealmente con il Libro bianco tedesco dell’estate scorsa.
Di fronte alle continue sollecitazioni dell’amministrazione americana a spendere di più per la Difesa occorre chiedersi a che scopo dovremmo farlo. Per sostenere una guerra fredda anacronistica con Mosca che non corrisponde minimamente ai nostri interessi?
Per contrastare l’Iran che rappresenta oggi insieme alla Russia il più importante nemico dello Stato Islamico e dell’estremismo sunnita e col quale l’Europa sta riprendendo, dopo la fine delle sanzioni, strette relazioni commerciali?
Per comperare più armi ed equipaggiamenti “made in USA” (jet F-35, droni, missili…) indebolendo l’industria europea e favorendo l’export a stelle e strisce aiutando così Trump a ottenere dai colossi industriali statunitensi prezzi più bassi per gli armamenti destinati alle forze armate americane?
Per continuare a essere strategicamente e tecnologicamente dipendenti da un’America che, con Obama come con Trump, ha dimostrato di perseguire interessi diversi e spesso divergenti da quelli europei?
E infine, la Nato dominata dagli anglo-americani rientra ancora negli interessi di Italia ed Europa?
Foto AP
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.