Trump rischia di impantanarsi nel “Vietnam dei sauditi”
Il governo internazionalmente riconosciuto dello Yemen ha negato l’8 febbraio di aver chiesto agli Usa di sospendere le loro operazioni di terra nel Paese dopo un raid contro Al Qaida in cui il 28 gennaio erano rimasti uccisi anche diversi bambini e donne, oltre ad un Navy Seal Americano. Il ministro degli Esteri Abdul-Malik al Mekhlafi, citato dall’AP, ha precisato che il governo ha solo chiesto un “riesame” congiunto dell’attacco compiuto, ma che allo stesso tempo “lo Yemen continua a cooperare con gli Usa e continua a rispettare gli accordi” relative alle operazioni anti-terrorismo.
Lo stop ai raid delle forze speciali USA era stato annunciato dal New York Times le cui fonti avevano riferito che a indurre gli yemeniti ad assumere questa decisione avevano contribuito in particolare le raccapriccianti fotografie di bambini uccisi apparentemente dal fuoco incrociato in una sparatoria durata 50 minuti, nella quale èmorto anche un militare statunitense.
L’operazione sembra ver fallito l’obiettivo di uccidere il leader di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), Qassim al-Raymi, considerato il terzo terrorista più pericoloso al mondo e uno dei principali reclutatori di combattenti jihadisti, che in un messaggio audio diffuso nei giorni scorsi ha promesso di vendicare le vittime del raid.
Fonti militari e d’intelligence americane hanno rivelato alla Nbc che l’assalto mirava a catturare o uccidere al-Raymi, ma si è invece concluso con la morte di 14 miliziani, di diversi civili, tra cui bambini, e di un militare dei Navy Seal mentre il leader di AQAP sarebbe ancora vivo e si troverebbe ancora nello Yemen.
Il Central Command aveva riconosciuto che il raid aveva “probabilmente” ucciso dei civili, tra cui alcuni bambini. Dopo l’incursione un militare yemenita aveva annunciato un bilancio di 41 membri di al-Qaeda uccisi, assieme ad otto donne e otto bambini. “Possibili vittime civili sembrano essere state coinvolte nei raid” di aerei ed elicotteri chiamati in soccorso di soldati americani che combattono sul terreno, ha spiegato il Centcom. I raid sono stati compiuti “contro un nemico determinato, comprese alcune donne”, si legge in una nota. Forze speciali statunitensi “erano state prese di mira da ogni parte, anche da case o edifici”, ha aggiunto il comando americano.
Al- Qaeda nella Penisola Arabica “ha la tradizione consolidata e orribile di nascondere donne e bambini nelle sue aree di attività e nei suoi campi, dimostrando continuamente il suo disprezzo per le vite innocenti”, ha commentato il comunicato del Centcom.
NBC ha anche rivelato che l’operazione è stata la più grande lanciata dagli Usa dopo quella del 2011 in Pakistan, in cui venne ucciso Osama bin Laden, con due decine di Seals, coperti da 30-40 altri militari americani sul terreno e in aria, alcuni soldati yemeniti e una decina di uomini degli Emirati Arabi Uniti (che con sauditi e qatarini mantengono forze militari nello Yemen per combattere i ribelli sciti di etnia Houthi) da cui era arrivata l’informazione sulla localizzazione del leader di al-Qaeda, più un’unità navale al largo delle coste yemenite (la portaelicotteri da assalto anfibio Makin Island, LHD-8 della classe Wasp, da cui è stata lanciata l’operazione).
“Quasi tutto è andato storto” ha ammesso un alto funzionario dell’intelligence e in un messaggio in cui annuncia vendetta al-Raymi ha affermato che “il nuovo idiota della Casa Bianca ha ricevuto un doloroso schiaffo nella sua prima uscita nello Yemen e non ha fatto tesoro delle precedenti perdite americane subite in Afghanistan, Somalia e Yemen”.
A inizio febbraio le milizie qaediste avevano ripreso il controllo di tre località nel Sud dello Yemen dove le forze governative sono impegnate sia contro i jihadisti che contro i ribelli sciiti Houthi. L’ingresso dei jihadisti, la sera del 2 febbraio a Loder e a Shaqra, nella provincia di Abyan, è stato favorito dal ritiro delle forze filogovernative in segno di protesta per il ritardato pagamento dei loro stipendi. Lo stesso giorno i jihadisti hanno preso il controllo di Ahwa e secondo fonti tribali, i jihadisti potrebbero ora tentare di riprendere il capoluogo Zinjibar e l’intera provincia da dove sono stati cacciati la scorsa estate dalle forze governative.
Il conflitto yemenita che vede contrapporsi i ribelli sciiti Houthi sostenuti dall’Iran e le forze governative fedeli al presidente Abd Rabbo Mansour Hadi appoggiate da una coalizione sunnita della Lega Araba guidata dall’Arabia Saudita intervenuta nel conflitto civile yemenita nel marzo 2015 (da allora il conflitto ha registrato secondo fonti dell’ONU 7.400 morti e circa 40.000 feriti) ha favorito AQAP e lo Stato islamico rafforzatisi nel Sud e nel Sud-Est del Paese.
La guerra civile yemenita minaccia di diventare “il Vietnam del sauditi” e dei loro alleati arabi e di coinvolgere direttamente il territorio saudita specie dopo che gli Houthi hanno colpito la sera del 5 febbraio con un missile balistico una base militare nella zona di al-Muzahmiyya, a ovest della capitale saudita Riad. La notizia è stata riportata nella capitale yemenita Sanaa dall’agenzia di stampa yemenita Saba, vicina ai ribelli Houthi, che cita il comunicato firmato dalla ‘Forza missilistica dell’esercito e dei Comitati popolari’.
“Annunciamo per la prima volta di aver lanciato con successo un missile balistico su un obiettivo militare nella capitale del regime saudita in risposta alla continua offensiva saudita-americana, alle sue stragi sanguinose e al suo opprimente assedio contro il nostro popolo yemenita, che sta causando una grande tragedia umanitaria con la complicità della comunità internazionale e dell’Onu”, si legge in una nota.
Il comunicato definisce questo “uno straordinario sviluppo in ambito missilistico” e precisa come ormai “la capitale del diavolo saudita è alla portata dei missili yemeniti in questa fase e fino a dove vorrà Dio”, annunciando che “ciò che verrà sarà ancor più grandioso”. Diversi media locali avevano riferito di una “potente esplosione” udita a ovest di Riad e la televisione iraniana in inglese PressTv aveva parlato di un attacco sulla capitale.
Il 1° febbraio almeno 80 soldati e ufficiali di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sono morti in Yemen a seguito di un attacco missilistico contro le postazioni militari saudite nell’isola di Zuqar. Lo ha riferito l’agenzia iraniana Fars riportando media di lingua araba. Si tratterebbe di un attacco effettuato con un missile balistico contro il centro di addestramento militare situato nell’isola del Mar Rosso.
Il 6 febbraio Teheran ha negato ogni coinvolgimento nel conflitto yemenita. “L’Iran non ha alcun impegno in Yemen e non ha mai fornito armi ai combattenti yemeniti” ha detto il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Bahram Qasemi, sottolineando che “l’Iran rifiuta seriamente e definitivamente qualsiasi tipo di accuse che cercano di mettere in relazione la Repubblica islamica con le questioni yemenite”. Il portavoce del ministero degli Esteri ha aggiunto che “coloro che hanno familiarità con la storia dello Yemen, sanno bene che prima della disgregazione dell’Unione Sovietica il Paese era diviso in due parti” e che “Mosca forniva alla parte sotto il suo controllo armi avanzate e materiale militare”.
Ebbene, ha affermato Qasemi, “il popolo yemenita e i combattenti hanno ancora accesso a queste armi” con un chiaro riferimento ai missili balistici del tipo Scud presenti in Yemen anche nelle versioni nordcoreane a raggio d’azione esteso fornite al pese arabo una dozzina di anni or sono. Per Qasemi, infine, “le accuse contro l’Iran e le affermazioni che la Repubblica Islamica sta incanalando armi nello Yemen a beneficio degli Houthi, è un nuovo pretesto inventato da alcuni Paesi regionali e dalla nuova amministrazione Usa per promuovere l’Iranofobia”.
Una risposta indiretta alle minacce statunitensi formulate il 1° febbraio dopo l’ultimo test missilistico iraniano in seguito al quale Washington ha messo l’Iran “ufficialmente sull’avviso” come ha dichiarato Mike Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Alle richieste di chiarimenti sul significato delle parole di Flynn il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer si è limitato a sottolineare la netta sensazione dell’amministrazione Trump che “le loro azioni siano state provocatorie e chiaramente in violazione” delle risoluzioni dell’ONU. In realtà, a differenza dell’ambito nucleare, Teheran ha sempre dichiarato che il suo programma missilistico (vettori balistici e da crociera) resta “non negoziabile”.
Flynn ha definito il suo monito per “assicurare sia compreso che non ce ne staremo fermi a guardare davanti a tali azioni. ‘L’amministrazione Obama ha fallito nel rispondere adeguatamente alle malefiche azioni, incluso il trasferimento di armi, il supporto al terrorismo e altre violazioni delle norme internazionali. L’amministrazione Trump – ha proseguito Flynn – condanna tali azioni dell’Iran che minano la sicurezza, la prosperità e la stabilità in e oltre il Medio Oriente e mette le vite americane a rischio.
Trump ha severamente criticato gli accordi raggiunti tra l’Iran e l’Amministrazione Obama, come pure l’Onu, ritenendoli deboli e inefficaci”, ha concluso, precisando che Teheran, ”anziché ringraziare gli Usa per questi accordi, si sente incoraggiato” a perseguire il suo potenziamento militare.
Più che al test quindi -condannato con forza anche dalla nuova ambasciatrice americana all’Onu, Nikki Haley, che lo definisce “inaccettabile”- Flynn sembra rispondere al presidente iraniano Hassan Rohani che, in una dichiarazione aveva sottolineato che “la ragione della rabbia di Trump verso l’accordo sul nucleare sta nel riconoscimento all’Iran del diritto di arricchire l’uranio”.
Washington starebbe valutando anche l’ipotesi di inserire il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica Iraniana (i pasdaran) nella lista delle organizzazioni terroristiche (insieme ai sunniti Fratelli Musulmani). Secondo quanto riferito dal Washington Post, alti dirigenti della difesa e dell’intelligence Usa hanno però messo in guardia la Casa Bianca sui rischi legati a una simile iniziativa che potrebbe mettere in pericolo le truppe Usa in Iraq, che ora combattono insieme ai pasdaran contro l’Isis, in particolare a Mosul, tenendosi a distanza ed evitando scontri grazie ad un accordo negoziato dal governo di Baghdad.
Inoltre si tratterebbe di un uso senza precedenti della legge sulle organizzazioni terroristiche straniere (Fto), che sarebbe applicata per la prima volta ad una istituzione governativa ufficiale mentre finora nella lista sono stati inseriti solo movimenti “non statali”, come al-Qaeda e altre 60 organizzazioni.
Applicarla alle Guardie della rivoluzione equivarrebbe per dimensioni e complicazioni a dichiarare come organizzazione terroristica l’esercito di un altro Paese. Creato dall’Ayatollah Khomeini dopo la rivoluzione islamica del 1979 come contrappeso del regime alle forze armate, il corpo dei pasdaran dispone di oltre 100 mila uomini suddivisi tra esercito, marina e aviazione e ha un significativo potere economico.
In questo contesto di tensione un ulteriore fattore di rischio è rappresentato dal crescente coinvolgimento degli Usa nel conflitto yemenita grazie alle forze dislocate nella vicina base di Gibuti e al recente invio nelle acque yemenite e dello stretto di Bab al Mandeb del cacciatorpediniere lanciamissili Cole dopo che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non ha escluso opzioni militari dichiarando che con l’Iran tutte le opzioni sono sul tavolo.
Il Cole è stato invito nella regione in risposta all’attacco condotto il 30 gennaio dai ribelli Houthi che hanno danneggiato la fregata saudita al-Madinah (con un missile antinave sostengono gli Houthi, con tre barchini imbottiti esplosivi suicidi dei quali 2 affondati e il terzo entrato in collisione con la fregata dicono i sauditi) che ha poi lasciato l’area delle operazioni per riparare a Gedda. L’attacco, effettuato al largo del porto di Hodeida, ha ucciso 2 marinai sauditi ferendone altri 3.
Nei mesi scorsi i ribelli Houthi avevano lanciato senza successo due missili antinave di costruzione cinese C-802 contro un paio di cacciatorpediniere statunitensi che avevano risposto distruggendo le batterie missilistiche Houthi.
Il caccia USS Cole è un “veterano” dello Yemen dove subì un attentato di al-Qaeda, mentre era ormeggiato nel porto di Aden, il 12 ottobre 2000, mentre era ormeggiata nel porto di Aden. Un’imbarcazione carica di esplosivo fu lanciata da un equipaggio kamikaze contro il cacciatorpediniere statunitense provocando 17 morti e 39 feriti.
L’invio della nave, precedentemente dislocata nel Golfo Persico sembra indicare un rinnovato sostegno all’Arabi Saudita con cui evidentemente Trump intende ricucire i rapporti dopo le tensioni tra Riad e Obama legate soprattutto all’accordo sul nucleare iraniano siglato il 14 luglio 2005 a Ginevra. Nella stessa area dove incrocia il cacciatorpediniere Cole operano da giorni anche due navi per operazioni anfibie. la USS Comstock e la portaelicotteri USS Makin Island.
Foto US Navy, BBC, EPA e AFP
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