Il vero pericolo è considerarli “lupi solitari”

L’attacco terroristico a Westminster rinnova un allarme terrorismo che in Europa continua a mantenersi elevato ma non aggiunge nulla di nuovo alla minaccia ormai costante dell’eversione islamista firmata dallo Stato Islamico.

Nel dicembre scorso Alex Younger, direttore del servizio segreto esterno britannico (MI6) parlò di un “rischio di attentati senza precedenti” aggiungendo che dal giugno 2013 erano stati 12 piani terroristici nel Regno Unito”.

Le modalità dell’attacco di ieri sono quelle ormai tristemente note. Il cosiddetto “Vehicle Ramming” (speronamento/investimento veicolare) con l’impiego di auto, Suv e camion per uccidere innocenti è “in voga” da tempo, è stato impiegato con risultati variabili in tutto il mondo e ha colto i più importanti successi con le stragi a Nizza e Berlino.

Stesso discorso vale per l’aggressione con armi bianche, solitamente coltelli ma talvolta anche accette o machete, impiegati da “jihadisti fai date” per aggredire poliziotti, militari, semplici passanti o passeggeri di in treno.

Se gli esecutori di attacchi con armi bianche e veicoli sono spesso terroristi “non professionisti”, cioè non avvezzi all’impiego di armi ed esplosivi come i “foreign fighters” veterani dei fronti bellici del jihad, la loro azione non è detto che sia improvvisata o dettata da ragioni personali, frustrazione o “disturbi mentali”, definizioni con cui in Europa si cerca spesso di smorzare la matrice ideologica islamista di tali azioni terroristiche mentre invece i Ieri Scotland Yard ha parlato subito di attacco terroristico.

Lo Stato Islamico, non a caso, definisce “soldati” gli uomini che compiono azioni come queste e l’impressione è che il loro impiego sia gestito da reti locali legate al Califfato mentre i grandi attentati compiuti da “professionisti” con armi da guerra ed esplosivi come quelli di Parigi e Bruxelles vennero ordinati direttamente da Raqaah, come emerso dalle inchieste.

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Abu Mohammad al-Adnani, capo della propaganda dell’IS e ispiratore dei lupi solitari (ucciso nell’agosto scorso da un raid aereo statunitense) ha esortato nel 2014 gli adepti del Califfato a colpire con ogni mezzo gli infedeli, inclusi coltelli da cucina e veicoli.

Difficile quindi credere che l’attacco effettuato da Khaled Masood a Westminster sia frutto dell’iniziativa di “lupo solitario”, anche in virtù dell’elevato valore simbolico dell’obiettivo. Colpire il cuore della più antica democrazia del mondo, di uno degli Stati più attivi sul piano bellico contro lo Stato Islamico, rappresenta un “atto di guerra” per un’ideologia che considera democrazia e libertà mali assoluti.

Theresa May ha definito l’attentatore un elemento “marginale” ma questo è proprio il dato più allarmante: si può definire “marginale” chi riesce a uccidere 4 persone e a ferirne 40 quasi riuscendo a penetrare a Westminister, nel più antico parlamento del mondo?

Non è la prima volta che i terroristi islamici colpiscono obiettivi istituzionali di questo tipo: il 22 ottobre 2014 Michael Joseph Hall (canadese convertito) uccise con una pistola un militare di guardia al National War Memorial di Ottawa per poi introdursi nel Parlamento dove venne ucciso dalla polizia.

Il successo più importante in azioni suicide di questo tipo è dimostrare la vulnerabilità dei leader politici occidentali (Theresa May si trovava infatti a Westminster quando è avvenuto l’attacco ed è stata evacuata dai servizi di sicurezza) e, per estensione, la debolezza della nostra democrazia.

Un messaggio che mira a rafforzare la frange radicali dell’opinione pubblica islamica e a diffondere il senso di insicurezza in quella europea.

D’altra parte di “soldati” pronti a immolarsi per la causa jihadista con azioni simili a quella di ieri ce ne potrebbero potenzialmente essere molte migliaia nella sola Gran Bretagna, molti di più dei circa 3mila sorvegliati dai servizi di sicurezza perché ritenuti pronti a compiere attentati.

Devono infatti allarmare i dati emersi dall’inchiesta effettuata nell’aprile scorso presso la comunità islamica (oltre 3,5 milioni, il 5,5% della popolazione) dalla società demoscopica ICM e presentato all’interno di un documentario di Channel 4 dal titolo “Che cosa i musulmani pensano veramente”.

Solo il 34% degli intervistati si disse disposto a denunciare alla polizia un sospetto terrorista, il 23% si dichiarò a favore dell’introduzione della sharia in Gran Bretagna e il 4 per cento simpatizzò apertamente con i terroristi suicidi mentre il 32% non condannò le violenze contro chi viene accusato di avere “offeso Maometto”.

Dati preoccupanti, riproposti da altre inchieste in diversi Stati europei e che impongono di valutare quali risposte intendano dare i governi a questa minaccia tenuto conto che ai terroristi “fai da te” si aggiungono i “foreign fighters” che molti servizi di sicurezza segnalano di ritorno in Europa dai campi di battaglia mediorientali.

Anche contro questa sfida l’Europa non sembra in grado di elaborare risposte convincenti: gli organismi comunitari e molti governi si dicono orientati non a punirli con lunghe detenzioni ma a “recuperarli socialmente”. Come fossero tossicodipendenti.

(con fonte Il Mattino del 23 marzo 2017)

Foto Reuters

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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