Convegno ICSA: anche l’Italia deve avere compagnie di sicurezza private
Si è svolto il 21 marzo alla Camera dei deputati (Sala della Lupa) un convegno promosso dalla Fondazione ICSA sul tema “Sicurezza del paese ed interesse nazionale: un ruolo per le private military security companies?”.
Lo scopo dell’iniziativa che ha permesso di analizzare ed approfondire le complesse tematiche dell’argomento, era gettare un “sasso nello stagno” nella speranza che i cerchi nell’acqua raggiungano i vertici istituzionali. Il filo rosso del convegno è stato caratterizzato dalla comprensione del perché nel nostro paese si faccia così tanta fatica nell’elaborare soluzioni che consentirebbero di uscire dall’ambiguità giuridica per dare anche all’Italia la possibilità di poter disporre di compagnie di sicurezza private.
L’evoluzione della sicurezza e della difesa sono temi che impongono scelte precise senza fraintendimenti cercando di arrivare ad una regolamentazione ormai non più rinviabile. Si è quindi parlato dei “security contractors” (PSC/PMC Private Military/Security Companies), spesso erroneamente considerati alla stregua di mercenari.
In apertura del convegno, moderato da Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa,-dopo gli interventi di saluto del generale Leonardo Tricarico (presidente della Fondazione ICSA) e dell’on. Stefano Dambruoso (questore della Camera dei Deputati) i diversi relatori hanno affrontato con estrema chiarezza il tema di come impiegare nel nostro paese le PSC da intendere come un’opportunità visto che presso i nostri alleati vengono considerati una risorsa che consente una maggiore flessibilità nelle missioni fuori area impiegandoli a livello operativo, di consulenza e supporto.
Senza alcun dubbio vi sono limiti e rischi ma anche vantaggi. Come ha suggerito il generale Leonardo Leso (presidente onorario SKP Group), alla base delle difficoltà italiane a costituire PSC c’è forse un’ambiguità giuridica: l’unica normativa esistente è del 1931 mentre una regolamentazione moderna darebbe la possibilità di attingere ad un serbatoio di militari congedati dopo alcuni anni di servizio attivo e con grande esperienza.
Leso aveva aperto in febbraio proprio con un articolo su Analisi Difesa il dibattito sulle PMSC italiane.
Questo tra l’altro darebbe al settore privato la possibilità di competere sul mercato mondiale (che fattura 250 miliardi di dollari all’anno). Il docente di storia americana alla LUISS, Gregory Alegi, ha tracciato un quadro storico ricordando che il fenomeno delle società private, anche quelle militari, non è certo nato oggi così come le problematiche legate all’impiego dei contractors.
Il procuratore aggiunto e capo del pool antiterrorismo di Roma, dr. Giancarlo Capaldo, ha invece sottolineato come una materia estremamente delicata come questa imponga la ricerca di soluzioni giuridiche chiare precisando che sono operative compagnie private che offrono uomini e mezzi per le operazioni, altre che fanno solo consulenza e addestramento ed altre ancora soltanto supporto logistico; ricordando poi che alcune hanno svolto “compiti particolari che l’Italia non consentirebbe” (in riferimento ai contractors al servizio delle agenzie di intelligence statunitensi).
Molti relatori hanno poi evidenziato come sia necessario giungere ad un sistema integrato senza riserve culturali anche in considerazione del fatto che in determinate condizioni sarebbe molto utile aggregare pubblico e privato.
Considerato che i costi di impiego delle forze militari sono lievitati in coincidenza con la riduzione delle risorse disponibili, mentre le aree a rischio sono in costante crescita è evidente quali vantaggi potrebbe offrire l’impiego di compagnie di sicurezza private da aggregare alle nostre forze di sicurezza-
Il generale Luciano Piacentini, consigliere scientifico ICSA, ha illustrato come regolamentare le compagnie di sicurezza sarebbe importante per la protezione di molte aziende all’estero sottolineando come il Libia nel 2011 erano presenti 200 grandi e medie aziende mentre oggi soltanto l’ENI è attiva perché dispone di security contractors.
Piacentini ha poi aggiunto che in Italia dovrebbero potersi costituire unità non combattenti per la protezione delle nostre aziende attraverso una selezione molto dura del personale attribuendo il NOS (nulla osta sicurezza) per non incorrere in spiacevoli sorprese.
In aggiunta il consigliere d’ambasciata Stefano Verrecchia, capo dell’unità di crisi del ministero degli Affari Esteri, ha sottolineato che per proteggere gli italiani all’estero occorre sapere dove sono considerando che la soglia del pericolo è aumentata e(le trasferte comunicate da 471 aziende sono passate da 7.211 nel 2013 a 67.311 l’anno scorso).
La tutela del personale dovrebbe essere compresa nel costo aziendale ma questo porterebbe ad una scelta economica più difficile per le piccole aziende che potrebbero rinunciare ad alcuni appalti perchè non in grado garantire la protezione del loro personale
Un bel sasso nello stagno l’ha gettato Ugo Trojano, responsabile nel 2006 del PRT (Provincial ReconstructionTeam) in Iraq, che ha ricordato come la decisione politica di ritirare il contingente militare da Nassiryah lasciandovi però il PRT determinò la conseguenza che la protezione al personale e ad una struttura italiana fu assegnata ai britannici della PSC Aegis per 3 milioni di euro all’anno.
Umberto Saccone, ex responsabile della sicurezza di ENMI, oggi amministratore unico della società di consulenza Grade, ha evidenziato che in Italia ci sono circa 47mila guardie giurate e 30mila soldati in ferma volontaria che potrebbero alimentare l’arruolamento in PSC incaricate di proteggere cantieri e personale delle aziende italiane evitando il ricorso a stranieri spesso collegati all’intelligence dei rispettivi Paesi.
Saccone ha ricordato che il bisogno di sicurezza e di protezione si è dilatato e a partire dal 2004 sono stati rapiti ben 70 gli italiani (63 salvati, 6 morti ed uno ancora disperso, Paolo Dall’Oglio). E’ quindi evidente che il mercato della sicurezza privata è in forte espansione e vede Stati Uniti, Russia e paesi emergenti dell’Asia controllarne circa il 60%.
Pietro Orizio, analista in materia di difesa e collaboratore di Analisi Difesa, che con tabelle e grafici ha fatto un quadro dei sempre più ampi servizi offerti dalle principali società britanniche, statunitensi e israeliane inclusi quelli aerei che spaziano dalla fornitura di piloti e velivoli per svolgere funzioni di addestramento anche in qualità di “aggressori” al settore dei droni dove non viene richiesto loro di “premere il grilletto” ma di preparare piloti e tecnici che aiutano il personale di Aeronautica e CIA.
L’uscita dall’ambiguità italiana per questo settore è stata richiesta anche da Luigi Gabriele, presidente di Federsicurezza – che riunisce le società di vigilanza – che ha auspicato una nuova normativa che consentirebbe di istituire la creazione della figura del security contractor anche in Italia.
Il convegno è stato concluso dall’intervento del senatore Nicola Latorre, presidente della commissione difesa del Senato, che ha sottolineato che non c’è più confine tra sicurezza interna ed esterna ricordando quindi l’esigenza di esternalizzare, non “privatizzare” la sicurezza.
Latorre ha sostenuto quindi la necessità di adeguare la normativa ma ha ammesso che con l’attuale legislatura in scadenza la questione non verrà presa in esame in tempi brevi.
Foto: ICSA, CNN e Xe
Federico CerrutiVedi tutti gli articoli
Nato a Roma, dove risiede e lavora, ha iniziato la sua carriera giornalistica nel 1965 con la rivista Oltre il Cielo occupandosi di spazio sia civile che militare e con la testata Ali Nuove. Nel 1971 ha iniziato a lavorare con Alata e dal 1979 con Difesa Oggi della quale divenne caporedattore lavorandovi fino al 1998. Ha collaborato con Rivista Aeronautica, il quotidiano Europa, il Centro Militare Studi Strategici (Cemiss) e svolto alcune attività con il SIOI. Dal 2001 è defence editor di Analisi Difesa.