Gli iracheni avanzano a Mosul, i russi in Siria

Nell’ultimo mese sono oltre 180mila i civili della zona ovest di Mosul che hanno abbandonato case e beni, per sfuggire alla battaglia fra esercito governativo e milizie curde contro i jihadisti dello Stato islamico (SI) che controllano ancora l’area. Secondo quanto riferiscono responsabili di governo irakeni, la maggior parte degli sfollati hanno trovato riparo nei campi profughi e nei centri di accoglienza allestiti in queste settimane. Altri ancora hanno raggiunto le case di parenti o familiari.

Le violenze fra militari irakeni e jihadisti rischia di far precipitare la situazione a livello umanitario nella metropoli settentrionale e nell’area circostante. E le Nazioni Unite lanciano l’allarme: fino a 320mila civili potrebbero fuggire entro le prossime settimane.

Vi è grande preoccupazione anche per la sorte dei civili rimasti intrappolati nella Città Vecchia di Mosul, un’area densamente popolata. Nella zona si registra una progressiva avanzata delle truppe governative, a dispetto della feroce resistenza opposta dai jihadisti.

Nel fine settimana le truppe hanno raggiunto la grande moschea di al-Nuri, dove il leader dello Stato islamico Abu Bakr al-Baghdadi aveva annunciato la nascita del “Califfato” nel luglio 2014, dopo la conquista di Mosul e di ampie zone della piana di Ninive.

In città secondo fonti Onu avvertono infine che gli scaffali dei negozi sono ormai vuoti. Le forniture di energia elettrica e acqua potabile sono state interrotte e le medicine sono pressoché esaurite.  Secondo i dati forniti dal comando statunitense, a Mosul vi sarebbero ancora 2mila combattenti dello Stato islamico pronti a difendere quel che resta della loro roccaforte in Iraq.

Pubblichiamo il reportage da Mosul “A 100 metri dall’Isis” da Mosul di Fausto Biloslavo che stra seguendo in prima inea i comvattimrnti in città. Da “Gli Occhi della Guerra”.

MOSUL OVEST – La bandiera nera sventola a meno di 100 metri, sulla città vecchia, ultima ridotta dello Stato islamico a Mosul ovest. Si vede bene dal foro nel muro utilizzato da un cecchino della polizia federale per sparare al nemico. Sul tetto della postazione in prima linea si scatena l’inferno.

La foschia del mattino si è dissolta da poco e le truppe irachene sparano all’impazzata. Il mitragliere con la cartucciera attorno al collo si alza oltre il parapetto per investire di sventagliate le bandiere nere. Pochi secondi e tira giù la testa per non venir colpito. Come si abbassa inizia a sparare un altro agente del 5° battaglione, Nuqhba, le truppe d’assalto della polizia federale. In ginocchio con il kalashnikov infilato in una feritoia svuota metà caricatore.

Per aumentare il volume di fuoco un giovane veterano della battaglia di Mosul si sporge con il lanciarazzi Rpg in spalla. I poliziotti antiterrorismo ci urlano di tenere la bocca aperta per attutire l’effetto del colpo sui timpani. Un attimo per prendere la mira ed il razzo parte in una nuvola di fumo esplodendo sui tetti di fronte dove sono annidati i seguaci del Califfo.

Dalle postazioni jihadiste rispondono al fuoco con la stessa forza e determinazione. I proiettili più vicini li senti perché ti fischiano con un sibilo mortale sopra la testa. “Siamo a 35 metri dalla città vecchia, sull’angolo ovest della linea d’avanzata – spiega nella casamatta sul tetto il maggiore Abd Sajid Raed – Talmente vicini a Daesh (lo Stato islamico nda), che usiamo spesso le bombe a mano”.

L’obiettivo della sua unità è conquistare la strada principale che segna l’inizio di “qadima”, come gli iracheni chiamano l’antica Mosul. Un labirinto di viuzze dove si può entrare solo a piedi per stanare le bandiere nere. Il maggiore Raed ce lo fa vedere su una mappa speciale caricata via satellite sul telefonino, che rende l’idea della trappola mortale. Assieme al 3° battaglione sta preparando l’ennesimo assalto casa per casa, che dovrebbe scattare nelle prossime ore.

Nel cuore della città vecchia spicca il minareto che pende, come la torre di Pisa, della moschea Al Nuri. Il luogo simbolo dello Stato islamico dove Abu Bakr al Baghdadi proclamò il Califfato nel giugno del 2014. Per le truppe irachene, che sarebbero arrivate a 200 metri, conquistare Al Nuri significa vincere la battaglia di Mosul.

 

In Siria russi e curdi delle Unità di Protezione Popolare (YPG) hanno raggiunto un accordo che prevede la presenza di militari russi nella zona della città di Afrin, nel Kurdistan siriano. Lo ha detto ieri a Ria Novosti il portavoce dei miliziani Redur Xelil. “I militari russi organizzeranno l’addestramento delle nostre forze nell’ottica di una guerra moderna”, ha dichiarato il portavoce sottolineando che l’accordo prevede la creazione di una “struttura” di contatto diretto con i militari di Mosca.

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I militari russi addestreranno i combattenti curdi nell’ambito di un accordo “contro il terrorismo”. Un patto stretto sul modello di quello tra gli americani e i curdi nei cantoni di Kobane e Hassaka, con la differenza che mentre quest’ultimo ha come obiettivo l’offensiva su Raqqah contro l’Isis, nella zona di Afrin il gruppo jihadista non è presente, mentre ci sono invece le milizie filo-turche e i gruppi turkmeni appoggiati da Ankara.

Nell’area tra i cantoni di Kobane e Afrin la Turchia ha creato una zona cuscinetto e Ankara considera le milizie YPG una organizzazione terroristica.

L’iniziativa di Mosca potrebbe indispettire Ankara (che ha in atto da mesi l’operazione Scudo dell’Eufrate nel nord della Siria contro lo Stato Islamico e i curdi dell’YPG) poiché la presenza delle truppe russe funge da deterrente contro attacchi turchi in quel settore. L’accordo russo-curdo potrebbe però offrire ad Ankara rassicurazioni sul fatto che l’YPG non colpirà gli interessi turchi.

Il ministero della Difesa russo ha però smentito la notizia diffusa dai guerriglieri curdi. “Non abbiamo alcun piano di dispiegamento di nuove basi militari in Siria”, si legge in un comunicato in cui Mosca conferma però di aver inviato truppe ad Afrin per impedire violazioni della tregua in vigore dal 30 dicembre.

(con fonti Asianews, AGI e Ansa)

Foto Esercito iracheno e YPG

 

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