I cacciatorpedinere, spina dorsale della Marina Giapponese

La Japan Maritime Self-Defence Force è oggi giustamente considerata una delle più grandi ed efficienti marine del globo, infatti con una forza di 154 unità navali, 346 aeromobili e oltre 50.000 uomini e donne rappresenta una componente importantissima della struttura difensiva giapponese, che sta progressivamente abbandonando quella politica di “non intervento”, che ancor oggi è testimoniata dalla stessa denominazione delle sue Forze Armate.

Negli ultimi anni l’attenzione dei commentatori di strategia marittima si è forse troppo concentrata sull’entrata in servizio nella JMSDF delle grosse portavelivoli della classe “Izumo” da oltre 27.000 tonnellate, che, se pur classificate dai nipponici come Helicopter Destroyer, sono potenzialmente delle piccole portaerei per velivoli STOVL, meno attenzione è stata dedicata alla molto consistente forza di “cacciatorpediniere”, che rappresenta la vera spina dorsale della Marina di Tokyo.

Già nel ormai lontano 1960 il Giappone non si era accontentato dei due “Fletcher” e dei due “Gleaves” ceduti dagli USA, ma aveva messo rapidamente in servizio una decina di caccia di progettazione nazionale con buone velocità (30 nodi) ed autonomia (circa 6.000 miglia), ma soprattutto con un buon armamento sia contraereo che antisom.

Questa tendenza verso la costruzione di mezzi di superficie di ottime caratteristiche generali non è mai stata abbandonata dai pianificatori nipponici, che nel 1975 avevano messo in servizio oltre venti unità classificabili “DD”, numero che dieci anni dopo era già cresciuto a trenta. La situazione odierna conferma questo tipo di strategia dei mezzi.

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Ripartiti su nove classi (vedi Tabella) con dislocamenti che vanno dalle 4.000 ad oltre le 10.000 tonnellate, i caccia giapponesi oggi in inventario sono ben 38 e rappresentano nel loro sviluppo degli ultimi trenta anni la dimostrazione di una strategia marittima mirante con estrema chiarezza d’idee e di efficacia al raggiungimento di una ottimale situazione di sea control nell’area del Pacifico Settentrionale e dei mari adiacenti alle isole dell’arcipelago nazionale.

Gli straordinari sviluppi della Marina Cinese e le giustificate preoccupazioni per la situazione coreana hanno fatto comprendere al Governo ed agli Stati Maggiori giapponesi la necessità di possedere mezzi navali poliedrici, idonei a confrontarsi con successo con qualsiasi tipo di minaccia, dai missili balistici ai sommergibili, dalle unità d’attacco veloci ai cacciabombardieri navali.

Dall’inizio degli anni ’80 dello scorso secolo l’industria marittima del Sol Levante ha prodotto quindi caccia sempre più armati, più grossi e più performanti. E’ sufficiente confrontare le caratteristiche delle unità della classe Hatsuyuki del 1982 (di cui sono in servizio ancora cinque unità) con quelle dei nuovissimi Atago.

I primi dislocavano a pieno carico 4.000 tonnellate ed il loro armamento rivelava una propensione alla lotta antisom (elicottero SH-60J K imbarcato, lanciatore ASROC a prora, sonar a scafo e TACTASS) pur non trascurando un’ottima capacità difensiva (Cannone da 76/62, mitragliere Phalanx missili Sea Sparrow antiaerei e missili Harpoon antinave), queste unità con un apparato motore a gas (turbine Kawasaki) raggiungono i 30 nodi ed hanno un’autonomia di almeno 4.000 miglia.

Gli Atago sono lunghi 30 metri di più, dislocano a pieno carico oltre le 10.000 t e sono chiaramente votati alla guerra di superficie e controaerea con un cannone da 127/62, missili antinave SSM1 (versione nipponica degli Harpoon americani), e ben 96 celle per lancio verticale di missili Standard (anche in versione anti-ballistic), due impianti Phalanx ed adeguate attrezzature elettroniche (tra cui il radar SPY 1D del sistema Aegis).

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La loro difesa antisom è comunque assicurata da missili ASROC, siluri (Mk46 o Type 73) e da un elicottero SH-60K. Anche in questo caso un potente apparato motore con turbine a gas assicura una velocità di 30 nodi ed un’autonomia di 4.500 miglia a 20 nodi.

Con questa potente forza di superficie il Giappone, che ha anche una non trascurabile componente subacquea di almeno 17 battelli, mira ad aumentarne ancora la consistenza raggiungendo la cinquantina di unità. E’ certamente interessante considerare la loro dislocazione su quattro Flottiglie basate a Yokosuka, Sasebo, Maizuru e Kure e ciascuna composta da due escort squadron comprendenti anche un Helicopter Destroyer con i suoi oltre 20 velivoli ad ala rotante, ma con possibilità di imbarcare in un futuro non troppo lontano anche velivolo STOVL.

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Pur avendo costruito unità che hanno a bordo armamenti e apparati di progettazione occidentale, ma quasi sempre prodotti su licenza, la capacità tecnologica nipponica è chiaramente in grado oggi di fare da sola e i prossimi caccia della cosiddetta classe 27DDG, che dovrebbero entrare in servizio nel 2020, saranno ancora più performanti con un apparato motore COGLAG ed armi di autodifesa basate su laser.

Una dimostrazione della crescita dell’industria degli armamenti navali giapponese è chiaramente portata dal già citato missile antinave SSM1, che con la sua portata di oltre 80 miglia e la sua testa esplosiva di 225 kg non ha nulla da perdere in un confronto con l’Harpoon americano.

Il XXI secolo sta quindi vedendo un consistente risorgere della potenza navale nipponica dimostrando che Tokyo ha compreso molto rapidamente il mutamento della situazione geopolitica nelle acque di suo interesse, in cui una “presenza navale” efficace e consistente per quantità e qualità è premessa importante per una difesa delle proprie linee di comunicazione marittime e delle indispensabili risorse, che il Giappone trae dal mare. In questo quadro politico-strategico i numerosi cacciatorpediniere nipponici rappresentano quindi un vero fattore di potenza.

Foto JMSDF

Pier Paolo RamoinoVedi tutti gli articoli

L'ammiraglio Ramoino è Vice Presidente del Centro Universitario di Studi Strategici e Internazionali dell'Università di Firenze, Docente di Studi Strategici presso l'Accademia Navale di Livorno e cultore della materia presso la Cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica del S. Cuore a Milano. Dal 1982 a tutto il 1996 ha ricoperto le cattedre di Strategia e di Storia Militare dell'Istituto di Guerra Marittima di Livorno, di cui è stato per dieci anni anche Direttore dei Corsi di Stato Maggiore. Nella sua carriera in Marina ha comandato diverse unità incluso il caccia Ardito e l'Istituto di Guerra Marittima.

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