La minaccia terroristica è soprattutto islamica
Molti campioni del linguaggio politically correct, anche all’interno dei vertici del mondo politico e cattolico, ripetono lo slogan che non esiste un terrorismo islamico e che non si può accostare il termine “terrorismo” all’Islam.
Benché si tratti palesemente di una sciocchezza (imposta nel linguaggio istituzionale dall’Amministrazione Obama e poi dilagata in quasi tutta Europa) che cozza contro il buon senso e la realtà, molti governi si sforzano di sostenere questo “mantra”.
Ufficialmente per contenere derive “islamofobiche” nell’opinione pubblica europea, più probabilmente in obbedienza ai diktat culturali imposti dalle monarchie petrolifere del Golfo, sempre più “padrone” dell’economia e della politica estera europea e forse anche di molte coscienze nei governi e parlamenti del Vecchio Continente.
Non si spiega diversamente l’appoggio che la Ue fornisce ai ribelli jihadisti siriani e la blanda guerra condotta dagli occidentali contro l’Isis, guerra che non a caso i Paesi del Golfo non hanno mai combattuto veramente a differenza di quella in Yemen contro le milizie scite Houthi.
Che il fenomeno terroristico globale sia principalmente islamico lo dicono i numeri, che abbia una caratteristica religiosa lo dicono persino i sondaggi. Il 97 per cento di un campione di cittadini sauditi affermò nel 2014 che l’Islam del Califfato è legittimo perché pienamente aderente ai principi coranici. Sondaggi effettuati in diversi paesi europei confermano che tra il 25 e il 33 per cento dei residenti o cittadini islamici non denuncerebbe un terrorista jihadista e percentuali analoghe considerano giusta la violenza contri chi “offende” l’Islam.
Sostenere l’estraneità della fede islamica agli atti di terrorismo adducendo la giustificazione che anche l’Europa ha avuto i sui terrorismi di matrice religiosa costituisce solo un fuorviante opportunismo che non tiene conto dei tanti leader religiosi musulmani che anche in Europa sostengono o giustificano il jihad. La campagna dell’IRA contro la Gran Bretagna era irredentista, non religiosa, puntava a ottenere il distacco da Londra delle sei contee dell’Ulster, non l’eliminazione o la conversione degli anglicani protestanti.
Il terrorismo ha provocato nel mondo 32.685 mila morti in 67 Paesi nel solo 2014 e 29.376 nel 2015 secondo il Global Terrorism Index pubblicato dall’Institute for Economics and Peace
Il 78% delle vittime nel 2014 e il 74% di quelle registrate l’anno successivo si concentrano in 5 Paesi: Iraq, Nigeria, Afghanistan, Pakistan e Siria. “Casualmente“ tutti islamici e che vedono attivi movimenti terroristici di diversa matrice (Salafiti, Wahabiti, Fratelli Musulmani) ma tutti islamici e il cui obiettivo è occupare lo Stato per instaurare la Sharia.
Malgrado l’impatto mediatico degli attentati in Francia, Belgio e Germania, il numero di morti in Occidente è solo il 2,6% del totale ma si tratta in ogni caso di vittime del terrorismo jihadista, quindi islamico.
Le organizzazioni terroristiche più attive sono, in ordine per numero di persone uccise, Boko Haram con 6.644 morti e l’Isis (6.073 morti). Seguono i talebani (3.477 vittime), i pastori Fulani (1.229 vittime tra Nigeria e Repubblica Centrafricana), al-Shabaab (1.021 morti in Gibuti, Etiopia, Kenya e Somalia) e al-Qaeda in Mesopotamia e nella Penisola Arabica: tutti movimenti islamici.
I paesi più pericolosi per il rischio terrorismo sono Iraq, Nigeria, Afghanistan, Pakistan, Siria e Somalia (tutti islamici) mentre i meno pericolosi sono in America Latina (Costa Rica, Cuba, El Salvador, Guyana, Panama e Uruguay), in Asia (Giappone, Sud Corea, Vietnam) ed Europa (Lituania, Lettonia, Polonia e Finlandia): guarda caso igli Stati a minor rischio terroristico sono tutti non islamici e a bassa o nulla presenza musulmana.
Se si escludono la FARC colombiane e i maoisti indiani tutte principali organizzazioni terroristiche del mondo per numero di attentati effettuati sono islamiche e sunnite.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.