Berlino non ha la stoffa per tornare a essere una potenza militare

Nonostante le ambizioni” di superare vecchi preconcetti” per assumere le redini anche militari e non solo economiche dell’Europa, la Germania non sembra avere la stoffa per gestire conflitti armati, capacità tecnica, materiale ma anche politica e sociale necessaria a una “potenza”.

Benchè il libro Bianco della difesa tedesca del luglio scorso, reso noto subito dopo il Brexit che determinò l’uscita dalla Ue della potenza militare britannica, evidenzi la volontà di Berlino di imporre anche in campo militare la sua leadership in Europa, la “prova del fuoco” rappresentata dalle operazioni belliche indica una profonda immaturità del sistema-paese di fronte alla guerra.

Lo confermano le polemiche esplose in Germania per la possibilità che immagini della ricognizione raccolte dai Tornado tedeschi, impegnati sulla Siria nell’ambito della Coalizione anti-Isis a guida statunitense, abbiano contribuito il 21 marzo al bombardamento di un complesso scolastico di Badiya nel villaggio di al-Mansura nel nord della Siria pochi chilometri a ovest di Raqqah, nel quale secondo attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus) sarebbero morti almeno 33 civili, secondo l’ong Airwars addirittura 420 per lo più donne e bambini appartenenti a un centinaio di famiglie di sfollati.

I jet tedeschi, come quelli italiani in volo sull’Iraq, effettuano ricognizioni ma non impiegano ordigni e non hanno mai ucciso neppure un miliziano jihadista ma in Germania anche la sola ipotesi che la ricognizione tedesca abbia contribuito a un raid aereo eseguito da velivoli di altra nazionalità (probabilmente statunitensi) in cui si sono registrati danni collaterali, cioè vittime civili, scatena la bagarre a Berlino.

Il ministro degli Esteri Sigmar Gabriel è intervenuto per allontanare i sospetti. “Secondo le informazioni di cui sono in possesso, l’azione dei Tornado non è responsabile per quello che è avvenuto”, ha detto il ministro. La sinistra della Linke accusa invece il ministro della Difesa Ursula von der Leyen e l’intero governo di “essere corresponsabili della morte anche di donne e bambini”.

La notizia del raid e delle vittime civili siriane è stata riferita mercoledì scorso dall’ispettore generale Volker Wieker alla commissione Difesa del Bundestag, nel corso di una audizione a porte chiuse. Il ministero della Difesa non ha voluto commentare il caso per motivi di riservatezza ma un portavoce ha confermato che le forze aeree tedesche erano effettivamente responsabili delle ricognizioni nell’area.

Dalle informazioni ricavate non era possibile valutare se all’interno degli edifici bersaglio dei successivi attacchi aerei vi fossero anche civili. Gli attacchi aerei, sottolinea però la Difesa tedesca, vengono autorizzati ed effettuati sulla base dei riscontri di diverse fonti, inclusi i droni da ricognizione e fonti umane (Hunmint). L’episodio è oggetto di indagine anche negli Stati Uniti che nei giorni scorsi hanno ammesso di aver provocato oltre cento vittime civili in un raid aerei a Mosul, in Iraq.

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Decollando dalla base turca di Incirlik i Tornado della Luftwaffe effettuano ricognizioni preventive sui bersagli da attaccare e valutazioni dei danni inflitti subito dopo i raid.

Secondo le valutazioni di alcune ong solo in Siria i velivoli della Coalizione hanno ucciso per errore 1.400 civili ma la questione è se la Germania può puntare a un ruolo di leadership anche militare dal momento che è incapace di partecipare attivamente a un conflitto compiendo anche azoni di attacco e non solo di ricognizione o addestramento come quelle effettuate in Siria e Iraq.

Le vittime civili sono una tragica costante in tutte le guerre (specie in quelle asimmetriche contro milizie che usano la popolazione come “scudo” per scoraggiare gli attacchi nemici) anche se precauzioni e tecnologie le hanno ridotte al minimo rispetto ai conflitti del passato anche recente.

Combattere significa anche saper accettare le perdite che si subiscono come quelle che si infliggono, a volte anche tra la popolazione: questa capacità, ancor prima e di più delle armi e dei mezzi hi-tech, costituisce una prerogativa irrinunciabile per uno Stato che ambisca ad avere un ruolo leader nelle operazioni militari e negli scenari di crisi internazionali.

Se Berlino non è in grado di sopportare politicamente e socialmente neppure le vittime civili provocate dai raid altrui, in cui la Luftwaffe ha fornito solo supporto di ricognizione e intelligence, come potrà domani assumersi la responsabilità di guidare ipotetiche armate dell’Unione contro i nemici dell’Europa?

Foto DPA

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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