Il caso delle Ong e la sovranità perduta in mare

da “Il Mattino” del 28 aprile 2017

La delicata e ambigua questione del ruolo di diverse Ong straniere nel favorire l’esodo verso i porti italiani dei migranti illegali che i trafficanti fanno salpare dalla costa della Tripolitania sta “naufragando” in bagarre politica con scambi di accuse tra i fautori dell’accoglienza per tutti a tutti i costi e chi vorrebbe immediati rimpatri e respingimenti.

Un dibattito improntato all’approccio ideologico che non sembra interessato alla tutela degli interessi nazionali e a quanto emerso dalle inchieste di tre Procure, soprattutto da quella di Catania dove il procuratore Carmelo Zuccaro ha parlato in una recente intervista di Ong buone e cattive.

“Su Medici senza frontiere e Save the Children davvero c’è poco da dire, discorso diverso per altre, come la maltese Moas o come le tedesche, che sono la maggior parte”, cioè 5 su 9 Ong schierate nel Mediterraneo con 11 navi.

Le ong tedesche sono SOS Méditerranée (nave Aquarius battente bandiera di Gibilterra), Sea Watch Foundation (due navi con bandiera neozelandese e olandese), Sea-Eye (una nave con bandiera olandese), Lifeboat (una nave con bandiera tedesca), Jugend Rettet (una nave con bandiera olandese)

La maltese MOAS ha due navi: la Phoenix  batte bandiera del Belize e la Topaz Responder delle isole Marshall.

La spagnola Proactiva Open Arms dispone di una nave con bandiera panamense. Medici senza frontiere opera con due unità (la Bourbon Argos e Dignity I), Save the Children con una.

“Abbiamo evidenze che tra alcune Ong e i trafficanti di uomini che stanno in Libia ci sono contatti diretti – ha detto il procuratore – telefonate che partono dalla Libia verso alcune Ong, fari che illuminano la rotta verso le navi di queste organizzazioni, navi che all’improvviso staccano i trasponder (per non farsi localizzare – ndr) sono fatti accertati”.

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Tutte le nove Ong sono, comunque, sotto la lente della procura: “Per quelle sospette dobbiamo capire cosa fanno, per quelle buone occorre invece chiedersi se è giusto e normale che i governi europei lascino loro il compito di decidere come e dove intervenire nel Mediterraneo”.

Zuccaro ha toccato il vero nervo scoperto della questione ed è paradossale che a farlo sia un magistrato mentre la politica si divide, i “fans” delle Ong fanno muro criticando le inchieste della magistratura e lo Stato sembra latitare.

“L’inchiesta richiede tempi che l’Europa non si può permettere e d’altronde la risposta giudiziaria non è sufficiente– ha concluso il procuratore. “Il problema resta essenzialmente politico e i governi europei, non solo quello italiano, devono intervenire subito” anche perchè “per me quei 250mila in arrivo quest’anno sono una stima per difetto”.

I dati parziali sembrano dargli ragione: nei primi tre mesi dell’anno sono sbarcati in Italia 27mila migranti illegali, il 35% in più’ rispetto allo stesso periodo del 2016 che complessivamente vide l’arrivo di 181.440 persone tra i quali meno di mille i siriani, forse gli unici a fuggire dalla guerra. I flussi dalla Libia sono però in continua crescita e già dopo Pasqua erano sbarcati da gennaio in 37 mila, quasi il 40% in più rispetto ai dati parziali dell’anno scorso.

Tra l’altro agli africani su stanno aggiungendo migliaia di migranti illegali dal Bangladesh che attraversano quasi mezzo mondo per giungere in Libia e da lì arrivare in Italia, ormai vero e proprio “ventre molle” dell’Europa sul fronte delle migrazioni illegali gestite dal crimine organizzato.

Le autorità italiane hanno ormai rinunciato ad esercitare ogni forma di sovranità sui confini nazionali, consentendo a chiunque paghi criminali di attraversare le nostre frontiere con il supporto logistico di organizzazioni private.

Il diritto marittimo prevede si l’obbligo del soccorso in mare ma stabilisce che i “naufraghi” vengano sbarcati nel porto sicuro più vicino, che in questo caso è maltese, tunisino o sulla stessa costa libica.

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Tra l’altro questa soluzione, o un’intesa con Tunisi (supportata da aiuti finanziari che costerebbero comunque meno dei 4/5 miliardi annui che l’Italia spende per l’accoglienza) avrebbero l’effetto di salvare migliaia di vite e di far cessare i flussi poiché nessuno pagherebbe più i trafficanti se avesse la certezza di non poter arrivare in Europa.

La motivazione che i migranti illegali non si possano riportare in Libia perché non c’è sicurezza non regge per diverse ragioni. La prima è che in Libia si combatte sono in alcune aree specifiche, tutte lontane dalle spiagge della Tripolitania (tra Misurata e il confine tunisino) da dove salpano barconi e gommoni.

La seconda è che, come sottolinea anche l’ultimo rapporto dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (OIM), il 64% dei 381 mila migranti presenti attualmente nella ex colonia italiana intende stabilirsi proprio in Libia per cercare lavoro.

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Un dato non nuovo, anche se poco pubblicizzato, ma che l’ufficio dell’OIM in Niger aveva evidenziato anche negli anni scorsi e spiegabile col fatto che molti migranti del Sahel preferiscono stabilirsi in Paesi nordafricani da dove è più facile e meno costoso raggiungere i famigliari una volta sistematisi.

Inoltre già oggi alcuni barconi vengono intercettati dalla Guardia Costiera libica e i migranti vengono riportati in Tripolitania. Pratica che dovrebbe subire un forte incremento nelle aspettative del governo italiano annunciate dal ministro degli Interni, Marco Minniti, in seguito all’addestramento delle forze navali libiche che entro giugno potranno disporre di dieci motovedette cedute da Roma.

Del resto il respingimento in Libia (o il trasferimento in Tunisia) dei migranti illegali obbligherebbe le Nazioni Unite a gestirne l’assistenza e il rimpatrio con un ponte aereo simile a quello che riportò nei paesi di origine un milione di lavoratori stranieri fuggiti dalla Libia in Tunisia durante il conflitto del 2011.

Il già citato rapporto dell’OIM intitolato “Libya Migrant Report” riferisce sulla base di 1.314 interviste sul campo compiute tra dicembre e marzo scorso che il 94% dei migranti che si trova in Libia ha lasciato il paese di origine a causa di povertà e solo il 5% scappa da guerre e condizioni di insicurezza.

Oltre 9 su 10 sono quindi migranti economici che non avrebbero diritto ad alcuna forma di asilo o accoglienza, ben di più di quell’80% degli sbarcati in Italia che secondo Frontex dovrebbero venire rimpatriati.

Del resto con 7,2 milioni di cittadini che vivono in stato d’indigenza certificati nei giorni scorsi dall’Istat, l’Italia non potrebbe permettersi un’accoglienza che quest’anno prevede costi per 4,6 miliardi, molto probabilmente da rivedere al rialzo oltre i 5 miliardi.

Foto: MSF, MOAS, SOS Mediterranèe e AP

 

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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