Perchè Kim è più pericoloso di Assad

Sta prendendo sempre più piede l’interpretazione che vuole che il raid missilistico statunitense di venerdì scorso su una base aerea siriana costituisca un monito  diretto nion solo a Bashar Assad e Vladimir Putin ma anche al dittatore nordcoreano Kim Jong-un.

Una sorta di avvertimento che al “prossimo sgarro” (un lancio di vettori balistici, le prove di nuovi propulsori missilistici o un test nucleare sotterraneo) anche Pyongyang potrebbe conoscere il peso delle “punizioni” inferte da Trump.

Meglio augurarsi che questa interpretazione sia destituita di ogni fondamento perché la Corea del Nord non è la Siria. Se Damasco può contare ormai solo sui missili e i jet russi per difendere il suo spazio aereo, la Corea del Nord non ha alcuna possibilità di contrastare incursioni missilistiche e aeree statunitensi a causa dell’arretratezza dei suoi radar, dei suoi missili antiaerei e dei suoi aerei da caccia.

Certo può contare sulla Cina, indispensabile alla sopravvivenza di Pyongyang ma non sempre soddisfatto di un alleato riottoso, utile per stuzzicare gli Usa e i loro alleati nel Pacifico ma anche in grado di minacciare Giappone, Corea del Sud e le basi statunitensi nel Pacifico, ben oltre la volontà di Pechino.

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L’accresciuta minaccia nordcoreana ha infatti contribuito ad incentivare i paesi della regione a riarmarsi e a chiedere maggiore presenza agli Stati Uniti (motivati nella corsa al riarmo anche dal potenziamento delle capacità aeree e navali di Pechino), come nel caso dell’imminente schieramento in Corea del Sud del sistema anti missile americano Terminal High Altitude Area Defense (THAAD).

Arma in grado di intercettare i missili balistici a medo raggio nordcoreani ma che dispone di radar a in grado di tenere sotto controllo un’ampia porzione dello spazio aereo cinese.

Le ragioni per cui Trump dovrebbe guardarsi attentamente dai rischi di avventure militari “punitive” anche contro Pyongyang sono costituite non solo dalle possibili reazioni di Pechino ma soprattutto dagli arsenali atomici e chimici di Kim Jong-un.

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Le armi atomiche del regime sono stimate tra 12 e 20, destinate ad aumentare rapidamente per la capacità nordcoreane di arricchire uranio e produrre plutonio. Armi lanciabili da aerei e forse anche dai missili balistici sotto forma di testate che Pyongyang afferma di aver già realizzato nonostante lo scetticismo di alcuni analisti.

I missili nordcoreani possono già raggiungere obiettivi fino a 6 mila chilometri di distanza, forse anche 9 mila, e sono quindi in grado di raggiungere anche parte del territorio statunitense.

Se uno solo di questi ordigni sfuggisse a un attacco preventivo americano Kim Jong-un avrebbe la possibilità di colpire i suoi nemici potenzialmente con un’arma atomica.

Nell’arsenale balistico, che si stima ammonti a un migliaio di ordigni, i missili a lungo raggio sembrano essere ancora pochi, sono invece molte decine quelli in grado di raggiungere il Giappone e diverse centinaia quelli che potrebbero venire lanciati verso la confinante Corea del Sud.

Come tutti gli arsenali nucleari anche quello nordcoreano persegue l’obiettivo della deterrenza. Del resto Pyongyang ha accelerato radicalmente negli ultimi anni il suo programma atomico proprio per poter scoraggiare attacchi statunitensi grazie alla minaccia di una rappresaglia devastante, se non contro l’America almeno contro i suoi alleati regionali.

 

Anche nell’ipotesi che un primo attacco statunitense riesca a neutralizzare l’intero arsenale missilistico-nucleare terrestre (improbabile perché molti missili sono installati su veicoli lanciatori e quindi mobili) occorre valutare che altri (pochi per ora) missili balistici sono imbarcati su sottomarini.

Sarebbe inoltre impossibile impedire a Kim Jong-un di scatenare una rappresaglia contro la città di Seul impiegando armi chimiche, dall’yprite a diversi tipi di gas nervino di cui dispone migliaia di tonnellate distribuite tra testate missilistiche, bombe aeree e munizioni per razzi e artiglieria a lungo raggio.

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La capitale sudcoreana dista poche decine di chilometri dal confine del 38° Parallelo ed è vulnerabile alle artiglierie nordcoreane schierate lungo la frontiera in postazioni scavate nella roccia per renderle difficilmente rilevabili e attaccabili dal cielo. Facile immaginare cosa accadrebbe nella metropoli abitata da 11 milioni di abitanti se venisse bersagliata da centinaia di proiettili contenti gas nervino.

Anche mobilitando tutti i sistemi di difesa antimissile della regione presenti in Corea del Sud, Giappone e sulle navi della Settima Flotta statunitense sarebbe forse possibile intercettare molti missili balistici a medo raggio ma risulterebbe impossibile proteggere Seul da un bombardamento chimico effettuato da oltreconfine.

Un costo troppo elevato che dovrebbe rendere impensabile l’opzione militare. Come spesso ha sottolineato Trump, solo la Cina può “disarmare” Pyongyang anche se Pechino non ha in realtà molti margini di manovra.

Da un lato non può permettere a Kim Jong-un di provocare troppo Washington e i suoi alleati per non dare agli Usa il pretesto per potenziare le loro forze nella regione. Dall’altro non può rischiare che il regime di Pyongyang collassi poichè una riunificazione della Penisola Coreana porterebbe le forze americane oggi nel Sud a lambire i confini terrestri cinesi.

(da Il Mattino)

Foto Reuters

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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