TRUMP AL BIVIO IN SIRIA

C’è molto di paradossale nel coro di consensi acritici al raid missilistico statunitense sulla base siriana che si leva da quella stessa Europa che aveva accolto con fastidio un po’ snob la vittoria elettorale di Donald Trump ma che ora sembra accodarsi in silenzio alle iniziative della Casa Bianca anche quando sono prove di legittimità internazionale e non sono neppure state autorizzate dal Congresso di Washington.

Consensi che suonano del tutto immotivati considerati i rischi che il blitz statunitense comporta per la destabilizzazione ulteriore della Siria e del Medio Oriente, regioni molto più vicine alle coste europee che a quelle del Maryland.

L’elemento che emerge più prepotentemente dal blitz condotto con 59 missili da crociera Tomahawk lanciati da due cacciatorpediniere in navigazione nel Mediterraneo Orientale è la determinazione di Washington a scacciare Bashar Assad dal potere. Determinazione ribadita dal segretario di Stato, Rex Tiillerson, che solo pochi giorni or sono aveva sottolineato il contrario e ribadendo che spetta ai siriani decidere le sorti di Bashar Assad.

La rapidità con cui è avvenuto il rovesciamento della politica statunitense in Siria da un lato rinnova e conferma tutti i dubbi e le perplessità circa l’attacco chimico a Khan Sheikhoun attribuito senza verifiche imparziali ai jet di Damasco e dall’altro lascia intendere come il blitz abbia risvolti legati alla politica interna statunitense e alla necessità di Trump di smarcarsi dalle accuse di legami molto stretti con Mosca, sulle quali i democratici vorrebbero portare il presidente all’impeachment.

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L’attacco potrebbe quindi rappresentare un sintomo non già della forza ma bensì della debolezza di Trump, in calo nei consensi popolari e pressato anche dai “falchi” repubblicani, convinti nemici della Russia, per colpire Assad alleato di Mosca.

Una debolezza evidenziata anche dalla giustificazione del raid in cui Trump non si è appellato alla difesa della sicurezza nazionale ma alla sorte dei bambini siriani colpiti dal gas. Valutazioni di cuore umanamente comprensibili ma inaccettabili per il capo della più grande superpotenza (anche nucleare) del mondo a cui è lecito aspettarsi valutazioni pragmatiche. Del resto, se Trump avesse davvero a cuore la sorte di bambini e civili dovrebbe autoflagellarsi per la strage compiuta dai suoi cacciabombardieri a Mosul a fine marzo.

L’impatto del blitz, condotto solo con missili da crociera per non sfidare con aerei e piloti le forze aeree e i missili da difesa aerea a lungo raggio schierati dai russi in Siria, è di portata potenzialmente strategica.

Sui social media arabi Trump è celebrato come un eroe col nome di “Abu Ivanka” (cioè padre di Ivanka, la figlia primogenita di Trump) come sui conviene in arabo a un uomo che merita rispetto e considerazione. Un bel successo per il presidente che avrebbe dovuto avviare un giro di vite contro i jihadisti.

Le milizie jihadiste che combattono Assad, isolate e ormai sconfitte sul campo dalle forze di Damasco e dai loro alleati, esultano per l’attacco di Trump mentre in tutta la Siria anche le milizie ribelli che avevano accettato la tregua con i governativi per negoziare la pace hanno compiuto ieri molte violazioni del cessate il fuoco.

Il rischio è quindi che il conflitto si infiammi di nuovo in tutto il Paese, elemento che dipenderà molto dalle prossime mosse di Washington. Non è ancora chiaro infatti se Trump abbia voluto attuare un “blitz punitivo” unilaterale e sporadico che lo rafforzi sul fronte interno senza alterare (troppo) gli equilibri sul campo se il massiccio attacco missilistico a Shayrat preluda a una più intensa campagna contro Assad che si affianchi a quella già in atto contro lo Stato Islamico.

Un mix devastante per la Siria poiché combattere Assad aiuterà ad affermarsi le forze islamiste che lo contrastano col risultato che a uscirne avvantaggiate sarebbero solo le milizie che vogliono imporre la sharia in tutta la Siria (qaedisti, salafiti e fratelli musulmani) sostenute da arabi e turchi.

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Nel dubbio i russi hanno già annunciato che rafforzeranno le difese aeree di Damasco, già i più occasioni perforate dai jet israeliani che colpiscono le colonne che finiscono armi ai milizia sciti libanesi Hezbollah, alleati di Assad.

L’avvio di una campagna militare tesa a destituire Assad rischierebbe di allargare il conflitto: un intervento diretto degli USA potrebbe infatti indurre turchi, sauditi e qatarini a intervenire sul campo con proprie forze al fianco dei ribelli aumentando il coinvolgimento di Russia e Iran al fianco di Assad e determinando il rischio concreto di scontri a fuoco tra russi e americani.

Una deriva che gli europei avrebbero tutto l’interesse a scongiurare.

(con fonte Il Mattino)

Foto Us DoD e Cnn

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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