Il poker a cinque tra Donald e Kim

da Il Mattino del 3 maggio

Minacce, test missilistici, appelli al dialogo ma anche portaerei e sottomarini pronti all’azione al pari di droni, bombardieri e “scudi” antimissile sullo sfondo del rischio atomico determinato dall’arsenale di Pyongyang.

La crisi coreana contiene tutti gli ingredienti di una classica escalation in stile Guerra Fredda, una sorta di via di mezzo tra la crisi di Cuba del 1962 e l’incidente del Golfo del Tonchino che due anni più tardi consentì al presidente Lyndon Johnson di autorizzare attacchi militari contro il Vietnam del Nord.

Con la differenza che, rispetto alle due crisi citate, in Corea i protagonisti sono almeno 5 e tutti sembrano impegnati a perseguire obiettivi diversi da quelli annunciati.

USA – Dopo aver bluffato sullo schieramento dell’Armada guidata dalla portaerei Vinson che avrebbe dovuto trovarsi al largo della Corea già tre settimane or sono mentre in realtà di trovava 6mila chilometri più a sud, la Casa Bianca sembra ora voler mostrare una tangibile deterrenza nei confronti della Corea del Nord. Il sottomarino a propulsione nucleare Michigan dispone di 154 missili da crociera, altre centinaia sono imbarcati sulle navi statunitensi tra il Giappone e la Penisola coreana mentre ai 200 aerei da combattimento già operativi nell’area si sono aggiunti bombardieri B-1 e droni da ricognizione strategica.

L’obiettivo di Donald Trump non sembra però essere un attacco, preventivo o di rappresaglia, contro Pyongyang ma solo di esercitare una tale pressione sul regime comunista da indurre Pechino a gestire direttamente il suo riottoso alleato.

Per farlo non ha esitato a schierare in Corea del Sud il sistema antimissile THAAD in grado di intercettare i missili balistici a medio raggio nordcoreani ma non di fermarne un attacco su vasta scala poichè, lanciati in gran numero, saturerebbero le difese americane.

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Il THAAD ha il compito di provocare i cinesi poiché il suo radar a lungo raggio può penetrare in profondità lo spazio aereo cinese e lambire quello russo nella regione di Vladivostok. Di fatto svolge lo stesso compito strategico ricoperto in Europa dalle basi in Repubblica Ceca e Polonia dello scudo antimissile statunitense, nato ufficialmente per fermare i “missili balistici iraniani” ma in realtà concepito per tenere il “fiato sul collo” alla Russia penetrandone lo spazio aereo in profondità.

L’importanza di questo obiettivo è dimostrata dal fatto che Washington ha accettato di sobbarcarsi i costi del dispiegamento del THAAD che inizialmente voleva addebitare a Seul e del resto la crisi coreana contribuisce a rendere giustificabile il massiccio potenziamento delle spese militari varato da Trump.

CINA – L’iniziativa militare e politica di Trump mette con le spalle al muro Pechino esortandola a disarmare il regime nordcoreano. Le pressioni per portare di nuovo intorno a un tavolo statunitensi, cinesi e nordcoreani non sembrano sortire gli effetti sperati nonostante Trump si sia detto pronto a incontrare Kim Jong-un sollevando non poche polemiche anche a Washington.

Per Pechino disinnescare l’atomica nordcoreana è comunque rischioso. Il regime di Pyongyang non è disposto a porre la sua sicurezza sotto “l’ombrello atomico” cinese e ogni opzione di intervento politico –militare per rovesciare Kim sarebbe disastrosa per la Cina. Un “golpe” a Pyongyang, ammesso che sia nelle possibilità di Pechino, potrebbe non riuscire a far cadere Kim mentre un’invasione militare della Corea del Nord garantirebbe alla Cina il “suo Vietnam” mandando a monte decenni di sforzi di Pechino per accreditarsi come potenza di riferimento e stabilizzatrice in Asia/Pacifico.

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Anche l’ipotesi di affamare la Corea del Nord chiudendo i confini potrebbe rivelarsi un boomerang. A pagare il prezzo della carestia sarebbe ancora una volta il popolo, non il regime che si sentirebbe giustificato a inasprire le provocazioni militari contro Usa, Giappone e Corea del Sud.

Al tempo stesso Pechino non può accettare il collasso della dittatura nordista che consenta a Seul di unificare la Penisola coreana portando i 30 mila militari americani oggi nel sud a schierarsi lungo il confine orientale cinese.

La carta migliore in mano alla Cina resta quindi quella di sostenere negoziati improbabili e smascherare il bluff militarista di Trump, ben consapevole che i primi a pagare un’avventura militare contro Kim sarebbero i 12 milioni di abitanti di Seul, a tiro delle artiglierie a carica chimica nordcoreane schierate lungo il vicino confine del 38° Parallelo.

Neppure Trump può infatti permettersi errori che pregiudicherebbero il ruolo di Washington nella regione e la sua capacità di proteggere gli alleati.

COREA DEL NORD – Al di là delle provocazioni e degli annunci circa il prossimo affondamento di portaerei e sottomarini nucleari statunitensi (molto improbabili ma utili a cementare il consenso interno) il regime di Kim Jong-un sembra voler perseguire lo sviluppo di missili balistici e armi atomiche imbarcabili su testate missilistiche. Obiettivo che nella strategia di Pyongyang costituisce l’unico baluardo in grado di scongiurare il rischio che Kim faccia la fine di Saddam Hussein o Muammar Gheddafi. Sul piano politico-militare, la Corea del Nord continua a giocare una partita di difficile equilibrio puntando sul fatto che sia i cinesi che i sudcoreani temono le conseguenze di un crollo improvviso del regime che possiede 20 bombe atomiche e migliaia di tonnellate di armi chimiche e che potrebbe determinare la fuga verso il ricco sud di oltre 20 milioni di nordcoreani.

COREA DEL SUD – Seul sembra essere stata colta di sorpresa dall’improvviso dichiarato bellicismi di Trump, nel timore che il braccio di ferro tra Usa e Cina nel Pacifico possa determinare un elevato prezzo da pagare per la popolazione sudcoreana esposta direttamente alle rappresaglie di Pyongyang.

Per questo anche lo sconfinamento nello spazio aereo del Nord di una coppia di bombardieri statunitensi B-1 in esercitazione viene considerato una inutile provocazione a Seul. Non è un caso che il direttore della CIA, Mike Pompeo, sia giunto ieri a Seul per fornire dettagli e chiarimenti circa le reali intenzioni degli Stati Uniti.

Fonti di Seul hanno fatto sapere che l’ultimo test missilistico nordcoreano è stato fatto fallire volutamente dalla stessa Pyongyang che mirava probabilmente a salvare la faccia senza cedere ai diktat degli USA ma al tempo stesso a non esporsi a possibili rappresaglie. Del resto buona parte dei sudcoreani sono ostili al potenziamento delle forze americane e al dispiegamento del THAAD nel timore che possano provocare pesanti reazioni militari nel Nord, così come è noto che il progressivo potenziamento militare di Seul in atto da alcuni anni ha lo scopo di accrescere la capacità di gestire autonomamente e senza l’intervento dei militari americani una crisi bellico con il Nord.

GIAPPONE – Tokyo ha tutti i motivi, inclusi quelli storici, per temere un attacco nucleare nordcoreano ma al tempo stesso l’attuale crisi offre al governo nipponico l’opportunità di accentuare gli sforzi per migliorare un apparato militare già più che considerevole e alimentare sogni di potenza regionale. Grazie alla minacce nordcoreane e ai confronto con la Cina per il controllo di alcuni arcipelaghi, il Giappone ha potuto modificare la Costituzione “pacifista“ del 1945 inviando forze militari all’estero per esercitazioni, offrendo cooperazione militare agli alleati e riservandosi il diritto di aprire il fuoco per primo per proteggere alleati in contesti multinazionali.

Kim Jong-un, per tutti “nemico pubblico numero uno”, consente in realtà ad ogni attore in questa crisi di perseguire i propri interessi nazionali. Un contesto in cui potrebbe ritagliarsi uno spazio anche la Russia, in allarme come i cinesi per il potenziamento statunitense nell’area ma da sempre in buoni (anche se critici) rapporti con Pyongyang. La posizione ideale per mediare eventuali negoziati.

Foto: Lockheed Martin, Ultim’ora e KCNA

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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