Le ambizioni degli Emirati Arabi Uniti: dalla Somalia a Marte
Forse la definizione migliore l’aveva data qualche tempo fa James Mattis: “la piccola Sparta”. Così l’attuale Segretario alla Difesa statunitense aveva soprannominato gli Emirati Arabi Uniti (EAU). Perchè a giudicare dalle ultime mosse del piccolo Paese della Penisola arabica, una piccola Sparta – non nel Mediterraneo o nel Mar Egeo, ma nel Golfo Persico e, sopratutto, nel Golfo di Aden sta davvero emergendo, sfruttando i proventi del petrolio per rafforzare le proprie ambizioni economiche e geopolitiche, la propria influenza regionale. In particolare, nel Corno d’Africa.
Tra marzo e aprile 2017 gli Emirati hanno infatti concluso – relativamente in sordina – due importanti operazioni in Somalia, inserendosi prepotentemente come attore chiave in Africa orientale, già oggetto degli interessi di almeno altri dieci paesi. Ad inizio aprile la P&O Ports di Dubai ha infatti concluso un accordo di concessione trentennale con la regione semi-autonoma del Puntland, nel nordest della Somalia, per lo sviluppo e la gestione di un porto polivalente nella città di Bosaso.
Il progetto si articolerà in due fasi, ed avrà un costo complessivo di circa 340 milioni di dollari. Solo un mese prima la piccola petromonarchia aveva sottoscritto un accordo simile con l’altra regione – o meglio Stato, non riconosciuto dalla comunità internazionale autonoma della Somalia, il Somaliland, per la costruzione di una base militare nel porto di Berbera.
Ciò è avvenuto a distanza di un anno dall’annuncio da parte di Hargheisa di una ulteriore intesa, dal valore di 442 milioni di dollari, con l’azienda DP World di Dubai, per l’ampliamento del già esistente porto civile di Berbera, e con il dichiarato obiettivo di renderlo un hub commerciale di primo livello sulla costa del Mar Rosso dove peraltro gli Emirati dispongono di una base navale sulla costa Eritrea, proprio di fronte alla città yemenita di Aden.
Al tempo stesso in un aeroporto della Cirenaica libica sono schierati arei da attacco leggeri AT-801, velivoli cargo ed elicotteri degli Emirati Arabi Uniti che operano in appoggio alle fiorze dell’Esercito Nazionale Libico del maresciallo Khalifa Haftar.
Le basi in Eritrea e territorio somalo sono in parte legate alla guerra in Yemen, nell’ambito della quale gli EAU sono nella coalizione a guida saudita contro gli Houthi sostenuti dall’Iran, in parte a una necessità di controbilanciamento geo economico: circa l’80% delle entrate del governo della Somalia, infatti, provengono dal porto e dall’aeroporto di Mogadiscio, entrambi gestiti da compagnie turche. La presenza di Ankara nella regione viene vista dagli Emirati – e dai suoi alleati americani e inglesi – come una minaccia strategica.
Nel vicino Stato di Djibouti, hanno base le truppe di Stati Uniti, Francia, Italia, Spagna, Giappone e Germania, impegnate in esercitazioni anti terrorismo e anti pirateria nel Maro Rosso e nell’Oceano indiano. Secondo alcuni esperti, tuttavia, i contratti sottoscritti dagli EAU in Somaliland e in Puntland potrebbero fare i conti con alcuni ostacoli legali: nonostante l’assetto federale della Somalia, infatti, le regioni autonome non avrebbero il diritto di concludere accordi con altri Stati in modo indipendente.
Ciò ha già generato alcune polemiche: su Twitter i somali hanno già diffuso l’hashtag #UAEHandsoffSomalia (“EAU giù le mani dalla Somalia”), in protesta contro quello che appare loro come un tentativo di minare la sovranità e l’unità del Paese africano. Il Revisore Generale somalo, Nur Jimale Farah, nel sostenere l’illegittimità dell’accordo tra Somaliland e EAU,, ha invece accusato l’ex governo somalo di Hassan Sheikh Mohamud di aver preso delle tangenti per facilitare l’accordo stesso e “perseguire guadagni privati”.
Se il primo decennio del ventunesimo secolo ha visto Abu Dhabi protagonista a livello internazionale soprattutto in campo finanziario – con il suo fondo sovrano molto attivo nella ricapitalizzazione o nel salvataggio di istituti di credito occidentali colti dalla crisi del 2008 e con investimenti sempre più ingenti in vari settori dei mercati europei, primo tra tutti quello immobiliare – dal 2012 e soprattutto negli ultimi anni il focus degli Emirati sembra essersi gradualmente spostato sul comparto militare, e verso investimenti e acquisizioni dal valore geostrategico. Investimenti che potenzialmente sono in grado di aumentare l’influenza emiratina all’interno della regione.
Le mire degli EAU non sembrano nemmeno fermarsi al Pianeta Terra: nel 2014 infatti, sono diventati l’unico paese arabo ad avere un proprio programma spaziale, con il lancio della missione Hope Mars, per studiare l’atmosfera sul Pianeta rosso. L’obiettivo di lungo termine, e visionario, di questa missione lo ha chiarito in un tweet lo scorso febbraio il Primo ministro Sheikh Mohammad bin Rashid Al Maktoum: “puntiamo a creare per il 2117 una mini-città e una comunità su Marte”.
(con fonte AGI)
Foto Naharnet e Forze Armate UAE
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