L’Europa vittima dei suoi alleati jihadisti

Salman Abedi, l’autore della strage di Manchester, aveva progettato di massacrare adolescenti infedeli da almeno un anno. Secondo il Times, che ha ricostruito i movimenti bancari del 22enne britannico di origine libica che lunedì scorso si è fatto esplodere uccidendo 22 persone, Abedi aveva infatti aperto un conto in banca circa 12 mesi fa, rimasto dormiente fino a quando non è stato usato per comprare dadi, bulloni, viti e chiodi usati nella fabbricazione dell’ordigno.

Le componenti dell’ordigno sarebbero state acquistate in due diverse occasioni a Manchester, prima che l’attentatore partisse per la Libia lo scorso aprile. Abedi è rientrato nel Regno Unito quattro giorni prima dell’attacco, il 18 maggio scorso; il giorno dopo si era recato nel centro commerciale Arndale di Manchester, dove era stato ripreso dalle telecamere mentre acquistava uno zaino; e si pensa abbia trascorso il fine settimana a fabbricare l’ordigno per poi, lunedì scorso, trasferirsi in un appartamento affittato dove avrebbe assemblato le componenti della bomba.

Un elemento indicativo e raro nella casistica del terrorismo islamico. Solitamente infatti chi ha la professionalità di fabbricare ordigni non è sacrificabile in azioni suicide. Di specialisti ce ne sono pochi, mentre l’islam abbonda di fanatici senza arte né parte pronti però farsi esplodere per Allah. Contrariamente a quanto si diceva inizialmente, Salman Abedi (foto sotto) non era un “pivello” del jihad né un terrorista improvvisato.

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Il giovane avrebbe infatti combattuto al fianco dei ribelli jihadisti contro il governo del colonnello Muammar Gheddafi: lo hanno riferito fonti concordanti, citate dalla BBC. Secondo questa ricostruzione Abedi avrebbe militato nei gruppi armati insieme con il padre, nel 2011, benché all’epoca avesse avuto appena 16 anni.

La notizia ha un risvolto diretto e beffardo sulla politica di Londra poiché l’esecutivo britannico (all’epoca presieduto da David Cameron) fu in prima fila nel volere e nel combattere quella guerra in appoggio agli insorti sobillati da Qatar ed Emirati Arabi Uniti. I jet di Londra, giusto per intenderci, combattevano Gheddafi proprio come i maschi della famiglia Abedi, evidentemente non molto riconoscenti nei confronti di Sua Maestà nonostante, senza la pressione militare NATO, e soprattutto anglo-americana-francese, il regime del Colonnello non sarebbe mai caduto.

L’altra notizia di rilievo è relativa alla ricomparsa del Gruppo Combattente Islamico Libico, milizia qaedista fondata in Cirenaica nel 1995 da reduci del jihad in Afghanistan che combattè per anni contro le forze di Gheddafi venendo sconfitta nel 1999 sulle Colline Verdi (Jebel el-Akhdar, non lontano da Bengasi) da un’offensiva governativa che vide in prima linea un migliaio di mercenari serbi assoldati dal Colonnello e reduci dai conflitti bosniaco e kosovaro.

Diversi miliziani, riusciti a fuggire, raggiunsero i campi di al-Qaeda in Afghanistan mentre gli ultimi esponenti del GMIL in Libia vennero incarcerati e liberati dieci anni dopo grazie a un’amnistia decretata da Gheddafi, poco prima che scoppiasse la rivolta scatenata da diversi gruppi islamisti sostenuti da fondi e armi provenienti dal Golfo Persico.

Soldari davanti a Downing Street 10

Il ritorno del GMIL con la strage di Manchester apre molti scenari. Innanzitutto ripropone il ruolo di al-Qaeda nel colpire l’Occidente. Erano suoi aderenti gli attentatori suicidi che si fecero esplodere su autobus e metropolitana londinesi il 7 luglio 2005. La matrice qaedista della strage di Manchester spiega anche i lunghi tempi con cui l’Isis ha rivendicato furbescamente un attentato che, a quanto sembra, non gli apparteneva, ma circa il quale non poteva infatti avere dettagli da fornire. Il fatto che il Califfato, in fase di ritirata sui campi di battaglia dalla Libia alla Siria, ceda terreno sul fronte del terrorismo alla “rinata” al-Qaeda non è necessariamente una buona notizia soprattutto tenendo conto che entrambi i gruppi eversivi islamici sembrano avere come obiettivo l’attacco all’Europa.

Le due organizzazioni si sono combattute a lungo in Siria ma hanno anche saputo unirsi e scambiarsi pedine, con diversi gruppi eversivi prima aderenti alla Rete fondata da Osama bin Laden e che successivamente hanno giurato fedeltà al Califfato. Le lezioni più cocenti per britannici ed europei dal caso Salman Abedi giungono però dalla Libia e dalla stessa Gran Bretagna.

Machester

Abbiamo tutti perso il controllo dell’ex colonia italiana e i miliziani, che aiutammo stupidamente a rovesciare il nostro alleato Gheddafi, oggi uccidono in Europa i nostri figli aspettandoli fuori da un concerto. Benchè più volte segnalato come estremista, Abedi non è stato arrestato, così come, dei 2mila foreign fighters britannici partiti per combattere in Siria e Iraq e Libia, molte centinaia sono rientrati, ma solo pochissimi sono in carcere.

Londra come tutta Europa e la stessa Ue sono molto indulgenti con questi veterani del jihad: l’obiettivo non sembra essere quello di punirli o toglierli di mezzo ma “reintegrarli nella società” come disse il coordinatore Ue antiterrorismo, il belga Gilles De Kerchoeve.

Un “mantra” riproposto dalle autorità di molti Stati europei e anche dal ministro degli Interni italiani, Marco Minniti. Di certo c’è che lasciare liberi i foreign fighters insieme alle decine di migliaia di estremisti già noti in ogni paese europeo e in rapido aumento grazie ai predicatori d’odio che lasciamo liberamente scorrazzare per l’Europa non contribuirà a migliorare la nostra sicurezza.

(da Nuova Bussola Quotidiana)

Foto AP e Reuters

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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