Libia: le prospettive dopo l’incontro tra Haftar e al-Sarraj
da Il Mattino del 4 maggio 2017
Suscita speranze e forse anche qualche facile illusione l’esito positivo dei colloqui tra il Maresciallo Khalifa Haftar e il “premier” libico riconosciuto dalla comunità internazionale Fayez al-Sarraj, tenutosi martedì ad Abu Dhabi con la mediazione degli Emirati Arabi Uniti.
L’aspetto positivo è senza dubbio il fatto che i due si siano parlati dopo che il vertice del Cairo era saltato all’ultimo momento nel febbraio scorso per il rifiuto di Haftar. Un no ai colloqui teso forse a evidenziare l’estrema debolezza di al-Sarraj, isolato nella stessa Tripolitania dall’ostilità di molte milizie e dalla sfiducia nel suo governo di molte tribù che nel frattempo hanno allacciato rapporti e alleanze con il generale che controlla la Cirenaica, parte del sud desertico del Paese e i terminal energetici della cosiddetta “Mezzaluna petrolifera”.
Del resto il fatto stesso che il vertice si sia tenuto negli Emirati, impegnati politicamente e militarmente al fianco di Haftar insieme ad Egitto e Russia, la dice lunga sull’evoluzione dei rapporti di forza in Libia 13 mesi dopo l‘insediamento di al-Sarraj nella base navale di Abu Sittah, alle porte di Tripoli, di fatto ancor oggi l’unico lembo di territorio sotto il controllo del premier.
Ad Abu Dhabi i due avrebbero raggiunto un’intesa sul disarmo delle milizie e nuove elezioni presidenziali entro il marzo 2018. Il primo punto sembra convenire soprattutto ad al-Sarraj, minacciato dalle diverse milizie della Tripolitania e soprattutto da quelle islamiste legate ai Fratelli Musulmani e Salafiti sostenute da Qatar e Turchia, finora veri e propri arbitri dei destini della Tripolitania e che avevano dato il via libera all’insediamento di al Sarraj, a fine marzo dell’anno scorso, solo dopo un vivace vertice di tutte le milizie della regione tenutosi non a caso a Istanbul.
Il secondo punto potrebbe invece avvantaggiare Haftar che grazie alla forza militare e al supporto delle principali tribù libiche potrebbe fare il pieno di consensi elettorali e imporsi, legittimamente, come nuovo “uomo forte” della nostra ex colonia.
I termini dell’intesa restano in ogni caso aleatori e privi di sostanza finchè non verrà chiarito un piano articolato per attuarla. Sarà infatti arduo stabilire quali milizie dovranno disarmare e quali invece assurgeranno al ruolo di forze armate nazionali al quale di certo aspira l’Esercito Nazionale Libico di Haftar guidato anche da ufficiali legati alle forze del defunto raìs Muammar Gheddafi.
L’escamotage di far confluire tutte le milizie libiche in fantomatiche forze nazionali si è già rivelato fallimentare subito dopo la caduta del regime di Gheddafi ma è chiaro che l’intesa di Abu Dhabi lascerà molte forze tribali e militari insoddisfatte.
Difficile pensare che un accordo possa non includere le milizie di Misurata, vera “Sparta” della Tripolitania le cui forze un tempo molto potenti si sono però indebolite nel lungo assedio di Sirte, difesa per sette mesi dai combattenti dello Stato Islamico ora rifugiatisi nel deserto a sud della città. Misurata però è da sempre ostile ad Haftar così come le diverse milizie per lo più islamiste che controllano i quartieri di Tripoli e la regione circostante.
Questo significa che l’espressione “disarmo” delle milizie potrebbe sottintendere dure operazioni militari contro le forze oggi schierate intorno alla capitale. Un’operazione oggi alla portata di Haftar e dei suoi alleati in Tripolitania, soprattutto le combattive milizie di Zintan, ma che presupporrebbe instabilità e guerra ancora per molto tempo. Un periodo anche lungo tenuto conto che le truppe di Haftar hanno combattuto due anni per cacciare definitivamente da Bengasi le milizie jihadiste.
C’è “ottimismo su una soluzione politica” ha riferito una fonte del ministero degli Esteri degli Emirati, che chiedono la nomina di un nuovo inviato dell’Onu che sostituisca il tedesco Martin Kobler (nella foto sopra) a conferma di come un’intesa che stabilizzi la Libia senza ulteriori sviluppi bellici passerà più facilmente dal Golfo Persico (un accordo tra Emirati e Qatar, sponsor dei rispettivi fronti libici contrapposti?) che da Roma o dalle cancellerie europee.
Del resto senza un accordo politico largamente condiviso (caldeggiato anche dalle potenze coinvolte nella crisi) sarà impossibile effettuare elezioni che abbiano un minimo di credibilità. Dall’intesa, qualora si concretizzasse, sembra uscire rafforzata la posizione di Haftar ma anche al-Sarraj ha tutto da guadagnare da un accordo senza il quale la sua figura rischia di perdere progressivamente peso fino all’irrilevanza.
Meglio comunque non farsi illusioni circa una rapida applicazione dell’accordo di massima che sembra sia stato raggiunto ad Abu Dhabi e che al momento costituisce solo una possibilità, se non una speranza, di poter giungere alla stabilizzazione della Libia.
Difficile infatti prevedere sviluppi in tal senso a breve termine anche sul fronte dell’immigrazione illegale verso l’Italia (anzi, pare che Haftar abbia imposto la rinuncia ad applicare l’accordo firmati in febbraio da al-Sarraj con Roma), business che interessa le coste della Tripolitania tra Misurata e il confine tunisino di cui rappresenta almeno la metà del Prodotto interno lordo, ammesso che si possa utilizzare un termine simile per uno “Stato fallito”.
Proprio la portata economica dei traffici di esseri umani rende ancor più arduo il loro smantellamento da parte delle forze libiche (pur se addestrate dall’Italia e presto rinforzate dalle motovedette donate da Roma) senza il ricorso alla forza da parte delle flotte italiana ed europea che finora si sono limitate a favorire il business dei trafficanti trasferendo in Italia gli immigrati illegali soccorsi in mare.
Foto: AFP, Libya TV e Libya Coast Guard
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.