Trump prepara nuovo attacco ad Assad?
Dopo il raid missilistico dell’aprile scorso Donald Trump potrebbe ordinare nuovi attacchi contro le forze militari siriane. L’ipotesi è resa concreta dalla nota rilasciata ieri dalla Casa Bianca in cui si afferma che “gli Stati Uniti hanno individuato potenziali preparativi per un altro attacco di armi chimiche da parte del regime di Assad, che probabilmente causerebbe l’uccisione di massa dei civili, inclusi i bambini innocenti. Le attività sono simili ai preparativi che il regime ha fatto prima dell’attacco di armi chimiche del 4 aprile 2017 a Khan Sheykoun.
Come abbiamo già detto, gli Stati Uniti sono in Siria per eliminare lo Stato islamico dell’Iraq e della Siria ma se Assad conducesse un altro attacco di massa con armi chimiche, lui e le sue milizie pagheranno un prezzo pesante”.
Dichiarazioni aggressive basate a quanto sembra sui rilevamenti satellitari effettuati sulla base aerea di Shayrat, la stessa colpita dai missili da crociera Tomahawk lanciati da due cacciatorpediniere dell’US Navy nell’aprile scorso. Il portavoce del Pentagono Jeff Davis ha parlato di attività di “specifici aerei in un preciso hangar, che in base alle nostre informazioni sono connessi all’utilizzo di armi chimiche”.
Shayrat ospita un reparto di vecchi aerei da attacco Sukhoi Su-22 decimato dai missili statunitensi (6 i velivoli distrutti) mentre un jet dello stesso tipo è stato abbattuto la scorsa settimana da un caccia F/A-18 americano mentre bombardava, secondo Washington, le milizie curdo-arabe filo americane nel settore di Raqqa.
Molti gli elementi discutibili della minaccia formulata dalla Casa Bianca. Innanzitutto non sono mai state mostrate prove concrete delle responsabilità del regime nell’impiego di gas a Khan Sheykoun dove il numero limitato di vittime e le immagini di soccorritori pivi di equipaggiamenti protettivi lasciano supporre che gli aggressivi chimici siano stati impiegati dai ribelli salafiti (li producono artigianalmente, forse grazie al supporto dei servizi segreti sauditi) per poter accusare Damasco e determinare una risposta militare statunitense.
Gli stessi dubbi riguardarono nel 2013 la strage di Ghouta, alla periferia di Damasco, in seguito alla quale l’intervento militare di Washington e alleati venne scongiurato dalla mediazione di Mosca che portò al disarmo degli arsenali chimici di Bashar Assad.
Queste armi vennero smaltite a bordo di una nave speciale statunitense nel Mediterraneo, ragion per cui il Pentagono conosce bene la composizione chimica dei gas nervini di Damasco e non avrebbe difficoltà a dimostrane un reiterato impiego se questo fosse avvenuto.
Il comunicato della Casa Bianca parla poi “uccisone di massa di civili” ma a Khan Sheykoun i morti furono tra 58 e 87 (a seconda delle fonti ma i ribelli qaedisti del Fronte Fatah al-Sham, già noto come al-Nusra) che controllano la sacca di Idlib non hanno mai permesso l’accesso a fonti neutrali), pochi per giustificare l’uso di armi di distruzione di massa come i gas nervini.
Del resto il regime di Damasco non avrebbe alcun interesse a impiegare tali armi che non garantirebbero alcun vantaggio tattico e determinerebbero una sconfitta strategica (giustificando l’intervento militare degli USA) nonchè politica poiché susciterebbero la riprovazione internazionale.
Per tutte queste ragioni le minacce della Casa Bianca potrebbero avere lo scopo di preparare il terreno a un intervento militare su vasta scala contro le truppe siriane e i loro alleati iraniani ed hezbollah libanesi che stanno vincendo ormai su tutti i fronti la guerra civile contro le diverse milizie ribelli.
Non mancano del resto le avvisaglie della determinazione USA a impedire la vittoria del “fronte scita” che unisce i governi di Iraq, Iran e Siria (e che costituirebbe anche una grande vittoria russa) contro le milizie sunnite, per lo più jihadiste sostenute dai sauditi e dalle monarchie del Golfo la cui alleanza con gli USA è stata rinsaldata proprio da Trump con il via libera di Israele che negli ultimi giorni ha colpito in più occasioni postazioni delle truppe siriane nel Golan.
Che Usa e alleati stiano preparando qualche operazioni contro Damasco sembra dimostrato anche dalla fretta con cui il segretario alla Difesa britannico, Michael Fallon, ha detto alla BBC che Londra darebbe supporto a un’azione militare americana in caso di attacco chimico in Siria, mentre il presidente francese Emmanuel Macron si è già detto pronto a “lavorare insieme” agli USA.
Da Mosca, Franz Klintsevich, vice presidente della Commissione Difesa della camera alta, ha affermato senza mezzi termini che il monito americano preannuncia un nuovo attacco contro le forze siriane sotto il pretesto di presunti preparativi per un attacco chimico.
Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha condannato le “inaccettabili minacce” degli Stati Uniti contro il regime siriano che ha sempre negato l’uso di armi chimiche. Del resto da tempo Mosca accusa gli Usa di non condurre attacchi contro le milizie qaediste di Fatah al-Sham, ormai l’unica formazione militarmente in grado di impegnare le truppe siriane dopo le disfatte subite dal Califfato.
A conferma della tutela russa sul regime siriano ieri Assad ha incontrato il capo di Stato maggiore russo, generale Valeri Gherasimov, nella base aerea russa in Siria di Hmeimim. Nella prima visita del presidente siriano alla base russa vicino a Latakya, si è discusso del “coordinamento tra le truppe siriane e le forze aeree russe nella lotta contro i gruppi terroristici internazionali ” riferisce il ministero della Difesa russo inviando così un chiaro messaggio al Pentagono.
Il segretario alla Difesa, generale Jim Mattis, ha ribadito che gli USA sono presenti in Siria per combattere lo Stato Islamico ma reagiranno per “legittima difesa” alle minacce portata dal regime di Damasco alle forze americane e ai loro alleati. “Ci rifiutiamo di farci trascinare nella guerra civile siriana” ha detto Mattis ma alla Casa Bianca potrebbero pensarla diversamente.
Foto AMN, AFP e SANA
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.