Corea del Nord, urgente negoziare con Pechino

da Il Messaggero del 6 luglio 2017

Appare ormai chiaro che la crescente escalation della minaccia portata dalla Corea del Nord agli Stati Uniti e ai loro alleati regionali, Corea de Sud e Giappone, è strettamente legata al disegno strategico cinese.

Per la prima volta il regime di Pyongyang ha testato un missile balistico intercontinentale (ICBM)), cioè con un raggio d’azione superiore ai 5.500 chilometri

Lo Hwasong 14 è un’arma bi-stadio, derivata da un vecchio missile balistico sovietico per sottomarini e propulsa da carburante solido, capace di colpire il territorio statunitense quanto meno fino alle Hawaii e all’Alaska.

Difficile pensare che un test simile sia stato attuato senza il via libera di Pechino che certo ha in Pyongyang un alleato scomodo e per nulla “allineato” ma al tempo stesso impossibilitato a smarcarsi troppo dalla linea imposta dal potente vicino per il fatto che la stessa sopravvivenza del regime e degli oltre 20 milioni di cittadini nordcoreani è legata alle merci in entrata dalla Cina.

Persino l’ironia di Kim nel “celebrare” con il lancio dello Hwasong 14 la festa nazionale USA del 4 luglio rappresenta una provocazione tesa a stuzzicare Washington in un momento di acuta difficoltà interna del presidente Donald Trump.

Coincidenze che probabilmente hanno visto la Cina acconsentire tacitamente alla provocazione nordcoreana con l’obiettivo di evidenziare ancora una volta la necessità che Washington si rivolga a Pechino se vuole risolvere la crisi e lo faccia con una prospettiva di negoziato ad ampio spettro e un’ottica regionale.

Trump infatti non ha perso l’occasione per accentuare le responsabilità cinesi nel mancato contenimento di Pyongyang mentre, sul piano militare, statunitensi e sudcoreani hanno risposto al test dell’ICBM con un’esercutazione congiunta che ha simulato un attacco contro la Corea del Nord con missili balistici a corto raggio. ATACMS statunitensi e Hyunmoo II sudcoreani.

Una risposta senza precedenti che, lo vedremo forse al vertice del G-20 di Amburgo, potrebbe preludere a una prova di forza prima del varo di un negoziato tra le due grandi potenze teso a stabilizzare l’area del Pacifico Occidentale.

Se Cina e Stati Uniti hanno tanti dossier aperti sul fronte economico, finanziario e commerciale, le aree di tensione strategica cominciano a diventare tali da richiedere sforzi non meno importanti.

Non è un caso che, pur condannando il test balistico nordcoreano, i presidenti russo e cinese Vladimir Putin e Xi Jinping, abbiano proposto lo stop di Pyongyang ai test missilistici e nucleari in cambio della cessazione delle esercitazioni congiunte tra le forze di Seul e Washington sul territorio sudcoreano.

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Nell’ottica cinese (e russa), i test nordcoreani offrono a Washington il destro per schiarare in Corea del Sud batterie di armi antimissile THAAD, dotate di un radar in gradi di esplorare in profondità non solo il territorio e lo spazio aereo nordcoreano ma anche parte di quello cinese e di Mosca.

Alzando la posta del riarmo nordcoreano, Pechino punta probabilmente a negoziare su tutto lo scacchiere regionale, pretendendo il ritiro del THAAD, (la cui presenza è osteggiata anche da gran parte della politica e dell’opinione pubblica di Seul) e cercando una soluzione anche alle altre sfide militari aperte con gli USA nel Mar Cinese.

Che sono almeno due: il reiterato sostegno militare americano a Taiwan e l’appoggio a tutti i paesi della regione che contendono a Pechino il controllo degli arcipelaghi, dalle Spratly alle Paracel alle Senkaku.

Tensioni aggravatesi nei giorni scorsi sfociando nell’acutissima irritazione cinese poco prima (guarda caso) del lancio dell’ICBM nordcoreano.

Il rafforzamento della cooperazione militare tra Washington e Taiwan, prevista dal 1979 da un accordo bilaterale (Taiwan Relations Act) che impegna gli USA a soccorrere militarmente la Cina Nazionalista in caso di minacce, ha visto a vendita di modernissimi missili terra-aria, aria-suolo e antiradar oltre a siluri per un valore di 1,42 miliardi di dollari. Un contratto che fa seguito a quello voluto due anni or sono dall’Amministrazione Obama per 1,8 miliardi che includeva navi da guerra, missili antiaerei, anticarro e mezzi anfibi.

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Durissima la reazione cinese che nei giorni scorsi ha aspramente criticato anche il doppio passaggio di navi militari statunitensi a meno di 12 miglia da due atolli occupati e militarizzati da Pechino negli arcipelaghi delle Spratly e Paracels contesi con Vietnam, Filippine e altri Stati rivieraschi.

L’espansione militare cinese nelle isole, avvenuta “manu militari” negli ultimi anni, ha rinsaldato i legami tra gli USA e i Paesi della regione, Washington ha inviato la Settima Flotta della Us Navy a pattugliare regolarmente le acque contese per ribadirvi la “libertà di navigazione” irritando la Cina che ha posto queste isole sotto l’ombrello della difesa aerea e le considera, di fatto ma arbitrariamente, territorio nazionale.

Inoltre agli USA hanno incrementato notevolmente le vendite di armi e la cessione di surplus militare ai paesi della regione impegnati a contrastare Pechino con risultati per molti versi paradossali come l’alleanza USA-Vietnam sviluppatasi 40 anni dopo la caduta di Saigon che ha visto la Guardia Costiera vietnamita ricevere una vecchia nave statunitense da 3300 tonnellate da schierare nelle Paracels.

Per tutte queste ragioni difficilmente la soluzione alla crisi con la Corea del Nord potrà emergere al di fuori di un negoziato più ampio in cui la Cina fermerebbe Kim solo in cambio di precise garanzie circa lo stop del contrasto americano alla sua politica di espansione marittima.

Pechino e Washington potrebbero sedersi a un tavolo e ridisegnare gli equilibri nel Pacifico Occidentale all’insegna di una serie di compromessi che probabilmente potrebbero risultare difficili da far digerire ai rispettivi alleati.

Foto KCNA

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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