Il Mediterraneo centrale non è posto per deboli

Non è un posto per deboli, il centro del Mediterraneo nel quale ci troviamo a galleggiare. E non è un’epoca per vecchi l’attuale, quella in cui si consumano conflitti, frizioni e tensioni che richiedono energia, aggressività e giovanile baldanza per non farsi travolgere. Insomma, pare proprio che l’Italia repubblicana e democratica, condannata a un invecchiamento inarrestabile da politiche per la famiglia a dir poco suicide e votata per Costituzione alla rinuncia di qualsiasi velleità di incidere sulle realtà che la circondano, si senta fuori posto nel pentolone in ebollizione che è diventato il Mare Nostrum. Che rabbia!

Se ci affacciassimo anche noi sul Mar Glaciale Artico o sul Golfo di Botnia, potremmo limitaci a curare le depressioni dei nostri concittadini, sottoposti a quel jet lag continuo causato dal sole di mezzanotte e dalle stelle a mezzogiorno, e saremmo certamente più a nostro agio nello sperticarci in grandi manifestazioni a favore dell’accoglienza per tutti (e chi ci vuole andare a quelle latitudini?) e in buoni sentimenti all’indirizzo dei lontani, dei “diversi”.

Il tutto, naturalmente, stando ben al riparo dietro la cortina di un continente europeo spesso qualche migliaio di chilometri e dotato di confini e barriere nazionali che facendosi un baffo di Schengen restano difficilmente transitabili, relegando alle sponde mediterranee i flussi di disperati o meno che dal sud del nostro spicchio di mondo cercano fortuna da noi.

Se così fosse, avremmo buon gioco a convincerci che, effettivamente, i problemi che dobbiamo affrontare sono quelli dell’invenzione di nuovi, fantasiosi e aberranti “diritti” per compiacere i vizi e le manie di piccole minoranze che non possono farsi una ragione di non rappresentare, appunto, che poco significativi scostamenti dalla media dello sgradevolissimo popolo che lavora, si sacrifica per i propri figli, cerca di mettere su famiglia, va a Messa la domenica anche se sempre più spesso preferisce il mare, visita i propri morti al cimitero tramandandone cognomi e nomi vecchi di secoli nei nomi e nei cognomi di oggi.

Invece no. Ci tocca proprio questo mare e questo tempo. E ci tocca pure una sgradevole vocazione alla debolezza, ribattezzata da qualche politicante “soft power” per mascherarne la natura di fronte al popolo ignaro.

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Ed è così che, mentre ci balocchiamo inutilmente con le nostre fissazioni, il vitalizio dei parlamentari, lo “Ius soli” del quale non si poteva fare a meno, la defascistizzazione del paesaggio, lo studio su qualche nuova legge elettorale che accontenti tutti, Macron ci sfila l’esclusiva della Libia chiamando a rapporto i due principali competitors in quel paese (il Gen.Haftar e il PM del GNA Al Serraj) e costringendoli a firmare un accordo per nuove elezioni.
E a cose fatte, mentre accorda all’Italia la possibilità di fare il gol della bandiera con una comparsata di Serraj a Roma durante il viaggio di ritorno a Tripoli, a sorpresa annuncia, per ritrattare poco dopo, la realizzazione in Libia di un certo numero di hot spot entro l’estate nei quali concentrare i migranti che dal sud attraversano il deserto prima di farsi traghettare in Italia.

Hot Spot è il termine politicamente corretto coniato un paio d’anni fa per definire i campi profughi che l’Europa ci imponeva di realizzare sul nostro territorio, tra una mozione ed un’altra per la messa al bando del formaggio di fossa e per l’urgente – urgentissima!!! – approvazione delle unioni civili. Evviva, quindi! Problema risolto: flusso di migranti interrotto grazie alla Francia, la stessa che con Sarkozy aveva innescato il caos che ha distrutto un paese stabile come la Libia, e che ora col suo bis-successore ci porge su un vassoio d’argento la soluzione. Tres facìle, parbleau.

E’ quindi superata la fase critica? Potremo tornare alle nostre spiagge della nostra bellissima Sicilia senza rischiare di assistere allo sbarco di qualche migliaio di africani stravolti dalla traversata del Sahara?
Sicuramente è presto per dirlo, ma alcune considerazioni si possono azzardare.

Prima di tutto c’è da osservare che l’iniziativa di Macron è il primo vero cambiamento in Libia dopo l’intervento americano dell’anno scorso a Sirte. Si tratta di una iniziativa che certamente potrebbe portare ad alcuni vantaggi immediati per noi anche se ci relegherebbe ad un ruolo ancillare che speravamo di avere evitato grazie ad un certo attivismo diplomatico e militare in questi ultimi anni: abbiamo aperto per primi la nostra Ambasciata a Tripoli e siamo presenti con una limitata ma apprezzabile componente militare e sanitaria soprattutto nella capitale e a Misurata.

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Quanto ai locali, il vero vincitore di questo round, oltre naturalmente al neo Presidente d’oltralpe, è il generale Haftar che, dopo l’investitura di Putin quale uomo su cui puntare in Libia si vede ora riconosciuto un ruolo di interlocutore privilegiato dalla Francia. Con buona pace dello spirito onusiano obbligatorio al quale ci siamo sentiti in dovere di aderire da sempre ed in nome del quale abbiamo centellinato il nostro supporto a Tobruk.

La Francia, dal canto suo, ha invece sempre appoggiato il “governo” di Tobruk e il suo uomo forte, per motivi diversi ma con la stessa convinzione di Russia ed Egitto. Infatti, è da sempre alla ricerca di un ruolo da leader nell’area, che le verrebbe scippato da un protettorato ONU Tripoli-centrico che le impedirebbe invece di fare i fatti suoi nella mezzaluna petrolifera, dalla quale l’Italia è già stata estirpata nel 2011.

Giusto per memoria, Russia ed Egitto a loro volta appoggiano Tobruk-Haftar, per impedire che un’unificazione sotto egida ONU della Libia privi la prima della possibilità di sperare magari in un porto alternativo a Tartus ed un alleato nel Mediterraneo ed al secondo una giusta ingerenza che la ripari dalle minacce dei Fratelli Musulmani radicati tra Bengasi e Derna.

Serraj, invece, se ne torna a Tripoli così come era partito, con i soliti guai con i suoi alleati-nemici misuratini, con le katibe tripoline che mal sopportano a presenza di quelle di Misurata sparacchiandosi periodicamente, con il separato-in-casa Khalifa Ghwell che approfitta di ogni sua difficoltà per far valere le sue posizioni, con la costa verso la Tunisia in mano a bande criminali che sfruttano il traffico dei migranti innescando gli alti lamenti dell’Europa e con l’appoggio di una Comunità Internazionale che è incapace di fornirgli gli strumenti per imporre la sua leadership nella capitale stessa.

In questo contesto, la Francia riesce improvvisamente a proporsi quale paese europeo egemone in Africa, mettendo in sistema la sua presenza militare, commerciale e culturale nel Sud Sahara con una prossima possibile ingerenza sulle coste libiche che, tra le altre cose, le assicurerà la capacità di regolare i flussi di migranti verso le nostre coste in base ai propri interessi nazionali. E che siano i suoi esclusivi interessi nazionali a muoverla non è oggetto di dubbio, vista la spregiudicatezza con la quale sta procedendo a campagne acquisti a nostro svantaggio (vedasi l’affare TIM) e, al contrario, a “bieche” campagne di protezione dei propri asset strategici a rischio di acquisizione da parte degli Italiani (STX France-Fincantieri).

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Insomma, hanno fatto guerra a Gheddafi, tra gli assordanti peana di tutto l’arco sinistro del nostro parlamento, senza neanche chiedercene il parere quale paese più esposto alle prevedibili conseguenze di quell’azione sciagurata; ci hanno poi consentito di aggregarci al gruppo dei vincitori per non restare tagliati fuori dagli equilibri libici che si sarebbero consolidati nel dopoguerra; ci hanno magnanimamente lasciato credere di esercitare un ruolo di leadership nelle iniziative militari e civili in Libia, contando sul fatto che non avremmo elaborato una nostra lista di interessi nazionali da imporre – invaghiti come siamo dei miti internazionalisti e globalisti di cui ci riteniamo impareggiabili rappresentanti – rendendo quindi velleitaria ogni volontà di leadership effettiva.

Infine, ci hanno fatto tifare per Macron nello scontro epocale contro “l’oscurantismo lepenista” consentendoci benevolmente di brindare al salvatore dell’Europa democratica e progressista uscito dalle elezioni. Per ultimo, ci hanno tirato questa grande fregatura che ci riserverà un ruolo marginale in un paese cruciale per i nostri interessi, anche se questi ultimi non possono essere declinati a chiara voce a meno di far arrabbiare i sacerdoti nostrani dello “spirito europeo” prima di tutto.

Ed ora cosa succede? I giochi non sono comunque finiti. L’iniziativa di Macron non coinvolge ancora (ancora) Misurata che non rappresenta un dettaglio nel contesto politico-militare libico e nella quale l’Italia potrebbe giocare qualche carta vista la sua lunga presenza con un Ospedale da Campo. E non è ancora dato sapere come reagiranno Russia ed Egitto a questa nuova fase, di fronte al rischio di dover spartire con la Francia in Libia interessi che ad esempio in Siria sono conflittuali.

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Quanto alla questione degli Hot Spot, smentita dopo un improvviso annuncio, qualora si aprisse effettivamente una possibilità del genere la Francia si dimostrerebbe col pallino in mano di una possibile soluzione, ancorchè parziale, del problema che ci preoccupa di più (ma che non è il principale nel mare nostrum), la migrazione, mettendo in sistema le azioni che può svolgere con l’Operazione Barkhane tra Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania e Niger e una presenza attiva nel nord della Libia. Senza una sinergia delle componenti militari su entrambi i fronti, infatti, ogni tentativo di interrompere il flusso semplicemente sulla costa porterebbe a breve la Libia sul punto del collasso, vale a dire ad un sacrificio che non può certamente accettare.

Per ora, non è il caso di affrettare conclusioni, stante la fluidità di una situazione che deve ancora sedimentarsi, ma è possibile trarre alcune considerazioni a margine, con riferimento all’insistenza con la quale il governo del nostro paese invoca altre misure di “cessione di sovranità” nei confronti dell’Europa (o di chi se la vuole prendere, parrebbe in alcuni casi).

Non c’è dubbio, infatti, che se c’è un provvedimento dal quale non possiamo aspettarci vantaggi soprattutto in questa fase storica, questo è proprio rappresentato da altre cessioni di sovranità che, a parte ogni considerazione di carattere etico, ci priverebbero ancora di più di spazio di manovra. Il riferimento è soprattutto all’insistenza con la quale si continua a chiedere da parte nostra una Difesa Europea che è impossibile a realizzare vista l’assoluta, e a questo punto comprovata, non coincidenza degli interessi nazionali in politica estera.

E’ infatti la politica estera, e non semplicemente la necessità di difesa, che muove le unità francesi nel Sud Sahara e quelle francesi, britanniche, russe e statunitensi in Medio Oriente e nel resto del mondo.

Fossimo nel Golfo di Botnia, appunto, potremmo accontentarci di andare al traino di qualcun altro, più forte di noi e di noi più disposto a rischiare. Ma continueremo a galleggiare in questo Mediterraneo impazzito ancora a lungo e ci tocca darci coraggio ed essere forti. Non ci sono infatti speranze che altri condividano le nostre preoccupazioni e accettino rischi al posto nostro, in nome di una solidarietà internazionale che hanno già tradito a più riprese.

 

Foto: La Presse, Ansa, AFP e EMA

 

Marco BertoliniVedi tutti gli articoli

Generale di corpo d'armata, attualmente Presidente dell'Associazione Nazionale Paracadutisti d'Italia, è stato alla testa del Comando Operativo di Vertice Interforze e in precedenza del Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali, della Brigata Paracadutisti Folgore e del 9° reggimento incursori Col Moschin. Ha ricoperto numerosi incarichi in molti teatri operativi tra i quali Libano, Somalia, Balcani e Afghanistan.

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