La disfatta dell’Italia sul fronte europeo dei migranti illegali

da Il Mattino del 5 luglio 2017

Puntava al forzare l’Europa a condividere il peso dei flussi migratori illegali ma, al di là delle chiacchiere di circostanza e del linguaggio diplomatico, Roma è uscita ancora più isolata dal raffazzonato braccio di ferro intrapreso con i partner Ue.

Francia e Spagna hanno negato ogni ipotesi di aprire i propri porti allo sbarco di almeno una parte dei migranti illegali soccorsi in mare dalle navi delle due flotte europee attive nel Canale di Sicilia. Malta ha ribadito che, a dispetto della contiguità territoriale con le acque libiche, non soccorrerà né accoglierà un solo gommone. L’Austria, tra i Paesi che da tempo chiedono respingimenti dei flussi illeciti provenienti dalla Libia, ha simbolicamente deciso di inviare un battaglione blindato dell’esercito a presidiare la frontiera del Brennero.

Una decisione più che altro simbolica, che unisce a una maggiore deterrenza contro i continui tentativi di sconfinamento degli immigrati illegali accolti in Italia uno schiaffo politico al governo di Roma e alle sue ambiguità.

Le immediate proteste contro la decisone di Vienna espresse dai ministri Marco Minniti e Angelino Alfano ben evidenziano il paradosso di chi, impiegando da anni le forze armate per favorire il superamento delle proprie frontiere a chiunque paghi organizzazioni criminali, trova inconcepibile che altri Stati schierino invece i militari per difendere i propri confini.

La “campagna” del governo Gentiloni per esercitare pressioni sulla Ue e condotta timidamente solo minacciando la chiusura dei porti alle navi militari europee e delle ong cariche di migranti, si è conclusa quindi con una disfatta politica con un maggiore isolamento di Roma.

Una debacle ammorbidita solo dallo stanziamento Ue di altri 35 milioni di euro per i costi d’accoglienza sostenuti dall’Italia e di 46 milioni per il sostegno al governo di Tripoli e alla sua Guardia costiera che, pur con pochi e poveri mezzi, è attualmente l’unica entità impegnata a bloccare e riportare indietro barconi e gommoni e a ingaggiare battaglia contro i trafficanti.

Per il resto i provvedimenti della Commissione europea non avranno alcun impatto sui flussi migratori, almeno nell’immediato. I ricollocamenti a cui l’Europa si dice pronta riguardano solo cittadini eritrei mentre in Italia sbarcano migranti economici per lo più africani occidentali e bengalesi che non hanno diritto all’asilo.

Ribadire la necessità dei rimpatri non ha alcun senso se si considera che mediamente riportare al loro paese due dozzine di migranti su un volo charter con la scorta di decine di poliziotti costa oltre 100 mila euro. Tolti i pochi che hanno ottenuto una qualche forma di asilo dovremmo rimpatriarne oltre 200 mila ufficialmente presenti in Italia più almeno altrettanti che vagano fuori controllo nella Penisola sui quasi 700 mila portati sulle nostre coste dal 2013.

Allo stesso modo anche un eventuale potenziamento dei controlli a sud della Libia lungo le rotte nel deserto attraversate dai migranti non è un provvedimenti attuabile in pochi giorni. Occorre verificare la disponibilità dei Paesi Ue di inviare truppe nel Sahel e dei Paesi della regione ad accettarle. In ogni caso ci vorrebbero molti mesi, costi logistici e rischi sarebbero altissimi e il successo per nulla scontato considerato che le rotte desertiche utilizzate dai traffici illeciti (droga e armi oltre ai migranti) sono gestiti da milizie criminal-jihadiste e sono rapidamente mutabili per aggirare eventuali dispositivi di controllo.

L’unico modo per chiudere in modo completo e immediato i flussi è “sigillare” le coste libiche utilizzando la ventina di navi militari già presenti nell’area che oggi sono utilizzate invece per favorire il business dei trafficanti.

Così come la decisione di imporre un codice di condotta alle navi delle ong significa solo girare attorno al problema invece di affrontarlo finalmente di petto. Il governo italiano dica chiaramente se vuole solo “rallentare” i flussi migratori (in tal caso negozi direttamente con i trafficanti in Libia) o vuole interromperli come è sua facoltà (la politica d’immigrazione è competenza dei singoli Stati non della Ue) e come hanno fatto altri partner Ue.

In tal caso i porti vanno chiusi ai flussi dalla Libia, indipendentemente dalla bandiera battuta dalle navi che li trasportano. Si attuino i respingimenti assistiti chiedendo alle flotte Ue di cooperare nel soccorrere i migranti appena salpati, aiutando la Guardia costiera libica a riportali indietro e al tempo stesso si rafforzino le strutture di accoglienza dell’Onu in Libia che si occuperanno di assisterli e rimpatriarli.

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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