Luci e ombre dal vertice di Trieste sui Balcani Occidentali
Il 12 luglio si è svolto a Trieste il Summit sui Balcani Occidentali, iniziativa promossa dal Governo italiano nell’ambito del cosiddetto Processo di Berlino, nome con cui si identifica il progetto a guida tedesca pensato per rilanciare il percorso di adesione alla UE degli Stati balcanici non ancora membri. Al vertice, organizzato in un centro città blindato dalle ingenti misure di sicurezza, hanno partecipato i rappresentanti di Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia, Montenegro, Macedonia, Kosovo e Albania. Nonostante il titolo dell’evento, comunque, l’attenzione di buona parte dei media presenti e degli addetti ai lavori è stata catturata dal vertice trilaterale fra Gentiloni, Macron e Merkel organizzato a bordo della Nave Scuola Palinuro nel corso del quale i tre leader hanno affrontato alcuni dei più spinosi problemi che affliggono l’Europa, in primis l’immigrazione.
A tal proposito, è opportuno sottolineare che il Presidente francese, ribadendo quanto già affermato la scorsa settimana, ha evidenziato come sia per lui fondamentale distinguere fra richiedenti asilo in fuga da zone di guerra e migranti economici, per i quali le porte del suo paese sembrano essere definitivamente chiuse. Tale presa di posizione, mitigata dal riconoscimento che Parigi non sempre ha fatto la propria parte per aiutare gli stati in difficoltà, non è stata condivisa appieno dal Primo Ministro italiano, che nella conferenza stampa organizzata al termine del Summit ha sostenuto la necessità di non scordare chi fugge dal proprio paese per fame.
Questa diversità di opinioni non fa, quindi, che segnalare ulteriormente come il Nostro Paese si trovi ad un vicolo cieco, in quanto senza un radicale cambio di rotta sulla gestione dei flussi migratori provenienti dal nord Africa non sembra possibile ipotizzare che Palazzo Chigi riesca ad ottenere la reale solidarietà dei propri partner.
Più soddisfacente, invece, è stato il risultato prodotto dalle consultazioni riguardanti il tema chiave dell’evento, soprattutto perché è emersa un’attitudine relativamente nuova della UE. Anziché focalizzarsi su questioni di principio, infatti, nel corso del vertice sono stati siglati degli accordi che porteranno allo stanziamento di diverse centinaia di milioni di euro (194 solo per la “connettività” dei Balcani) destinati a favorire il collegamento fra i sei Paesi candidati all’ingresso in Europa, nonché ad avvicinarli agli standard comunitari.
In aggiunta a ciò, è stato affrontato anche un tema particolarmente spinoso, ossia quello relativo alla creazione di “un’area economica integrata” che, dalle informazioni rese pubbliche, dovrebbe costituire una sorta di anticamera all’Europa pensata appositamente per i Balcani Occidentali fintanto che questi non saranno in grado di far parte dell’Unione vera e propria. Tale progetto, però, a detta dello stesso Gentiloni non vedrà la luce in tempi rapidi, in quanto sussistono ancora delle profonde differenze fra alcuni degli Stati che ne dovrebbero far parte.
Al di là di questi aspetti positivi, però, vi sono anche dei limiti evidenti, che sarebbe opportuno affrontare quanto prima allo scopo di garantire il successo delle misure già approvate. In primis, manca una visione chiara su quali ulteriori passi saranno necessari per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che i partecipanti al Summit di Trieste si sono proposti in materia di integrazione e modernizzazione dei settori chiave dell’economia e della vita politica.
In aggiunta a ciò, non è stato neanche evidenziato di quanto tempo i 6 candidati avranno bisogno per poter vedere accolte le proprie richieste di adesione. Per quanto si tratti di una stima difficile, è di vitale importanza fornire un orizzonte temporale chiaro, allo scopo di evitare di dare l’immagine di un’Europa irraggiungibile che continua a cambiare i parametri e ad aggiungere cavilli.
Proprio a tal proposito, un aspetto su cui potrebbe aver senso agire è quello relativo alle modalità con cui vengono aperti i capitoli d’adesione alla UE, allo scopo di evitare che singoli Paesi, spinti da considerazioni di natura prettamente interna, facciano ostruzionismo rallentando eccessivamente un percorso di per sé già tutt’altro che rapido. Infine, sebbene il coinvolgimento della cosiddetta società civile sia stato uno degli aspetti più pubblicizzati in occasione del Summit, ciò non può essere sufficiente, in quanto questa non rappresenta che una piccolissima parte della popolazione locale. Ecco perché, la sfida reale dovrebbe essere quella di informare e coinvolgere la gente comune sulle iniziative promosse dalla UE, sfidando così i competitors europei sul terreno in cui sono più forti e radicati.
Quanto sopra, comunque, non può assolutamente essere slegato da un maggior coinvolgimento di Bruxelles per giungere alla soluzione di quelle situazioni che tutt’ora contribuiscono a impedire un efficace dialogo bilaterale fra alcuni attori locali.
Si pensi, ad esempio, alla questione dell’indipendenza del Kosovo che vede contrapporsi, ormai dal lontano 1999, Belgrado e Prishtina, oppure alla spinosa situazione della Macedonia che, a causa del crescente attivismo di Tirana, potenzialmente potrebbe portare ad una crisi che coinvolgerebbe anche Grecia, Bulgaria e Serbia. Trattandosi di problematiche radicate e spesso utilizzate a scopi elettorali, infatti, l’Europa non può limitarsi a promuovere programmi generici, ma deve impegnarsi ad entrare nel dettaglio e a prendere posizioni chiare, anche contro i suoi storici protegés se questi adottano politiche palesemente contrarie agli interessi comuni o in grado di mettere a rischio la stabilità dell’area.
Infine, non va dimenticato che l’estremismo religioso presente nell’area balcanica, unito ad una robusta presenza di criminalità organizzata e corruzione, rappresentano una minaccia diretta alla sicurezza europea, che però è stata spesso sottovalutata a causa della necessità di non calcare la mano su nessuno dei potenziali futuri membri. In Bosnia e in Kosovo, ad esempio, i gruppi estremisti e criminali sono proliferati negli ultimi anni senza che venissero prese delle adeguate contromisure atte a contenerli e, successivamente, eliminarli. Alla luce di tutto ciò, la lotta contro queste tipologie di minacce dovrebbe diventare prioritaria per Bruxelles e non ridursi ad un aspetto accessorio demandato principalmente ad agenzie specializzate sconosciute alla maggior parte dei cittadini. Infine, sarebbe anche importante favorire una maggiore collaborazione con le FF.AA. degli Stati europei, evitando così che questo campo ricada completamente nella sfera di influenza degli USA che, a partire dai conflitti degli anni ’90, hanno acquisito in questo settore un peso di gran lunga superiore a quello della UE.
Luca SusicVedi tutti gli articoli
Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.