Una Caporetto che non deve sorprenderci

da Il Mattino del 7 luglio

Non c’era da farsi molte illusioni circa l’esito del vertice Ue di Tallinn e del resto già nei giorni scorsi era apparso chiaro che sul fronte dell’immigrazione illegale il massimo che l’Italia poteva aspettarsi era la solidarietà formale della Commissione europea e il freddo distacco dei singoli partner.

Per questo la “Caporetto” inflittaci dall’Unione non ha sorpreso: nessuna intesa sulla ripartizione dei migranti illegali, no deciso all’apertura dei porti europei agli sbarchi dei migranti soccorsi davanti alle coste libiche, nessuna regionalizzazione dell’operazione europea Triton con lo scopo di sbarcare i migranti anche fuori dall’Italia.

Roma non ha ottenuto nulla di quanto chiedeva se si esclude qualche decina di milioni in più per i costi di accoglienza e per il supporto al governo libico. Del resto per la Ue l’asilo va riservato a siriani e in parte a iracheni ed eritrei mentre in Italia accogliamo migranti economici africani occidentali e bengalesi.

Comprensibile il tentativo del ministro degli Interni, Marco Minniti, di rendere meno pesante il bilancio del vertice (“le questioni poste dall’Italia hanno avuto un rilievo”) ma l’unico modo per dare un senso alla sonora batosta subita dall’Italia è trarne i dovuti apprendimenti.

Quella che gli ultimi tre governi italiani definiscono “operazione umanitaria”, cioè il soccorso dei migranti illegali e il loro trasferimento in Italia, per i partner europei è solo accoglienza suicida di immigrati illegali che non hanno alcun titolo per essere accolti.

Lo ha fatto capire chiaramente ieri il ministro degli Interni tedesco, Thomas de Maiziere, che ha respinto l’ipotesi di aprire i porti europei perché “rischia di attirare più migranti e di creare divisioni fra i Paesi europei”.

Più o meno quello che due anni or sono disse l’allora ministro degli interni britannico, Theresa May, quando venne varata la missione navale Ue Eunavfor Med con l’ordine di “non attuare respingimenti”.

Inutile negare che i 700 mila immigrati illegali accolti in Italia dal 2013 a oggi hanno rappresentato un business miliardario per le organizzazioni dedite all’accoglienza, in gran parte vicine agli ambienti culturali dei partiti di maggioranza.

Per averne conferma basta leggere le dichiarazioni critiche espresse nei giorni scorsi da Caritas, Arci e ong varie coinvolte nelle operazioni di soccorso e accoglienza di fronte all’ipotesi della chiusura dei porti alle navi straniere e di un rallentamento dei flussi.

Meglio sottolineare a tal proposito che l’ex ministro degli Esteri del governo Letta, Emma Bonino, ha recentemente ricordato come l’Italia avesse chiesto all’Europa denaro e navi per non lasciare l’onere dei soccorsi solo alla Marina italiana accettando però di sbarcare sul suo territorio tutti i migranti illegali provenienti dalla Libia.

Il bluff dell’operazione umanitaria non regge più, né con l’Europa né con la società italiana e non è certo un caso che il governo stia cercando disperatamente aiuti e soluzioni solo dopo la pesante sconfitta subita nelle ultime elezioni amministrative.

L’attuale esecutivo è quindi chiamato a superare una doppia ambiguità: quella che lo vede praticare un’accoglienza che arricchisce lobby a lui vicine e quella che vede da un lato l’Italia equipaggiare e addestrare la Guardia Costiera libica affinchè respinga quei migranti che invece le flotte italiane e Ue sbarcano in Italia.

Come più volte sottolineato su questo quotidiano le navi oggi impiegate per arricchire i trafficanti potrebbero essere utilizzate per soccorrere i migranti nelle acque libiche, salvandoli tutti ed evitando nuove tragedie, per poi risbarcarli in Libia con la cooperazione della Guardia costiera di Tripoli e cin coordinamento con l’ONU per l’accoglienza e il rimpatrio dei migranti nei loro paesi di origine.

Verrebbero azzerati gli affari sporchi dei trafficanti e i bilanci delle vittime mentre i flussi cesserebbero per la manifesta impossibilità di raggiungere l’Europa come è accaduto, in spazi marittimi ben più vasti, in Australia dove la determinazione di Canberra a respingere i migranti illegali ha azzerato le partenze da Sri Lanka e Indonesia.

Pragmaticamente, si tratta dell’unica soluzione poiché se anche vi fosse da parte dell’Europa la disponibilità a stanziare per la rotta libica gli stessi miliardi (3+3) girati alla Turchia in cambio della chiusura della rotta balcanica, non vi sarebbero comunque interlocutori affidabili con cui negoziare.

Se Recep Tayyp Erdogan ha in pugno il suo Paese lo stesso non si può certo dire per il premier libico Fayez al-Sarraj.

Il senso di responsabilità deve indurre il governo a comprendere i concreti rischi di disagio e sollevazioni sociali strettamente connessi ai flussi di quegli immigrati illegali che qualcuno vorrebbe addirittura proporci come i “salvatori della Patria” in termini demografici e previdenziali.

Un salutare bagno di realismo dovrebbe far comprendere che dedicare mezzo punto di PIL ad accogliere chiunque paghi criminali per venire in Europa, mostrando per di più in molti casi ben poca riconoscenza per quanto ricevuto, non potrà che far infuriare italiani ormai da anni abituati a tagli cospicui a welfare e servizi e che, secondo l’Istat, in oltre 7,2 milioni vivono in povertà.

Da sempre uno Stato si caratterizza per popolo, territorio e confini: per la prima volta assistiamo alla rinuncia a difendere le frontiere da chi le oltrepassa in massa illegalmente. Forse un sintomo della volontà di alterare la composizione del popolo che sta compromettendo in molte aree il controllo del territorio e rischia di azzerare la percezione e la credibilità dello Stato presso i suoi cittadini.

Il caro prezzo che si paga quando si rinuncia a tutelare gli interessi nazionali.

Foto La Presse

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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