Afghanistan: Trump invierà contractor invece di militari?

Secondo quanto rivela il Financial Times la Casa Bianca sta valutando il progetto di inviare in Afghanistan un esercito privato con circa 5mila veterani che hanno prestato servizio nei più importanti reparti speciali e corpi d’èlite statunitensi, britannici, francesi, sudafricani, australiani e di altri paesi europei. Uomini retribuiti 500/600 dollari al giorno per operare aggregati ai battaglioni afghani (kandak) in prima linea per turni di tre mesi seguiti da due mesi di pausa.

Una forza dotata di supporti logistico e un centinaio di velivoli tra elicotteri e aerei da attacco, inquadrati all’interno delle forze armate afghane per arginare la crescente minaccia talebana.

Il piano viene proposto come alternativa all’invio in Afghanistan di altri 3.900 soldati statunitensi autorizzato dall’Amministrazione Trump a rinforzo degli 8.500 militari Usa già presenti nel Paese asiatico accanto ad altri 5 mila militari alleati tra i quali un migliaio di italiani.

Washington spende ogni anno per sostenere la missione a Kabul e appoggiare e addestrare le forze afghane circa 45 miliardi di dollari destinati a crescere ad almeno 50 con l’invio dei rinforzi mentre l’esercito di contractors viene offerto a 10 miliardi annui per un contratto biennale.

 

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Mentre il Russia Gate continua il suo corso occupando le principali pagine di quotidiani e telegiornali, un’altra delicata vicenda è passata decisamente più inosservata: Il braccio di ferro tra consiglieri (ex) militari e civili di Trump per una nuova strategia afghana all’insegna dei contractors.

Da una parte il segretario alla Difesa James Mattis ed il consigliere per la sicurezza nazionale McMaster per nulla o poco inclini, dall’altra Steve Bannon e Jared Kushner che li considerano nettamente preferibili ad un surge di truppe regolari. Dopo un iniziale vantaggio per le “stellette”, sembra ora raggiunto un pareggio che potrebbe, a breve, ribaltare completamente la situazione in favore dei privati. Questo alla luce anche di un potenziale accordo per lo sfruttamento delle notevoli risorse minerarie del Paese.

Dopo mesi di accese discussioni che non hanno portato a nulla di sufficientemente adatto ad evitare il pantano strategico delle due precedenti amministrazioni, i più fidati consiglieri di Donald Trump si sono rivolti al mondo delle PMSCs.

Secondo il Times, infatti dopo essersi consultati con Stephen Feinberg ed Erik Prince, Steve Bannon e Jared Kushner hanno elaborato una proposta alternativa all’invio di nuove truppe: Sostituirle con operatori privati. Dopo aver ascoltato la proposta, il segretario alla Difesa Mattis ha declinato l’invito a contemplare opzioni esterne alla nuova strategia afghana che sta approntando con McMaster. Lo scarso interesse dell’ex Generale per le idee di Bannon, Feinberg e Prince non rappresenta tuttavia un loro definitivo affossamento, infatti vista l’influenza di questi personaggi e la propensione di Trump ad avvalersi di consiglieri esterni, specie se facoltosi e provenienti dal settore privato, potrebbero esser rivalutate molto presto.

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Il Presidente americano ha infatti già dichiarato che potrebbe sospendere l’autorizzazione ad inviare 3.900 uomini in rinforzo agli 8.500 già stanziati in Afghanistan. Stanco di questa guerra ricevuta in eredità e da sempre riluttante all’invio di più truppe, Trump resta ancora in attesa di soluzioni convincenti: Più soldati? Più contractors? O altro?

Oltre ad un maggior coinvolgimento di PMSCs, Feinberg e Prince si sono spinti più in là. Feinberg ha suggerito di trasferire il comando delle operazioni militari alla CIA, secondo la cosiddetta “opzione laotiana”, riferendosi all’intervento di Langley in Laos, durante la guerra del Vietnam.

Prince invece ha sostenuto una “soluzione MacArthur”, sulla falsariga dell’occupazione del Giappone con a capo il generale MacArthur o da “Compagnia delle Indie Orientali”, la società britannica che ottenne il monopolio del commercio in Asia.

E’ stata contemplata anche la nomina di un “viceré” che, rispondendo direttamente al Presidente, accentrerebbe e controllerebbe tutti gli sforzi di Washington e della Coalizione in Afghanistan, massimizzando l’efficacia della strategia centrale e riducendo frodi e corruzione. Il tutto avvalendosi di una forza militare privata: Una “Blackwater 2.0”.

La possibilità di un nuovo boom del settore ha spinto le PMSCs ad azioni di lobbying affinché gli Stati Uniti si decidano a passar loro la patata bollente. I consulenti di Bannon e Kushner sono infatti Erik Prince (nella foto sotto) e Stephen Feinberg. Feinberg è amministratore delegato del gruppo Cerberus Capital Management, holding che comprende tutta una serie di società della difesa-sicurezza e degli armamenti che gli hanno permesso di agire come eminenza grigia del mondo degli appalti governativi militari.

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Tra di esse DynCorp International, uno dei principali contractors del Governo che solamente in Afghanistan ha ottenuto $2,5 miliardi dal Dipartimento di Stato. Tuttavia, per Feinberg l’acquisto di DynCorp si è rivelato un investimento tardivo ed antieconomico, effettuato solo quando il business dei contratti governativi ha iniziato a sfumare per tagli al bilancio della Difesa e al ritiro di truppe. In sette anni dall’acquisto, infatti sono stati sostituiti 4 amministratori delegati ed i margini di guadagno e quote di mercato si sono talmente assottigliati da provocare preoccupanti fuoriuscite di managers e personale verso il nuovo concorrente: Pacific Architects & Engineers.

Nel 2016 Feinberg ha finanziato la campagna elettorale di Trump con un milione di dollari ed è stato in lizza per l’incarico di supervisore della riorganizzazione delle agenzie di intelligence. Decisamente più noto è Erik Prince, ex Navy Seal e fondatore della controversa Blackwater.  Nel 2007 il New York Times ha indicato che la società ha ricevuto dall’amministrazione Bush più di un miliardo in contratti a fornitore unico.

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Dopo aver venduto la società (che nel frattempo è diventata Academi), Prince si è trasferito negli Emirati Arabi Uniti dove ha approntato un esercito privato per gli emiri, ha militarizzato e tentato di commercializzare degli aerei agricoli, ha collaborato alla creazione di FSG Group (una PMSC cinese) ed avrebbe avuto anche un ruolo nella diplomazia occulta tra Russia e Stati Uniti durante un incontro alle Seychelles, a gennaio.

Erik Prince ha donato 235.000 dollari per la campagna elettorale del Presidente e la sorellastra, Betsy Devos è l’attuale segretario all’Educazione degli Stati Uniti.

Nel frattempo la Casa Bianca ha annunciato che Mark Esper, ex tenente colonnello e dirigente della Raytheon– società specializzata nella produzione di missili e munizionamento di precisione come Tomahawk, Maverick, Patriot, Sidewinder ecc. –  sarà il candidato di Trump alla carica di segretario dell’Esercito.

La nomina è giunta a poco più di un mese da quella di Ryan McCarthy a sottosegretario dell’Esercito. McCarthy era un ranger passato poi alla Lockheed Martin.

Se entrambi verranno confermati dal Senato le due maggiori cariche del Dipartimento dell’Esercito saranno in mano ad ex militari e dirigenti di società di contractors della Difesa, nella più completa aderenza al meccanismo della “porta girevole” tanto diffuso a Washington.

 

Contractor in Afghanistan

In Afghanistan i contractors sono giunti poco dopo l’11 settembre, al seguito di una missione antiterrorismo della CIA per operazioni di intelligence, ricognizione, interrogatori, raccolta di informazioni ed analisi. Successivamente numero e ruoli sono andati crescendo considerevolmente, sia in ambito delle due operazioni internazionali Enduring Freedom e ISAF che al servizio dei privati: dal supporto logistico, servizi mensa e lavanderia fino a compiti più prettamente militari come addestramento e ricostituzione delle forze armate nazionali, manutenzione ed approntamento armi ed equipaggiamenti ed intelligence.

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A fine 2005, a seguito dell’evoluzione e recrudescenza del conflitto il Governo afghano ha riconosciuto i propri limiti nella fornitura di sicurezza ed ha esternalizzato a società di sicurezza private la stabilità e la ricostruzione del Paese. La protezione degli operatori ed organizzazioni internazionali e loro assets è stata affidata alle compagnie private, lasciando i luoghi pubblici e la cittadinanza alle forze di sicurezza afghane, notoriamente meno preparate ed affidabili. Il settore ha iniziato a proliferare ed ha attirato una miriade di clienti diversificati: forze armate internazionali, missioni diplomatiche, agenzie per la ricostruzione, organizzazioni internazionali, entità private e ONG, giornalisti, businessmen, ecc.

Tuttavia, le forze armate statunitensi e dei Paesi ISAF sono sempre state i maggiori contraenti. A dicembre 2008 i contractors costituivano il 69% della forza lavoro del Dipartimento della Difesa: la più alta percentuale della storia degli Stati Uniti. Da dicembre 2008 a marzo 2011 il loro numero è passato da 3.689 a 18.971 (+400%).

Ben presto le PMSCs sono diventate parte dell’economia e della politica del Paese. Diversamente dall’Iraq dove almeno nelle prime fasi del conflitto esse erano principalmente straniere, con operatori occidentali o di Paesi terzi, in Afghanistan la maggioranza delle compagnie autorizzate era afghana e lo stesso il grosso della forza lavoro di quelle estere. Il settore, originariamente straniero in natura e concezione, ha assunto quindi una preponderante connotazione nazionale. Personalità politiche e signorotti locali si sono lanciati in massa nel business, creando una struttura complessa di compagnie private e milizie irregolari a livello regionale, provinciale e locale.

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Milizie private che gli stessi occidentali hanno impiegato nelle operazioni antiterrorismo, conferendogli così una certa legittimazione che ha complicato gli sforzi del governo centrale e della comunità internazionale nel disarmo dei signori della guerra. A partire del 2008 è stato introdotto un processo ufficiale di autorizzazione che ha conferito la licenza a 39 società. L’anno seguente il numero è salito a 52 di cui 25 straniere e 27 locali, con circa 30.000 operatori. Tali numeri sono abbastanza riduttivi giacché tra il 2001 e il 2007 se ne stimavano già 60-140.

Le private military companies sono state bandite (lasciando solo le private security companies), ma molte hanno continuato ad operare senza autorizzazione e con numeri di operatori superiori rispetto ai 500 imposti per legge.

Dal 2010 l’industria delle PMSCs è diminuita in termini numerici come conseguenza del decreto presidenziale che ne ha ordinato la completa dissoluzione, tranne alcune eccezioni come quelle al servizio delle forze della coalizione internazionale, delle ambasciate o quelle impegnate in attività di addestramento di forze armate e di polizia.

Il personale delle compagnie disciolte è stato fatto confluire nella Afghan Public Protection Force (APPF), una nuova compagnia di sicurezza statale inaffidabile, poco addestrata e con preoccupanti livelli di corruzione.

Attualmente in Afghanistan sono presenti 23.525 contractors del Dipartimento della Difesa, rispetto ai 24.900 di aprile (- 1375; -5,52%). Su 23.525, 9.436 sono americani (-86; -0,90% rispetto ad aprile); 8.873 di Paesi terzi (+897; 11,25%) e 5.216 operatori locali (-2186; -29,53%).

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Durante il picco dell’aprile 2012 i contractors erano ben 117.227, di cui 34.765 americani, 37.898 di Paesi terzi e ben 44.564 locali. Le truppe americane in quel periodo erano 88.200. Da notare la considerevole riduzione di operatori locali, spesso poco affidabili e parte di milizie dei signori della guerra e l’aumento di operatori Paesi terzi. Essi sono dotati di elevata professionalità e se già la perdita di un contractor americano ha scarse ripercussioni politiche, figuriamoci quella di un contractor straniero! La maggioranza degli attuali contractors si occupa di supporto, amministrazione e logistica, mentre un 15,9% (3.734) di sicurezza: 1.695 contractors sono armati (449 americani; 989 Paesi terzi; 257 locali). A livello di CENCTOM (Central Command) il numero complessivo è di 42.412 (+176; + 0,42% rispetto ad aprile 2017).

 

Pro e contro

Per il Presidente Trump l’Afghanistan non è una priorità, tuttavia, potrebbe prepotentemente diventarlo grazie alle sue vaste risorse minerarie, potenzialmente sfruttabili da società occidentali. Nel 2010 il valore delle risorse afghane è stato stimato in circa un trilione; una stima molto contestata già allora e che sicuramente si è ridotta nel tempo a causa dell’erosione del prezzo delle commodities, ma che tuttavia potrebbe dare risposta alla domanda retorica che si è posto il Presidente in una recente intervista: “[…] voglio capire perchè siamo rimasti là per 17 anni.”

Tale prospettiva ha comunque interessato nuovamente i contractors e anche Stephen Feinberg, alla cui DynCorp potrebbe esser appaltata la sicurezza degli impianti d’estrazione, principalmente localizzati nell’Helmand, regione sotto il controllo talebano.

Il possibile ritorno in massa di contractors nel Paese ha sollevato molte reazioni: alcune a favore, molte contrarie. La prima perplessità abbastanza ovvia è relativa al ricordo di tanti grattacapi fiscali, operativi e diplomatici che essi hanno provocato in Iraq e Afghanistan. L’altra riguarda il “come” e “perché” una forza privata dovrebbe riuscire dove Stati Uniti e NATO hanno fallito nonostante l’immenso potere e sforzo militare, economico e diplomatico profuso in tanti anni di presenza.

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Questo nuovo approccio alla controinsorgenza, secondo Deborah Avant del Washignton Post, non rappresenterebbe una nuova strategia per l’Afghanistan, bensì una riformulazione o addirittura, una privatizzazione degli obiettivi americani, sollevando dubbi etici e morali sull’affarismo di guerra e conflitti d’interesse. Sia Prince che Feinberg, infatti, sono nomi noti del mondo delle PMSCs e non possono che premere affinché si proceda in questa direzione.

Allo stesso tempo, essi né rappresentano i simboli peggiori. La Blackwater si è resa responsabile di stragi, crimini e violazioni, mentre Erik Prince è attualmente sotto inchiesta per riciclaggio di denaro ed imprecisate relazioni commerciali con governi stranieri. DynCorp invece continua a ricevere miliardi in appalti nonostante la lunga serie di scandali e frodi.

Secondo regolamenti federali ai contractors è vietato svolgere funzioni che abbiano effetti diretti sulla facoltà discrezionale, sul processo decisionale o di responsabilità dell’autorità governativa. Tra i compiti off-limits vi è il comando di forze militari, la conduzione di relazioni internazionali, la determinazione di politiche, la direzione e controllo delle operazioni di intelligence e counterintelligence. Pertanto, molte fasi del piano sarebbero loro precluse.

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Il perseguimento di fini affaristici impedirebbe quell’integrazione tra obiettivi politici ed interessi comuni e condivisi, così fondamentale per ottenere legittimità agli occhi della popolazione locale e per la formazione di istituzioni e governi stabili. Secondo Christopher Kolenda, ex colonello e membro del Center for a New American Security “un Paese che non può vincere la battaglia della legittimità in aree contese e non può mantenere il territorio tenderà sempre a perdere.”

 La nomina di un “viceré” — ancora non si sa chi potrebbe ricoprire tale incarico, forse Prince stesso — non eviterebbe inoltre di dover lavorare col governo ed istituzioni afghane: un’impresa finora ardua per Stati Uniti e NATO, figuriamoci per questa nuova figura di sgradevole reminiscenza coloniale!

Non da trascurare i costi che sarebbero decisamente superiori a quelli di truppe regolari: il Project on Government Oversight (POGO) ha calcolato che i servizi di sicurezza forniti dalla Blackwater in Iraq sono costati tra l’11% e il 78% in più di quelli dei militari.

Per quanto riguarda la capacità di risoluzione dei conflitti e violenze, diversi studi hanno dimostrato che i contractors possono avere un effetto generale positivo solo quando esiste concorrenza tra le varie PMSCs coinvolte e l’introduzione di appositi incentivi contrattuali di performance. Diversamente, soprattutto in stati falliti come l’Afghanistan esse possono contribuire ad aggravarne la situazione.

360_helmand_0704Sean McFate, professore alla Georgetown University ed autore di The Modern Mercenary ha dichiarato che in qualità di ex contractor non riuscirebbe a pensare ad “una peggior soluzione per il martoriato Paese per via dei molteplici rischi per la sicurezza, responsabilità e moralità legate a questo business.” Tra questi il pretorianesimo: il pericolo che una forza privata si ribelli ai propri “appaltatori” è reale, con molti precedenti storici e che Prince o chiunque altro riuscirebbero difficilmente a controllare.

L’ipotetico impiego di PMSCs al posto delle forze armate richiederebbe una loro evoluzione verso un modus operandi offensivo.

Da quando le moderne compagnie di sicurezza private sono emerse a fine anni 80 hanno sempre cercato di affrancarsi dal retaggio mercenario, apparendo come realtà societarie regolari e ben strutturate, ricorrenti all’uso della forza solo per legittima difesa propria e dei loro clienti. Per tali ragioni esse appaiono abbastanza diverse dalle forze armate: Diversa disciplina, forza lavoro, organizzazione ed equipaggiamento. Sarebbe perciò necessario un riadattamento in termini di mezzi, armamenti e capacità con tutto ciò che un coinvolgimento diretto ed operazioni offensive può comportare.

Lo schieramento di contractors a protezione di miniere, assieme alla notizia che le PMSCs russe hanno ottenuto dal governo siriano diritti d’estrazione mineraria e petrolifera per i giacimenti sottratti allo Stato Islamico sembrano sdoganare un’altra pratica che ha sempre caratterizzato i più feroci interventi mercenari nell’Africa ed Asia post-coloniale (vedi Executive Outcomes e Sandline Internationals).

Uno dei rischi è l’evoluzione del settore verso una vera e propria rincorsa al ribasso dei prezzi per la fornitura di soluzioni e pacchetti completi all’insegna del più bieco affarismo e rincorsa alle materie prime, anche da parte di altri Paesi come Cina o Pakistan.

In merito ai riferimenti storici presentati da Prince e Feinberg a legittimazione dei loro progetti, essi rappresentano scelte decisamente infelici. Il generale MacArthur, preso a modello da Prince, è stato sollevato dal comando delle forze ONU in Corea dal presidente Truman per insubordinazione. La Compagnia delle Indie Orientali ha provocato molti danni e malcontenti, uno dei quali è sfociato in una rivolta talmente feroce da provocare l’umiliante e sanguinosa ritirata da Kabul nel 1842.

Gli eserciti della Compagnia hanno mandato in bancarotta la società, salvata poi dai contribuenti britannici nel 1770, fino all’assunzione di controllo completa da parte del Governo britannico nel 1874. Essa ha favorito la nascita e la proliferazione dei signori della guerra e l’unica stabilità che è riuscita ad ottenere, lo ha fatto solo grazie all’intervento delle truppe di Sua Maestà.

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E che dire dell’opzione laotiana proposta da Feinberg? L’avventura della CIA in Laos si è rivelata alla fine un fallimento, lasciando il Paese sotto il controllo comunista e con una mortale eredità di bombe e mine inesplose.

Sebbene il principale oppositore paia esser Mattis, l’ex generale ha sempre sostenuto l’utilizzo di contractors per compiti limitati e specifici. Addirittura nel marzo 2012 ebbe a dire alla Commissione Difesa del Senato: “Nessuno dovrebbe sminuire il loro ruolo” e “E’ costoso, ma ci sono tempi e luoghi dove avere una forza a contratto, invece di uomini in uniforme, costituisce un vantaggio, sia che si tratti di una missione addestrativa che di guardia.”

Alla stessa conclusione pare giungere anche McFate: “I contractors non rappresentano intrinsecamente il male; infatti possono essere anche buoni. Sono come il fuoco: possono bruciare o fornire la forza per un motore a vapore. Potrebbero evitare atrocità di massa, combattere i signori della guerra, cacciare gruppi terroristici, ingrossare le fila delle missioni di peacekeeping, creare eserciti legittimi o mantenere l’ordine pubblico.”

Anche il POGO crede che i contractors dovrebbero continuare a giocare un ruolo nella pacificazione e sviluppo dell’Afghanistan, ma non in posizioni di maggioranza. Soprattutto in combattimento, peacekeeping ed operazioni d’intelligence, dove una chiara catena di comando ed un robusto sistema di responsabilizzazione sono essenziali.

Le compagnie private di sicurezza hanno infatti avuto anche molti impatti positivi sulla situazione economica e politica del Paese. Esse sono l’unico sistema che consente agli organismi internazionali di operare nel Paese e sono perciò fondamentali per la ricostruzione. Dal punto di vista economico forniscono lavoro alla popolazione locale e con stipendi più alti rispetto a quelli governativi, tanto da provocare diserzioni e migrazioni di massa dal settore pubblico al privato.

Esse pagano cospicui affitti per i loro uffici e strutture. Tuttavia, sviluppo, investimenti, riconciliazione ed altri cruciali progetti non sono possibili senza un adeguato livello di sicurezza. Gli investitori internazionali richiedono società private di sicurezza affidabili e professionali; è perciò necessario adottare una riforma della sicurezza privata, introducendo i corretti meccanismi di licenza, addestramento, trasparenza e responsabilità.

Per concludere, le motivazioni a favore o contro l’impiego dei contractors restano fondamentalmente sempre le stesse. Per quanto riguarda le criticità troviamo abusi, crimini e violazioni dei diritti umani, così come frodi e corruzione che in Iraq e Afghanistan hanno portato allo spreco di ben 60 miliardi di dollari.

Afghan security forces arrive at the site of an attack in Kunduz province October 27, 2014. REUTERS/Stringer

Tra i vantaggi delle PMSCs la loro estrema professionalità, la rapidità e flessibilità d’impiego. Esse fungono da “moltiplicatore di forze” consentendo di sgravare i militari da attività secondarie per potersi concentrare esclusivamente sul combattimento. Nel breve periodo sono più costose delle forze armate, ma una volta terminato il contratto non gravano più sulle casse dello Stato.

Possono esser dispiegate con discrezione, senza attirare l’attenzione mediatica o senza la necessità di particolari approvazioni parlamentari. Il peso politico delle morti dei loro operatori è pari a 0 e le varie società sono tenute al massimo rispetto del segreto aziendale. Ricorrendo ai contractors il Presidente Trump potrebbe disporre di “boots on the ground” in numero virtualmente illimitato e senza costi politici.

Sull’opportunità o meno di rimetterli in campo, stiamo assistendo agli stessi scontri che ebbero luogo durante la presidenza Bush, quando i vari Dick Cheney e Paul Wolfowitz hanno escluso l’allora segretario di stato ed ex generale Colin Powell ed ignorato le preoccupazioni dei militari. Oggi invece abbiamo Bannon e Kushner contro il Consigliere per la sicurezza nazionale ed ex generale McMaster. La differenza, sostiene Jon D. Michaels del L.A. Times è che i personaggi di allora sembravano dei Sun Tzu o Carl von Clausewitz al confronto di Kushner e Bannon, che non hanno la benché minima esperienza militare o di politica estera!

Insomma, più che un “Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”, in questo caso pare ci siano tutti i presupposti per “peggiorarla” oltre che ripeterla.

Ciò che pare metter tutti i numerosi e contrapposti esperti d’accordo è che valga comunque la pena continuare il dibattito. Secondo Laurel Miller, ex rappresentante speciale del Dipartimento di Stato per Afghanistan e Pakistan, “Se gli Stati Uniti intendono individuare una via per istituire un sistema sostenibile che garantisca la sicurezza dei nostri interessi nazionali, è importante considerare un’ampia gamma di opzioni.”

Detto questo, 17 anni sono ormai passati e l’amministrazione Trump continua a temporeggiare. Il tradizionale detto afgano non ha mai perso la sua validità: “Voi avete gli orologi, noi il tempo”!

Foto: KEJ, AFP, Youtube,  AP, Academi, DynCorp e EPA

Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.

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